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Premiata “La campana di Harzarich”

Menzione di merito a Elio Varutti col racconto-intervista La campana di Harzarich al Premio Letterario Internazionale “Villotte: Storie In Cammino…, Un Cammino di Storia” di San Quirino (PN). Terza Edizione 2020.
Il Concorso è insignito della Medaglia Premio di rappresentanza del Presidente del Senato della Repubblica Italiana. Il Presidente del Parlamento Europeo On. Davide Sassoli, ha concesso “L’alto Patrocinio del Parlamento Europeo”.
La menzione ricevuta è per la Sezione G – Racconti Adulti a tema “L’esodo”.
Nella fotografia di apertura: la campana del camion dei pompieri del maresciallo Arnaldo Harzarich di Pola, con l’effigie di S. Barbara.

La campana di Harzarich. Intervista sull’esodo istriano, 1943

Questo brano non voleva uscire dalla penna, né dalla tastiera del computer. Del resto, raccontare delle foibe e dell’esodo istriano non è poi così facile. Andare a rovistare nella memoria può risvegliare i fantasmi del passato. Riacutizza il dolore per le persone perdute. Riaccende persino le polemiche più sterili.
Certo, anche questa è storia d’Italia e non la si può dimenticare. Nell’epoca in cui i social network contribuiscono ad indebolire le capacità mnemoniche, allontanando da noi le esperienze intime, il ricordo allora diventa un fatto antropologico di grande valenza etica.
Trovare la campana d’allarme del camion dei pompieri del maresciallo Arnaldo Harzarich non è cosa di tutti i giorni. Io l’ho vista a Tricesimo, provincia di Udine, a villa Berlam. “Il maresciallo Harzarich l’aveva regalata a mio zio – dice la signora Marisa Roman, nata a Parenzo nel 1929 – che si chiamava Gino Privileggi, per ricordare suo fratello Carlo Alberto Privileggi, finito tra le vittime riesumate dalla foiba di Vines dai pompieri di Pola”.
Chi è il maresciallo Harzarich? È colui che dal 21 ottobre 1943 andò a riportare alla luce ben 84 salme nella foiba di Vines, presso Albona, in Istria, secondo Il Piccolo del 22 ottobre 1943. L’ingegnere Privileggi lavorava ai cantieri di Monfalcone, perciò secondo i dettami della pulizia etnica iugoslava era da eliminare, come la maestra, il farmacista, il notaio e il podestà del paese. Dopo l’8 settembre 1943, con l’esercito italiano allo sfascio, i partigiani titini occuparono l’Istria. In quel frangente, per vendetta contro i soprusi patiti sotto il fascismo, effettuarono le uccisioni nelle foibe. “Mio zio, fratello di mia madre – aggiunge la signora Roman – fu fatto prigioniero con altri ‘per accertamenti’, dissero, e dalla caserma dei carabinieri di Parenzo i titini lo portarono al castello di Pisino”.
E poi, ci fu qualche testimone di questi tragici fatti?
“I titini trasportarono gli italiani da eliminare con una corriera requisita – continua la Roman – e il familiari ed ebbe la conferma che quello era un regalo ricevuto dallo zio Carlo Alberto quando lavorava in Egitto. Io ero adolescente – dice la Roman – e frequentavo la scuola magistrale di Parenzo e la mia insegnante di italiano era Norma Cossetto, che fu stuprata da 17 aguzzini, gettata nella foiba di Villa Surani, che si trova tra Pisino e S. Giovanni della Cisterna”. È profonda 135 metri. Nei giorni 11 e 12 dicembre 1943 furono estratte testimone è proprio l’autista”.
In che senso?
“Lui vide i partigiani col fucile scortare i prigionieri verso la macchia, dove c’è la foiba, sentì gli spari e vide tornare solo quelli coi fucili”.
Come avete scoperto la foiba di Vines?
“Mio zio Gino con certi paesani si mise a girare per i paesi dell’Istria, chiedendo ai contadini se sapevano qualcosa e loro gli dissero dell’autista e di quella corriera che faceva vari viaggi da Pisino alla foiba di Vines, profonda 226 metri. Poi furono avvertiti i pompieri, che in ottobre si mossero col camion, al suono della campana con l’effigie di S. Barbara che lei vede qui”.
