«Riaprire un’inchiesta sulla strage di Vergarolla»
Il direttore de “L’Arena di Pola” Paolo Radivo ha presentato a Treviso e a Trento il suo libro La strage di Vergarolla (18 agosto 1946) secondo i giornali giuliani dell’epoca e le acquisizioni successive (editore Libero Comune di Pola in Esilio, Trieste 2016). A Treviso l’incontro, promosso dal Comitato provinciale dell’ANVGD, si è svolto nel pomeriggio di martedì 15 novembre nella Sala Verde di Palazzo Rinaldi davanti a un’ottantina di persone. Nella sua introduzione il presidente del Comitato, Bruno De Donà, ha definito l’eccidio di Vergarolla «uno dei delitti peggiori della storia dell’Italia repubblicana, la prima strage di stato, più orribile ancora di quella di Bologna». Non potendosi trattare di incidente visto che gli ordigni erano stati disinnescati, ha giudicato plausibile un’unica pista: quella dell’OZNA, «che sapeva tutto di tutti e conduceva una strategia del terrore». «Ma – ha aggiunto – l’inchiesta fu insabbiata in ossequio alla ragion di stato, tanto che finora nessuno ha pagato». Radivo ha fra l’altro citato alcuni atti della politica aggressiva, espansionistica e terroristica titina contro italiani e anglo-americani coevi a Vergarolla. «Il 26 agosto – ha detto ad esempio – “Radio Venezia Giulia” informò che nei giorni antecedenti dei pescatori pugliesi avevano notato fra Punta del Pizzo e Santa Maria di Leuca “piccole navi armate sconosciute”. L’agenzia “Informazione” aveva riferito che la Jugoslavia si stava “preparando febbrilmente alla guerra”. Nella notte fra il 29 e il 30 agosto un posto di blocco italiano con la Zona A nelle vicinanze di Tarcento (Udine), presidiato da alpini, fu attaccato con raffiche di mitra da militari jugoslavi, che poi si dileguarono. Il 31 agosto “Radio Venezia Giulia” riferì che, nel caso di una soluzione del problema giuliano sfavorevole alla Jugoslavia, l’“OZNA” stava organizzando gruppi di tre uomini armati, nei dintorni di Trieste e Monfalcone, con la parola d’ordine: “ogni giorno un cadavere” e “ogni mese una foiba piena fino all’orlo”». «Il 2 settembre – ha aggiunto – “Radio Venezia Giulia” disse che Parenzo era diventata una “piazza d’armi” con un numero di soldati jugoslavi di stanza mai visto prima. Sempre il 2 settembre la Polizia Navale del GMA sequestrò a bordo di tre piroscafi jugoslavi stazionanti davanti al porto di Trieste 3 fucili e 108 cartucce. Il 3 settembre “Radio Venezia Giulia” rese noto che pescatori anconetani avevano osservato “grosse colonne d’acqua sollevate da potenti esplosioni la di cui eco sarebbe stata distintamente udita anche dalla costa”. Il 5 settembre “Radio Venezia Giulia” comunicò che prigionieri tedeschi in mano jugoslava venivano arruolati nell’esercito ed inviati in Montenegro o in Serbia. Vista la fuga di parecchi fra questi, “tutta la costa” era “guardata da vedette e motoscafi”. Ancora il 5 settembre “Radio Venezia Giulia” parlò di violenti scontri “in molte località della Croazia fra indipendentisti croati e soldati titini”». Al termine della relazione di Radivo, l’esule polese Alma Brussi ha letto la poesia di Bepi Nider Vergarola. Quindi l’ospite ha illustrato 26 immagini inerenti Vergarolla già proiettate su un uno schermo in sequenza. Una esule da Fiume ha osservato come in Italia di Vergarolla non avesse mai sentito parlare. Un esule da Pola ha raccontato come subito dopo l’esplosione si fosse sparsa la voce che fra le vittime c’era anche un pasticcere, ragion per cui i clienti di suo padre si stupirono di trovarlo in vita quando lo rividero nella pasticceria di Via Kandler di cui era proprietario. L’esule polesano Luigi Venezia ha detto di essere scampato all’eccidio perché il padre non aveva voluto lasciarlo andare quella domenica a Vergarolla, vista la gran