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15 Luglio

La cultura italiana vista dal resto del mondo: dibattito a Pescara

Nel nome di Flaiano incontri e premio

La eccezioni fanno riflettere. Pescara, con più di 123.000 abitanti, è la città più popolosa dell’Abruzzo, oltre che capoluogo di provincia. E’ situata sull’Adriatico, alla foce del fiume omonimo, adagiata tra i colli e il mare, a meno di un’ora di distanza dalle vette più alte dell’Appennino. Non ha un centro storico, inutile cercarlo. Distrutta durante la seconda guerra mondiale, saccheggiata alla ritirata dei Tedeschi, e’ stata ricostruita secondo linee precise, moderna, con riferimento il mare, il fiume omonimo e la ferrovia che insieme disegnano figure regolari quando non obbligano a fermarsi e mutare percorso.
Ecco perché Pescara esalta i suoi uomini, gli intellettuali che le appartengono e che la rendono suggestiva, per certi versi affascinante. In queste giornate d’estate, chiedendo venia a tutti i nomi illustri che l’hanno preceduto nel tempo – compreso Gabriele D’Annunzio – e’ Ennio Flaiano a diventare l’alfa e l’omega del gradimento del pubblico che raggiunge Pescara per assistere alle giornate dedicate al cinema, alla letteratura, ai convegni, ai premi della Fondazione a lui dedicata. La medesima ha creato in città un Museo del cinema, uno dei più completi in Italia.
Durante una cerimonia in una delle piazze di Pescara gremita di pubblico, e’ stato insignito del prestigioso riconoscimento “Il Flaiano”, nella sezione italianistica, anche il prof. Konrad Eisenbichler, dell’Universita’ di Toronto, nato a Lussinpiccolo, rappresentante della comunità Giuliano-dalmata in Canada. Lo stesso e’ intervenuto sabato al convegno intitolato “La cultura italiana in nord America” con un resoconto sulle tracce della lingua e cultura italiana in Canada attraverso la storia. Il primo italiano a mettere piede su suolo canadese fu Giovanni Caboto, veneziano, nel 1497. Lo seguirà Giuseppe Francesco Bressani, padre gesuita, a metà Seicento. Ma non si possono considerare portatori di italianità in quelle terre che saranno interessate da secoli di passaggi e colonizzazioni. Fino alle grandi migrazioni dell’Ottocento e Novecento quando gli italiani vi si stabiliscono per ragioni economiche ma anche in seguito all’esodo dalle nostre terre, come appunto la famiglia di Eisenbichler.
Oggi l’italiano in Canada – secondo un censimento del 2006 – e’ parlato dal 4,6 per centro della popolazione che si considera di origine italiana. La stragrande maggioranza di questi italo-canadesi, ha spiegato Eisenbichler, “a casa parla un dialetto e non l’italiano standard, o, meglio ancora, parla l’italiese – un misto di dialetto italiano e inglese. Lo stesso censimento del 2006 rivela che l’italiano e’ la quarta lingua parlata nelle famiglie canadesi, preceduto solamente dalle due lingue nazionali – inglese e francese – e dal complesso delle varie lingue cinesi…dal punto di vista etnico e non linguistico, gli italiani sono il quinto gruppo etnico in Canada dopo gli inglesi, gli irlandesi, i francesi ed i tedeschi”. Di conseguenza anche i corsi universitari sono ben frequentati e contribuiscono ad una buona percezione della lingua e cultura italiane. Il pericolo e’ nella recessione che rischia di contrarre nei numeri e nel significato una realtà importante.
Le riflessioni s’intersecano durante il convegno, introdotto dal presidente della Fondazione, Edoardo Tiboni e presieduto dal Vice Presidente, Ante Marianacci. Nelle prime file, Dacia Maraini, annota gli appunti su un quadernetto, a lei saranno affidate le conclusioni di una giornata intensa di suggestioni ed esperienze.
A partire da quelle di Salavatore Settis, archeologo, che conosce a fondo la realtà museale americana (e’ stato direttore del Getty Institute di Los Angeles), in grado quindi di sfatare il mito della privatizzazione come panacea a tutti i mali del sistema. “E’ vero – afferma – il privato interviene con donazioni importanti anche perché sono ampiamente detraibili ai fini fiscali. In questo modo il governo, attraverso la detassazione, interviene nel mantenimento dei musei”. È un suggerimento, la necessità di cambiare atteggiamento anche in Italia se si vuole uscire dalla crisi del settore. Con la consapevolezza comunque di quanto sia difficile il travaso di esperienze. Ci vorrebbe anche una nuova morale, avverte padre Augustine Thompson (Berkeley California) che ha parlato del francescanesimo nella cultura accademica e popolare americana per arrivare all’America dei miti nell’esposizione di Dante Marianacci (direttore dell’Istituo Italiano di Cultura del Cairo) . Al di la’ della moda e della cucina, la storia italiana, le bellezze architettoniche, la forza della letteratura, riescono a creare spazi di riflessione che contano. Anche se non così automatici o scontati. Rappresentare per esempio, un lavoro di Dario Fo in America significa superare barriere non solo linguistiche – avverte Joseph Farrell (Glasgow Scozia) . Fino a dove si può osare con l’ironia negli States? Porte aperte, ma non va toccata la bandiera. Il tutto attraverso una traduzione che deve commisurarsi agli strumenti culturali dello spettatore. “Per fortuna – sottolinea – Fo non conosce l’inglese!”.
Ma si è parlato anche di cooperazione italo-americana nel settore spaziale e della scienza, con l’astronauta Roberto Vittori, per cui la cosiddetta ” fuga di cervelli” si risolve in effetti in una veicolazione d’italianita’ nel mondo, un altro effetto inaspettato della globalizzazione.
Perché la domanda di fondo che si pone e’: quale la percezione che il resto del mondo ha di noi. Lo rivela l’interesse per la filosofia ed i suoi autori, cosi come nell’intervento di Alessandro Carrera (Houston) che avverte: “Per il mondo l’Italia inizia a Roma e finisce a Firenze con qualche incursione a Venezia, tutto il resto e’ una “realtà invisibile”. Per non parlare della questione del confine orientale, difficile da capire, quasi inaccessibile”. Eppure, avverte Portia Prebys ( Associazione dei programmi in Italia delle Università Americane) i giovani che partecipano ai corsi di formazione universitaria estiva in Italia, si portano a casa esperienze talmente forti che rimangono dei caposaldi nella loro vita.
Il resto e’ affidato a Dacia Maraini, Presidente della giuria del premio che abbraccia i partecipanti, li avvolge con le sue parole. Rimane il tempo d’attesa della consegna dei riconoscimenti.

Rosanna Turcinovich Giuricin

L’Osservatore Adriatico