Cosa sa dei corpi delle vittime?
“Alcuni erano legati a quattro a quattro col filo di ferro alle mani – risponde la Roman – qualcuno aveva il colpo alla testa e altri solo fratture, così finirono nella cavità carsica ancora vivi, trascinati dalla vittima che aveva ricevuto il colpo alla nuca”.
Siccome i cadaveri erano nudi e irriconoscibili, come avete individuato lo zio Carlo Alberto?
“Mio zio Gino vide una salma che portava un bracciale passatempo di perline, lo prese e lo portò ai familiari ed ebbe la conferma che quello era un regalo ricevuto dallo zio Carlo Alberto quando lavorava in Egitto. Io ero adolescente – dice la Roman – e frequentavo la scuola magistrale di Parenzo e la mia insegnante di italiano era Norma Cossetto, che fu stuprata da 17 aguzzini, gettata nella foiba di di Villa Surani e recuperata dai pompieri di Harzarich. Noi compagne di classe restammo sconvolte da quel fatto atroce. Come si fa a fare quelle cose?”
Questi eventi lasciano sgomenti, ma c’è qualcuno che si salvò dalla foiba?
“Mio padre si salvò – spiega la Roman – perché un amico d’infanzia, pur di sentimenti slavi, mentre si trovava a Fontane, a 6 chilometri da Parenzo, dove è cresciuta tutta la mia famiglia, gli disse di non stare in casa una certa sera, anzi se lo portò a dormire per qualche giorno a casa sua, così fu salvato dai prelevamenti forzati, invece mio cugino Bruno Roman di Canfanaro, nel 1943, si è dovuto scavare la fossa e fu obbligato dai partigiani a portare un sacco di pietre, con le quali lo lapidarono”.”.
È mai ritornata in Istria?
“Siamo venuti via nel 1943, ospiti dell’architetto Arduino Berlam a Tricesimo, un mio zio acquisito. Solo da pochi anni vado con altri parenti e le associazioni degli esuli al cimitero di Parenzo, per omaggio alla lapide delle 92 vittime della guerra. Abbiamo dovuto persino cambiare il testo della lastra, perché la dicitura ‘vittime delle foibe’ fu respinta dalle autorità odierne”.
Il ricordo le serve a placare il dolore dell’esilio?
“Poco – risponde –. Mia  nonna, Maria Privileggi Clarici, originaria di Pinguente e cresciuta a Parenzo vicino alla Basilica Eufrasiana, diceva che qui a Tricesimo, siamo stati bene accolti, ma in questa bella casa non è riuscita a trovare neanche un cantonzin tranquillo”.
Cosa ne pensa dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia, presieduta a Udine dall’ingegnere Silvio Cattalini, esule da Zara?
“L’Associazione fa molto, ma noi profughi siamo come piante sradicate”.
Cosa le resta di tutto ciò?
“Mi è rimasto un grande senso di ingiustizia per ciò che abbiamo passato”.
CENNI BIBLIOGRAFICI (di E. Varutti)
Sul maresciallo Arnaldo Harzarich (Pola, 3 maggio 1903 – Merano, 22 aprile 1973) esistono varie fonti documentarie. Fra i vari autori si veda, pur con la presenza di alcuni errori, il volume di padre Flaminio Rocchi, “L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati”, Roma, Edizioni Difesa Adriatica, 1990, che contiene anche le macabre immagini dell’esumazioni delle salme della foiba di Vines, guidate da Harzarich.
Su Villa Berlam di Tricesimo, opera del 1914 dell’architetto Arduino Berlam, vedi il contributo della stessa Marisa Roman, “Cinque eserciti e una casa”, in Enos Costantini (cur), “Tresesin. Ad Tricesimum”, LXXXVIII Congrès, Tresesin, ai 2 di Otubar dal 2011, Udin, Societât Filologjiche Furlane, 2011, pp. 305-310.
L’uccisione nella foiba dell’ingegnere Carlo Alberto Privileggi era quasi inedita nel web sino al 15 agosto 2014. Viene menzionato in wikipedia nell’elenco delle 66 vittime nella foiba di Vines (visualizzazione del 15 aprile 2015). Viene citato così, in ordine alfabetico: “54. Privileggi Carlo Alberto, di Giuseppe e di Maria Clarici, nato il 30-11-1894 a Parenzo, ingegnere, vice direttore dei Cantieri Navali di Monfalcone; arrestato a Parenzo il 4-10-1943, infoibato a Vines”.

