Palatucci, la ricerca continua
La ricerca su Giovanni Palatucci continua. Le cifre sull’entità dei suoi salvataggi restano controverse ma della possibilità paventata dal New York Times che potesse essere rivista la sua collocazione fra i Giusti fra le Nazioni non si parla più, anzi per meglio dire lo Yad Vashem non risulta mai che abbia preso in considerazione l’ipotesi. Il Gruppo di ricerca istituito per tentare di fare chiarezza sulla figura dell’ex commissario dell’ufficio stranieri di Fiume (poi divenuto questore reggente, dopo l’armistizio) dopo i clamorosi echi mediatici internazionali dell’indagine del New York Levi Center che era arrivato a descriverlo tendenzialmente come un delatore dei tedeschi, chiude con un sostanziale nulla di fatto i suoi lavori.
La commissione costituita presso la Fondazione Centro di documentazione Ebraica contemporanea di Milano era stata istituita su richiesta dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, è stata coordinata dal presiedente del Cdec Michele Sarfatti. Il gruppo, insediatosi il 17 dicembre 2013, ha tenuto sei riunioni plenarie a Roma e Milano. Un anno e quattro mesi di lavori sintetizzati da uno stringato documento finale, che ha portato all’«acquisizione di nuove fonti documentarie», accanto all’esame di «documenti già noti e studi già pubblicati». Tuttavia, «dopo molti mesi di lavoro, l’esperienza del gruppo si conclude senza la produzione di una Relazione finale». Al di là delle posizioni diverse di partenza ha pesato la «complessità dell’esame delle testimonianze orali, in particolare nel periodo 1943-1944». È stata quindi valutata la possibilità di escluderle dalla relazione finale. Ma non sarebbe stato fatto un gran servizio alla verità, visto che un’opera svolta spesso in clandestinità non poteva e non può essere ricostruita senza il decisivo apporto delle fonti orali.
«Il gruppo ha quindi dibattuto con diversità di opinioni se fosse o no giusto produrre una relazione finale priva della parte sulle testimonianze, convergendo infine sulla non opportunità di produrla per evitare ad essa critiche di parzialità o di incompletezza». Una riflessione svolta «con amarezza, essendo consapevole che il proprio lavoro di ricerca documentaria e analisi storiografica aveva raggiunto un livello importante e innovativo». Dallo Yad Vashem, attraverso David Cassuto già vicesindaco di Gerusalemme, membro della presidenza del Museo Memoriale della Shoah- che già in passato si era detto «pienamente convinto dell’eroismo e della grandezza dei Palatucci», questore e vescovo – arriva ora un «apprezzamento per il lavoro degli studiosi, dei giornalisti e degli amici della Memoria che si sono impegnati per difendere la verità». Pur dicendosi consapevole di «correnti impegnate in un’opera di demolizione».
Per Roberto Malini, storico e studioso della Shoah, in questi mesi messosi a sua volta al lavoro per approfondire le ricerche sul commissario di origini irpine morto deportato a Dachau, «la posizione assunta dalla Commissione è matura ed equilibrata. Il gruppo di ricerca si riunì – ricorda – in seguito alle dichiarazioni rese al New York Times da Natalia Indrimi del Levi Center, che annunciava uno studio corredato da prove inoppugnabili contro Palatucci, studio che invece non è mai stato pubblicato. E mentre la Commissione iniziava i lavori, altri storici si sono messi al lavoro per tentare di riparare alla cattiva informazione diffusa dal quotidiano newyorkese. Le ondate di revisionismo e negazionismo, basate su considerazioni livorose e non su evidenze storiche, destano preoccupazione presso studiosi ed educatori che si impegnano quotidianamente affinché la memoria dei milioni di vittime e degli eroi che difesero la civiltà negli anni dell’orrore non venga offuscata».
Anche la famiglia ha ripreso le sue ricerche. Antonio De Simone Palatucci, avvocato montellese nipote diretto del commissario morto a Dachau, ha continuato le sue nel fondo di famiglia. Spunta un documento del 1953, un resoconto della cerimonia che portò al primo riconoscimento, in Israele, per Palatucci, con l’intestazione di una strada a Ramat Gan alla presenza dei due zii del poliziotto, il vescovo di Campagna Giuseppe Maria Palatucci e il fra’ Antonio Palatucci, superiore dei francescani. La traduzione dall’ebraico del puntuale resoconto di quella giornata su un giornale locale restituisce ora alcune curiosità. Colpisce la presenza, fra le autorità, del rabbino di Budapest Fabiano Herschkoovits, a riprova che gran parte dei salvataggi riguardarono proprio ebrei jugoslavi in fuga (il che accresce di molto il numero dei salvati da Palatucci), colpisce l’entusiasmo della gente del posto, molti testimoni diretti dei fatti risalenti a soli 8 anni prima. Colpisce infine che il sindaco Krinizi e anche l’articolista ebreo parlino per tre volte di Palatucci come un «martire». Esattamente 60 anni dopo c’è chi ha provato a ribaltare i fatti, ma a quanto pare le prove non ci sono.
Al contrario, fra le poche cose trapelate dei lavori della commissione emerge che un giovane studioso, Ivan Jelicic, ha trovato un documento in cui persino i partigiani jugoslavi presentavano Palatucci come un benefattore degli ebrei. «Ho inviato il comunicato da parte della Commissione Palatucci al professor David Cassuto e agli altri storici del Memoriale Yad Vashem con cui collaboro e so che lo leggeranno con sollievo», dice Malini. Ora si può guardare avanti con più serenità. «È stato un lavoro fecondo – assicura Michele Sarfatti – tutti, nessuno escluso, hanno dato il loro contributo. Alcuni aspetti sono stati confutati, ma ne sono emersi di nuovi, molti e molto importanti. Il mio auspicio – conclude il presidente della commissione – è che questa opera di ricerca continui, per avvicinarsi il più possibile alla ricostruzione di una figura, ma anche di un periodo della nostra storia, fra i più complessi e difficili.
Angelo Picariello, «Avvenire», 25/03/15