ressa. Ricorda bene inoltre gli ordigni accatastati sulla spiaggia dal maggio 1945: a lui sembravano lunghi proiettili da cannone. Non mine. Bruno De Donà ha lamentato come il processo “delle foibe – Piškulić” si fosse concluso senza esito perché la magistratura italiana constatò il decesso di alcuni imputati e prese atto dell’amnistia Togliatti. Radivo ha aggiunto che i giudici negarono altresì la propria giurisdizione in materia, poiché l’Armistizio lungo, quello del 29 settembre 1943, aveva privato le autorità italiane del controllo dei territori sotto occupazione alleata. Nel caso di Vergarolla si potrebbe obiettare che l’amministrazione civile era italiana e che il 20 agosto 1946 la Procura di Stato italiana di Pola, su disposizione del procuratore generale di Stato di Trieste, aveva avviato un’inchiesta, avocata dall’Autorità militare alleata il 26 agosto. Basterebbe solo riaprirla. Laura Vendrame ha auspicato che ciò avvenga quanto prima. Rispondendo a Liana Biasiol, Radivo ha reso noto che il Ministero degli Esteri ha declinato la richiesta di istituire una commissione di storici, avanzata nel 2014 da un’interrogazione parlamentare, dicendo che possono promuoverla le associazioni degli esuli tramite i fondi della legge 72/2001. Non c’è comunque da aver paura dei comunisti nostalgici di Tito, che ormai in Italia sono una piccola realtà. A Trento l’evento si è svolto nel pomeriggio del 18 novembre nella Sala Rosa del palazzo della Regione Autonoma Trentino – Alto Adige su iniziativa del Comitato provinciale dell’ANVGD, con il patrocinio della Regione e della Fondazione Museo Storico del Trentino. Una trentina i presenti. In esordio l’autore ha reso noto che il libro è stato stampato in 300 copie con i 7.000 euro promessi dallo Stato italiano ai sensi della legge 72/2011, ma finora corrisposti solo per metà e per il resto coperti dal Libero Comune di Pola in Esilio. Le offerte servono dunque a recuperare i 3.500 euro sostenuti dall’editore e a permettergli di continuare le proprie attività, prima fra tutte la pubblicazione de “L’Arena di Pola”. Roberto De Bernardis, presidente del Comitato, ha rilevato come di quella «strage terribile, peggiore di un bombardamento» non si sia parlato per 60 anni e come l’indagine processuale sia stata «soffocata per stabilizzare la situazione al confine orientale». Inoltre ha ringraziato Radivo «per il grande lavoro di documentazione fatto». Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione, ha lodato il rigore storiografico del libro, l’oggettività, l’ampio ricorso alle fonti, comprese alcune «in lingue per noi inaccessibili», l’esame di ben 39 testate giornalistiche giuliane (sintomo di pluralismo e vitalità), l’attenzione nel ricostruire l’elenco delle vittime e la capacità di approfondire il contesto storico, oltre alla vicenda in sé. «La funzione documentale di questo libro – ha proseguito – consentirebbe di riaprire un fascicolo processuale, benché ormai l’accertamento giudiziario della verità non sia possibile perché sono passati 70 anni e i colpevoli non sono più in vita. E’ molto interessante comunque la tesi dell’autore circa il movente psicologico, ossia la volontà di terrorizzare la popolazione, più che di colpire x o y. Radivo fornisce molte prove ed elementi, anche se non giunge a conclusioni definitive. Ben venga la ricerca documentaristica per impedire la banalizzazione della storia, farci fare passi in avanti, uscire dai luoghi comuni e non chiuderci nell’ottica ristretta del Giorno del Ricordo, per cui poi tutto torna come prima. Il libro tratta un argomento non residuale, colmando parzialmente omissioni e buchi. E’ un modo per ricostruire la storia dell’Italia repubblicana». «Nell’estate 1946 – ha dichiarato fra l’altro Radivo nel suo intervento – il