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Leone Di San Marco

Il mare Adriatico, lago di Venezia

La Serenissima garantì quella convivenza etnica demolita dal divide et impera asburgico 

I primi a provarci furono i più ferventi sostenitori del Regno dei Serbi, Sloveni e Croati sorto al termine della Prima Guerra Mondiale, nel corso della Seconda Guerra Mondiale si cimentarono gli ustaša prima e in seguito i nazionalisti croati che si erano infiltrati nell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia di Tito, venne infine il turno degli ultra-nazionalisti della Croazia indipendente negli anni Novanta: durante il secolo breve ci hanno provato davvero in tanti a scalpellarli o a farli saltare in aria, ma i leoni alati della Repubblica di Venezia scolpiti resistettero e fanno ancor oggi bella mostra di sé nei portali delle città della costa istriana e dalmata. In queste effigi alle volte il Vangelo è spalancato sulle pagine recanti la scritta “Pax tibi Marce evangelista meus”, ma spesso è chiuso sotto una zampa leonina, mentre l’altra sguaina la spada, a fronteggiare i nemici di Venezia.

Da Capodistria, nell’attuale Slovenia, fino a Cattaro, spettacolare insenatura nell’odierno Montenegro, l’epoca medioevale e moderna vide fiorire le fortune commerciali della Serenissima, la quale non si peritava di commerciare con l’entroterra dominato dai turchi nemmeno nel momento in cui le sue galee scaricavano le proprie bordate sui vascelli del Sultano. Uscita nel 1358 dalla sfera d’influenza veneziana, la Repubblica di Ragusa svolse un ruolo ancor più accentuato nei rapporti con un retroterra spesso descritto dalle cronache dell’epoca come grezzo, selvaggio ed arretrato. Formalmente vincolato al Regno d’Ungheria prima ed alla Sublime Porta successivamente, lo Stato raguseo rappresentò la quinta repubblica marinara d’Italia e vide crollare le proprie fortune sia per lo spostamento dei grandi traffici verso le rotte atlantiche, sia in seguito ad un terrificante terremoto che devastò la città nel 1667.

Il trattato di Campoformido del 1797 segnò la fine dell’indipendenza di Venezia, ceduta con gran delusione di Ugo Foscolo e di altri patrioti all’Impero d’Austria nell’ambito della spregiudicata diplomazia napoleonica. Se l’ultimo Doge di Venezia depose le insegne di San Marco il 12 maggio, la località montenegrina di Perasto mantenne la propria libertà fino al 23 agosto, giorno in cui all’arrivo delle truppe austriache il conte Giuseppe Viscovich, capitano della guardia, seppellì l’ultimo gonfalone della Repubblica sotto l’altare del duomo dopo aver pronunciato quel discorso che culminava nella frase: Ti con nu, nu con ti (Ttu con noi, noi con te) che avrebbe fatto da motto, tra gli altri, alla squadriglia aerea Serenissima di Gabriele d’Annunzio nella Grande Guerra.

L’effimera Repubblica di Venezia del 1848-’49 nacque innanzitutto come desiderio di recuperare un’autonomia ed una libertà che il dominio asburgico avevano fortemente ridimensionato. Nel momento in cui i gonfaloni del leone di San Marco avevano ripreso a sventolare, molti dall’Istria e dalla Dalmazia giunsero a dare man forte, non ultimo Niccolò Tommaseo da Sebenico, uno dei padri nobili della lingua italiana che rivestì incarichi di rilievo nel governo. Da una dimensione municipalista e localista, tale esperienza insurrezionale avrebbe rapidamente assunto caratteristiche più marcatamente patriottiche, richiamando in sua difesa combattenti provenienti da tutta Italia. Nelle decadi successive il ricordo delle libertà godute ai tempi della Serenissima avrebbe creato l’humus ideale per l’azione patriottica ed irredentista in Istria ed in un secondo momento pure in Dalmazia. In quest’ultima regione, infatti, si era sviluppata una vera e propria nazionalità dalmata, in cui l’idioma italico faceva da lingua franca in un litorale spezzettato in centinaia di isole e isolotti ed una costa dominata dalle montagne, laddove altrettanto articolata era la nazionalità delle popolazioni ivi residenti, tra italiani, croati, serbi ed albanesi. Solamente dopo la Terza Guerra d’Indipendenza le autorità della duplice monarchia cominciarono a guardare con sospetto la componente italiana ed avviarono il nefasto principio del divide et impera, favorendo la componente croata a scapito delle altre. L’allargamento del suffragio, l’apertura di scuole con lingua d’insegnamento croata, l’uso di tale idioma nelle pubbliche amministrazioni ed il contestuale ridimensionamento dell’italiano condussero ad una croatizzazione che avrebbe portato le nuove generazioni a distaccarsi dal lealismo proprio del vecchio partito autonomista dalmata e ad avvicinarsi a posizioni irredentiste.

Le autorità asburgiche favorirono, inoltre, tra fine Ottocento ed inizio Novecento l’immigrazione dall’entroterra sloveno verso Trieste e Gorizia, al fine non solo di iniettare manodopera nel porto e nei nascenti impianti industriali, ma anche e soprattutto di fronteggiare la crescente italianità che dagli strati borghesi cominciava a diffondersi anche a livello popolare, soprattutto grazie alle suggestioni alimentate dalle imprese garibaldine. I “regnicoli” (cittadini del Regno d’Italia che venivano a lavorare in territorio austro-ungarico) trovarono sempre più difficoltà ad inserirsi nel tessuto sociale e produttivo, nel quale invece si consolidavano sloveni e croati, grati e leali nei confronti di Vienna per le libertà ed i riconoscimenti alla propria identità che avevano ottenuto. Tutte queste tensioni fuoriuscirono dai consessi elettivi locali e portarono anche a scontri di piazza tra opposte fazioni nazionali, ma soprattutto sarebbero confluite nelle motivazioni nazionaliste della Grande Guerra.

Lorenzo Salimbeni – 04/03/2018

Fonte: Il Giornale d’Italia