Ivone Cacciavillani alla bancarella con Istria veneziana
Autorevole e disordinato, ma soprattutto innamorato della storia di Venezia, l’avvocato Ivone Cacciavillani dopo decine di opere sul tema ha recentemente presentato il suo ultimo volume “Istria veneziana” a Trieste, nel contesto della Bancarella – Salone del libro dell’Adriatico orientale. Si tratta di un saggio che ha dato avvio, nel 2012, alla collaborazione editoriale fra l’Associazione Coordinamento Adriatico e Leone Editore che ha voluto pubblicare il volume con alle spalle la convinzione di potere incidere sempre di più nella promozione e la conoscenza di una parte di storia italiana quasi sempre esclusa dal contesto e dalle vicende storiografiche nazionali. Con questo lavoro, che evoca le tappe fondamentali dell’Istria sotto San Marco soffermandosi in particolare sugli aspetti istituzionali e pubblicistici, è stata inaugurata poi la Collana «Adria». Strutturata in due sezioni – Adria Scienze Umane (collana scientifica, saggistica e metodologica) e Adria Società e Approfondimenti (collana multidisciplinare) – la stessa si prefigge lo scopo di essere strumento e manifesto della pluralità e del pluralismo delle scuole e degli orientamenti che alimentano le discipline scientifiche interessate. “In conformità alla Berlin Declaration on Open Access to Knowledge in the Sciences and Humanities e alla Dichiarazione di Messina la Collana è ad “accesso aperto”- ha spiegato a Trieste in apertura dell’incontro Giuseppe de Vergottini, storico esponente di Coordinamento Adriatico che ha poi presentato Cacciavillani come uno dei massimi esperti di storia veneziana e dell’ influenza di Venezia sulla storia dell’Adriatico. L’autore e De Vergottini erano accompagnati da Davide Rossi e Giorgio Federico Siboni, a loro volta autori di due saggi che si legano al primo di Cacciavillani. Da quanto emerso, tutti questi libri hanno ottenuto un certo successo anche nazionale e godono ormai dei frutti delle prime ristampe. La distribuzione in tutta Italia era, in effetti, parte del progetto iniziale ma il risultato, ovviamente, non poteva essere scontato. Non stona, in tutto questo, la notorietà e il lavoro che, in campi diversi, svolge da anni sul tema Cacciavillani, che spesso trova spunti per ricordare la grandezza, le implicazioni e la reale estensione di Venezia anche dalle pagine del Corriere della sera, dove scrive come editorialista. Lo storico ha esordito così nel presentare il suo ultimo lavoro: “L’oggi ci fa essere un po’ tutti istriani. La descrizione delle vicissitudini istriane nei cinque secoli della Dominazione – l’ultimo periodo in cui la parte occidentale della penisola visse in unitarietà di regime giuridico e politico – diventa di grandissima attualità per cercare di carpirne il segreto”. Che pare consistere, da quanto emerso, in quel “costume di autonomia di cui la Dominazione in l’Istria fu impareggiabile esempio. Sostanzialmente un puzzle di Podesterie dotate d’un potere di autodeterminazione che solo sotto la Serenissima ebbe modo di plasmarsi e di sopravvivere”. Questo tema in particolare commuove l’avvocato che afferma di sentirsi “colpevole come veneziano di aver cancellato la cultura istriana. Aldilà del canale, aldilà del golfo di Venezia – come lo chiamiamo noi – non se ne parla più ed è una grande colpa della cultura veneta”. Per questo l’Istria è l'”altro veneto” e Cacciavillani lo spiega semplicemente ricordando che “Pola è molto più Venezia che Padova, nell’architettura. Sembra di essere tra i sestrieri della Serenissima. In qualche modo, bisognerebbe creare un ponte: voi siete vivi, ma noi vi abbiamo dimenticato”. Il suo volume, come il suo intervento, non vuole però essere solo una testimonianza di attaccamento ma una spinta concreta verso i veneti e verso una sensibilizzazione generale che passa attraverso le suggestioni giuridiche che ancora oggi Venezia, con il suo passato, può ispirare. Fermo restando che i tempi sono cambiati e i paragoni potrebbero risultare davvero difficili in un altro contesto. In particolare Cacciavillani di rimando ci comunica il suo stupore per la modernità degli Statuti di allora, che interessavano le singole località, come ad esempio quello di Dignano del 1345 ma anche come “la prima legge al mondo sull’equo canone in agricoltura, risalente al 1447”. E guardando agli inizi, quando Venezia arriva, di fatto, in Istria, si trovano spunti anche per costruire con altre modalità futuri rapporti diplomatici, che includevano, con la Repubblica, una contrattazione con le varie città a condizioni specifiche, dove ognuno conservava gli statuti propri. “Pensando oggi al federalismo, sottolinea l’autore – si può notare che alle regioni si danno funzioni proprie, ma se le paragoniamo a quelle di Venezia sono peggiori. Ad esempio, l’ordine pubblico veniva affidato al podestà del luogo, non