regime jugoslavo, in preda a una psicosi dei nemici esterni ed interni, reagì sia aggredendoli preventivamente fuori e dentro i propri confini sia preparandosi a un’eventuale conflitto su più vasta scala. Il 13 agosto il “Messaggero Veneto” pubblicò un’indiscrezione secondo cui la Jugoslavia viveva “in un clima di attesa di una guerra non molto lontana”: “Sarebbero attualmente in piena efficienza alcune Armate, qualche cosa come un milione di uomini, pronti a marciare sull’Isonzo non appena la conferenza di Parigi dovesse decidere differentemente da come è nei desideri del gran capo e dei suoi tutori. Ogni Armata avrebbe incorporata una Divisione corazzata sovietica. Gli uomini sarebbero vestiti piuttosto male, talvolta con residui di magazzini e con calzature addirittura primitive, ma in compenso disporrebbero di eccellenti e modernissime armi. La guerra, secondo gli ufficiali, dovrebbe scoppiare al più tardi entro due mesi. Ma la popolazione non attenderebbe di meglio. E non già per far la guerra, ma per battersi contro il regime di Tito, contro il quale è in atto una serrata lotta clandestina che si svolge in tutto il Paese, sia pure tra difficoltà e pericoli”. Il 20 agosto il “Messaggero Veneto” scrisse che: “la Jugoslavia dà l’impressione di un paese sul piede di guerra. Governo e popolo vivono nell’attesa di avvenimenti decisivi. La sorveglianza delle coste è stata intensificata. Si lavora febbrilmente a nuove fortificazioni, e non solo gli isolotti strategici nell’arcipelago dalmata trasformati in piazzaforti con presidi fissi e modernamente equipaggiati seguiti da una vasta rete di segnalazioni marittime ed aeree, ma l’intero litorale della Dalmazia è munito di nuove fortificazioni. Non c’è tratto di costa che non sia approntato a difesa. […] L’organizzazione difensiva e offensiva si estende a tutta la costa albanese […] data la stretta intesa fra i governi di Belgrado e Tirana”». De Bernardis ha fatto presente come il defunto esule polese Sergio Rusich, citato da Radivo quale autore di un’importante rivelazione circa gli attentatori di Vergarolla, fosse stato un socialista comandante partigiano, poi costretto ad andarsene come gli altri suoi concittadini per il conflitto interno al movimento antifascista tra filo-jugoslavi e filo-italiani. Radivo ha quindi illustrato le 27 immagini prima proiettate su un uno schermo. Riprendendo le affermazioni di Ferrandi, ha spiegato di aver voluto scrivere un libro così documentato e corposo anche per favorire la riapertura del caso giudiziario. «Basterebbe – ha detto – che un magistrato di buona volontà lo leggesse per acquisire validi elementi istruttori». Claudio Taverna ha auspicato che il libro agevoli sia un’indagine penale sia un dibattito pubblico, mai fatto finora perché nessuno ha voluto affrontare l’imbarazzante questione. Una esule rovignese ha raccontato che alle 14.15 del 18 agosto 1946 si trovava in piazza a Rovigno quando udì un botto e vide un fungo nero in lontananza. Ma in città di quell’evento non si seppe nulla. Rispondendo a un’ultima domanda, Radivo ha confermato che a Pola dopo la strage molti non mangiarono più pesce, poiché non solo i gabbiani, ma appunto anche i pesci si erano cibati dei poveri resti di alcune delle vittime di Vergarolla. Le prossime presentazioni del libro avranno luogo giovedì 26 gennaio 2017 alle 19.45 al Circolo Volta in Via Giusti 16 a Milano su iniziativa degli Amici Triestini, mercoledì 8 febbraio presso l’Associazione delle Comunità Istriane a Trieste, martedì 14 febbraio all’Istituto Comprensivo “Giorgio Perlasca” di Ferrara, venerdì 24 febbraio all’Hotel Urban di Trieste su iniziativa dell’associazione EOS, e lunedì 6 marzo a Gorizia su iniziativa del Comitato provinciale dell’ANVGD.
L’Arena di Pola, 1 dicembre 2016