Autore: Paolo Gheda - Federico Robbe
Anno di pubblicazione: 2015
Casa editrice: Guerini e Associati
Tra due fuochi: preso nella morsa tra i comunisti jugoslavi da una parte e i neofascisti italiani dall’altra. Così doveva sentirsi Giulio Andreotti, allora giovane sottosegretario alla presidenza del Consiglio, quando inviò una lettera, datata 2 dicembre 1950, al ministro degli Esteri Carlo Sforza. A preoccuparlo era il territorio libero di Trieste, diviso tra una Zona A (comprendente la città) amministrata dagli anglo-americani e una Zona B affidata agli jugoslavi. Questi ultimi, denunciava Andreotti, avevano instaurato ai danni degli abitanti italiani «un regime di polizia e di affamamento tendenzioso». Ma il peggio era che Stati Uniti e Gran Bretagna blandivano Tito, dopo la sua rottura con Stalin, e tolleravano nella Zona B «uno stato di fatto degno in pieno delle peggiori tradizioni naziste», causando un enorme imbarazzo al governo italiano.
Sul versante opposto c’era il problema della destra nazionalista e nostalgica, che approfittava della situazione per svolgere un’opera propagandistica intensa ed efficace, capace di fare presa a livello nazionale. «Purtroppo — scriveva Andreotti a Sforza — è proprio da Trieste che può scoccare la scintilla di una reazione contro la quale tutte le leggi antifasciste sarebbero inutili».Va ricordato che poco prima, nel novembre 1950, il governo aveva vietato il Congresso del Msi in programma a Bari e aveva presentato il progetto contro il neofascismo poi passato alla storia come «legge Scelba» dal nome del ministro dell’Interno.
La lettera è citata in un interessante e ben documentato saggio di Paolo Gheda e Federico Robbe, Andreotti e l’Italia di confine (Guerini e Associati), in cui gli autori analizzano il ruolo svolto dal sottosegretario democristiano, tra il 1947 e il 1954, come referente politico dell’Ufficio zone di confine (Uzc), l’organismo che si occupava di tutelare l’italianità del Trentino Alto Adige, della Valle d’Aosta e soprattutto del Friuli Venezia Giulia. Alcuni studiosi che si sono occupati dell’argomento hanno accusato Andreotti di aver sostenuto in quel periodo l’estrema destra eversiva in funzione anti-jugoslava, ma la lettera a Sforza dimostra che in realtà il futuro capo del governo temeva l’ascesa del Msi e da altre carte emerge che il suo fu un atteggiamento pragmatico, preoccupato soprattutto di recuperare Trieste all’Italia.
Certamente l’Uzc utilizzò in Venezia Giulia anche ex agenti dell’Ovra fascista, per esempio il commissario di polizia Enrico Scopoli. E Andreotti, con l’appoggio del presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, si adoperò invano perché i partiti italiani costituissero un fronte elettorale unito, senza escludere i missini, a difesa dell’identità nazionale di Trieste. Ma nel contempo gli stessi Andreotti e De Gasperi sabotavano a Roma la cosiddetta «operazione Sturzo », sollecitata da Pio XII per aggregare in un blocco anticomunista i cattolici e le destre alle elezioni comunali. È chiaro, secondo Gheda e Robbe, che lo scopo di Andreotti a Trieste non era sdoganare il Msi, ma «assorbirlo in un fronte più ampio», in modo che non costituisse «un polo di attrazione per le masse insoddisfatte» nella città giuliana.
Antonio Carioti, «Corriere della Sera», 16/07/15
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