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November 21st, 2024
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Romano Boico

Professione: Architetto
Luogo: Venezia Giulia
Autore: Autore Sconosciuto

I decenni che seguono il ritorno di Trieste all'Italia sono, dal punto di vista architettonico, tra i più discussi della storia della città, in preda a una ricostruzione incontrollata generata da carenza di piani regolatori e di precise normative. Ma sono anche gli anni in cui si mettono in luce personalità di spicco come l'architetto Romano Boico che manifesta, pur sensibile ai dibattiti teorici del tempo, una piena libertà compositiva rispetto agli schemi, alle scuole e alle mode dominanti all'epoca. Una figura di convinto individualista che sembra più propenso a esercitare concretamente la professione che a elaborarla teoricamente. Boico nasce a Trieste il 18 aprile 1910 da padre triestino, grossista alimentare di mestiere, e da madre friulana. Dopo aver concluso le scuole tecniche frequenta la scuola allievi ufficiali di Brà in Piemonte e, poi, nel 1932 ottiene il suo primo lavoro effettuando rilievi altimetrici per la costruzione di un acquedotto in Liguria. Dopo un breve ritorno a Trieste, nel 1934 si trasferisce a Zara dove lavora per un anno al piano regolatore predisposto dal Comune. Tuttavia, è ad Arsia, in provincia di Pola - dove svolge il compito di controllore dei lavori progettati dall'architetto Pulitzer-Finali, il suo maestro, per la costruzione di un villaggio minerario per cinquemila persone - che Boico riceve lo stimolo per intraprendere, nel 1939, gli studi universitari di architettura. Scoppiata la guerra, viene inviato sul fronte jugoslavo, ma sul finire del 1942 torna per un anno ad Arsia, considerata industria bellica, dove riprende il lavoro e gli studi e dove, nel luglio del 1943, sposa la ventitreenne studentessa goriziana Maria Orzan da cui avrà quattro figli. Dopo la laurea (15 novembre 1944) Boico comincia a lavorare a Milano, ma presto torna a Trieste per svolgere, oltre a un incarico in un'impresa edile, anche la libera professione, che dal 1947 diventa il suo interesse esclusivo. Negli anni successivi, contemporaneamente ai primi lavori edilizi, egli affronta, in collaborazione con Umberto Nordio - la guida del gruppo - Aldo Cervi e Vittorio Frandoli, una prestigiosa attività di allestimenti navali che lo porta in contatto con affermati pittori, scultori e decoratori con i quali lavora sulla Turbonave Conte Biancamano e le Motonavi Augustus, Homeric, Neptunia, Australia, Asia e Africa; attività che poi continua individualmente, realizzando gli interni per le Turbonavi Marconi - rivoluzionaria nell'allestimento navale italiano - e Oceanic, la Motonave Italia e i progetti per la Raffaello e la serie di navi traghetto "Canguri". Il suo interesse scema quando, con la Raffaello, si comincia ad affermare una concezione della nave come oggetto di consumo rispetto a quella originale e personalizzata che è nell'animo di Boico. Comunque questa creativa esperienza - tesa verso l'"opera d'arte totale" - gli fa ottenere, fino al 1980, l'insegnamento di "Architettura d'allestimento" all'Istituto di Architettura Navale, nonché gli imprime un'impostazione architettonica - la divisione e l'organizzazione degli spazi e l'uso delle superfici convesse, ad esempio - che egli poi travasa nella successiva produzione civile. Molte sono le sue opere sia di edilizia pubblica - la nuova sede dell'INAM, il palazzo dell'Anagrafe, lo Stabilimento cartotecnico Sadoch, le tribune coperte dell'Ippodromo, il Policlinico Salus, i Magazzini UPIM - che privata tra cui, iniziata nel 1960-61 con l'incantevole villa nel porticciolo di Duino, la "famiglia delle ville" realizzata nei vent'anni successivi sulla costa triestina e sul Carso in armonia con l'ambiente. Grande valore storico e morale assume la sua vittoria nel concorso per la trasformazione della Risiera di San Sabba in monumento nazionale (1967 - 1974); un progetto che egli intende volto a "rammemorare le vittime, ammonire i viventi, in una società che annida la violenza. In tutti i continenti". Un'impostazione ideale dettata, tra l'altro, dai tragici fatti del periodo, segnato dall'uccisione di Martin Luther King e di Bob Kennedy, dal Vietnam e dall'invasione sovietica della Cecoslovacchia. Una realtà, cioè, che gli sembra aver perduto i valori fondanti di quella Resistenza a cui Boico vuole innalzare, perché continui a germogliare, il monumento. Per lui, nel lager triestino, in quel microcosmo separato dal mondo, tutto deve essere stilizzato e scheletrico perché l'enormità dell'accaduto non permette di usare "parole" più articolate mentre deve essere resa solo l'angoscia senza requie, com'è evidente già dal possente corridoio d'ingresso. E nel selciato del cortile, volutamente "perfetto" rispetto ai circostanti edifici fatiscenti in modo da creare un'atmosfera surreale e allucinante, si delinea, suggerito da particolari accorgimenti realizzativi, il percorso del fumo del forno crematorio verso il camino, rappresentato dalla scultura "La Pietà P. N. 30". Un simbolo della più autentica umanità di Boico che ha voluto significare che "se è vero che ognuno di noi preferirebbe essere un morto della Risiera, anziché un nazista sopravvissuto, è chiaro che non possa sussistere oggi altro sentimento che una pietà per tutti: morti, vivi, e per gli stessi nazisti, vittime e insieme macchine terrificanti del vorticoso impazzimento nazista". Chiusa la fase della Risiera, egli inizia il periodo del "recupero dell'esistente" in palazzi pubblici, aziende, case e ville private mentre l'ultima grande fatica consiste, tra il 1974 e il 1979, nella Casa dello Studente dove, nei suoi dodici piani, Boico tenta di contemperare il necessario spazio individuale di ogni singolo studente con le finalità comunitarie dell'edificio. Attivo fin quasi alla morte, avvenuta agli inizi del 1985, Boico ha espresso una creatività architettonica che se nel campo dell'edilizia è concentrata soprattutto a Trieste, con le navi ha, invece, solcato i mari del mondo.