esisteva un ministero preposto come oggi. Cerchiamo di immaginare oggi questa autonomia: è semplicemente impossibile”. E Cacciavillani, pregno dei sentimenti che lo portano a dire che “noi veneti siamo tutti sotto sotto istriani” ricorda anche, con tristezza, che lo schema costituzionale dell’Istria veneziana da alcuni storici da lui considerati “di bassissimo rango” è stato chiamato “colonialismo”. Per sottolineare invece la sua modernità e funzionalità, lo scrittore fa invece notare che l ‘assetto costituzionale del ‘300 ha retto l’intera area veneta per un numero di secoli tale da spazzare via vari confronti. “E’ un ordinamento dei più antichi al mondo, con riforme continue e , tutto sommato, pochi scontri. Certo, anche qui c’erano dei problemi, funzionari e reggenti che “allungavano le mani” ma con una certa prudenza”. Ed è presto detto perché. Ad esempio, per il furto di denaro pubblico, alcuni banditi venivano condannati all'”abbrucciamento e allo squartamento”, in quanto si erano resi colpevoli di una violazione sacra che derivava dal diritto romano. Rubare denaro pubblico voleva dire rubare alla collettività e ciò determinava pene severissime, mentre, se ci pensiamo, oggi i reati contro il patrimonio non figurano affatto nei primi posti in una sorta di classifica dell’illegalità, (in effetti, con le leggi dell’epoca non si potrebbero evitare diverse carneficine). Anche in questo caso, “ci vuole la contestualizzazione, oggi è difficile giudicare, è un po’come parlare di una flotta e poi dire che si trattava in fondo solo di “barconi” perché non comunicavano tra loro come in tempi più moderni” – afferma ancora lo studioso. Lo spunto si ricollega ad una Venezia in cui contava soprattutto la conquista militare. Per questo, nello studiare le vicissitudini dell’Istria veneziana, non bisogna dimenticare, secondo l’avvocato, che “negoziare con una potenza straniera il proprio status proprio era fuori discussione, perché chi conquistava una terra faceva quello che voleva della terra conquistata. Dovete capire cosa han fatto i vostri padri negoziando” – spiega Cacciavillani, sempre in riferimento al federalismo odierno e alle sue criticità.
Nel volume e nell’incontro si è finito per parlare di Podestà e delle loro effettive difficoltà economiche una volta sbarcati in Istria. “Ad esempio il reggente di Valle, faceva talmente la fame che andava a rubare le galline e nelle podesterie istriane le nobildonne andavano a mendicare nelle calli con lo stemma della casata”. I podestà comunque duravano in carica 18-24 mesi e ben si adeguavano all’esser mantenuti miseramente nel Palazzo pretorio che gli spettava. Spesso l’alternativa era andare a mendicare a San Marco ma non per questo il loro ruolo e il suo prestigio erano minori. Ne sanno qualcosa i paesi veneti dove si sono condotte lotte secolari per avere un Podestà. Cacciavillani conclude il suo intervento con un consiglio: “Andate a visitare il territorio, perché è là che troverete scritto tutto, più che nei libri”.
Al suo discorso si è ricollegato con poche parole, (causa esigenze temporali dei singoli incontri della Bancarella), Davide Rossi, il quale ha iniziato con una provocazione: “Dovremmo invece contare quanti sono gli istriani divenuti illustri fuori dall’Istria per capire quanto Venezia deve all’Istria, piuttosto che il contrario”. Anche per lui è difficile accettare il fatto che non si riesca a capire che “l’Istria fa parte della cultura italiana”. Il suo collega Giorgio Siboni, parlando invece del suo saggio dedicato all’Istria dopo la Serenissima, ha posto l’accento sul circuito che Venezia ha creato in Istria e sulle sue proiezioni sulla terra ferma. “Oggi siamo nel contesto difficile dell’Unione europea, in una fase di crisi economica e politica e non possiamo non considerare che qui, nel 15.esimo e nel 16.esimo secolo, c’erano istituzioni non imperiali che avevano creato un contesto europeo. Certo – precisa l’autore – non possiamo attualizzare questa situazione storica ma possiamo riconoscere che Venezia aveva proposto soluzioni infracomunitarie e supercomunitarie molto attuali, come ad esempio le proposte per tenere sotto controllo l’erosione dei territori forestali o la piantumazione dei boschi. L’Unione europea – conclude – di questi argomenti ne ha fatto uno dei capitoli principali per la gestione del territorio”. E anche dal punto di vista culturale, afferma infine Siboni, “a certi livelli Parigi era come l’Istria, si leggevano gli stessi libri, si osservavano abitudini simili, si seguivano determinate mode”. L’Europa insomma, è un po’ dove la andiamo a cercare, dove la ricordiamo e come la andiamo a ricostruire grazie anche alla memoria e all’appartenenza che determinano il particolare tono di una specifica umanità.
Emanuela Masseria
L’Osservatore Adriatico
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