Egli, poi, è menzionato in alcuni libri. Ad esempio, risulta nell’elenco degli “Infoibati 1943” a pag. 254 di: Giuseppe Cuscito, Lina Galli, Parenzo, Padova, Liviana, 1976. Viene citato a pagina 7 del seguente studio del Consorzio Culturale Monfalconese, con varie fotografie di gruppo: Archivio della memoria, Museo della Cantieristica. Luigi Papo de Montona lo menziona così nella lista degli infoibati di Vines: “Carlo Alberto Privileggi di Giuseppe e di Maria Clarici, nato il 30.11.1894 a Parenzo, residente a Monfalcone, ingegnere civile e vice direttore dei Cantieri Navali di Monfalcone; arrestato a Parenzo”. (Luigi Papo de Montona, L’Istria e le sue foibe. Storia e tragedia senza la parola fine, vol 1°, Unione degli Istriani Trieste, Roma, Edizioni Settimo Sigillo, 1999, pag. 112).

La vicenda di Norma Cossetto, torturata, violentata e gettata nella foiba il 5 ottobre 1943, è stata raccontata dalla sorella Licia Cossetto e dallo zio ammiraglio Emanuele Cossetto, che identificarono la salma. Fu trovata nella foiba di Villa Surani.
Nella foiba di Castellier di Visinada furono estratti, invece, i corpi del padre della Cossetto, Giuseppe, andato a cercarla assieme ad un parente, Mario Bellini, uccisi entrambi dai titini. (F. Rocchi, L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati,… cit. p. 32.).
Della lapidazione di Bruno Roman non ho trovato cenni bibliografici, quindi pare un altro inedito. Al già citato Luigi Papo de Montona, con il suo “L’Istria e le sue foibe…” del 1999, va riferita la lapidazione di “Giuseppe Cernecca di Giovanni, nato a Gimino il 19.3.1899, impiegato del Comune, fu arrestato a Buie (…) caricato di un sacco di sassi, con i quali – nei disntorni di Villa Piffari (a 4 km da Gimino) venne lapidato” (pag. 70).
Di Silvio Cattalini (a cura di) si veda: “Foibe, finalmente un monumento a Udine, 25 giugno 2010″, Rassegna stampa, Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia, Comitato Provinciale di Udine, 2010.
A questo punto due parole sono dedicate al Rapporto Maffi del 1957. È chiamato il “Rapporto Maffi”. Caduto il segreto militare, nel 2013 è finalmente stato pubblicato il rapporto di Mario Maffi (Cuneo 1933), ufficiale degli Alpini, fotografo e speleologo, calatosi per ordini superiori nel 1957 dentro alcune foibe e nel pozzo minerario di Basovizza (detto comunemente Foiba di Basovizza, oggi Monumento nazionale), presenti i Carabinieri, il Gruppo Grotte di Monfalcone e la Società Alpina delle Giulie. Fotografò ossa umane e molte altre prove dell’eliminazione effettuata dai partigiani titini. Il rapporto Maffi per la foiba di Monrupino stima una presenza di circa 500 cadaveri, mentre a Basovizza sono più del doppio, considerati gli oltre venti metri di stato saponoso sulle pareti. Di notte e in segreto furono ispezionate anche altre quattro foibe poco oltre la frontiera jugoslava, con analoghi risultati.
Scrive Maffi: “La china di pietrisco proseguiva anche in questo secondo ambiente formando una scarpata di oltre una decina di metri. Lo discesi e mi sentii accapponare la pelle. Tra il pietrisco su cui camminavo spuntavano ossa umane: una mandibola, alcune costole, un osso iliacosacrale, vertebre, un braccio così corto da far pensare ad un bambino di 7 o 8 anni. Spostando le pietre si mettevano a nudo ancora ossa e materiali informi marcescenti neri che potevano essere lembi di panno mescolati ad ossa”. Si veda: Mario Maffi, “1957. Un alpino alla scoperta delle foibe”, Udine, Gaspari, 2013, pag. 80.
Altri testi pubblicati di recente sul tema: Paolo Scandaletti, “Storia dell’Istria e della Dalmazia. L’impronta di Roma e di Venezia, le foibe di Tito e l’esodo degli italiani”, Pordenone, Biblioteca dell’Immagine, 2013. Nella letteratura dell’esodo, fino agli ultimi decenni del Novecento, la questione delle foibe viene trattata in modo marginale dagli stessi esuli autori dei libri. In un volume di oltre 300 pagine su Dignano d’Istria, ai tragici fatti del 1945 sono dedicate due righe: “Prelevamento e forzato avvio verso la morte di diversi tranquilli cittadini. In fine, nel 1947 il grande esodo dei Dignanesi, e la loro sistemazione in diverse località della Patria”. Vedi: Domenico Delton, Giuseppe Del Ton, Luigi Donorà, Giovanni Fabro, Pompea Fabro Inclimona, Giovanni Gaspard, Achille Gorlato, Laura Gorlato, Bruno Manzini, Maria Toffetti Giachin, “Dignano e la sua gente”, Trieste, Centro Culturale “Gian Rinaldo Carli”, 1975, pag. 146.
Da ultimo, ricordo i miei contributi personali sull’argomento: Elio Varutti, “Il Campo Profughi di Via Pradamano e l’Associazionismo giuliano dalmata a Udine. Ricerca storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo, 1945-2007″, Udine, Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Comitato Provinciale di Udine, 2007.
– E. Varutti, “Cara maestra, le scrivo dal Campo Profughi. Bambini di Zara e dell’Istria scolari a Udine, 1948-1963″, «Sot la Nape», 4, 2008, pp. 73-86.
– Roberto Bruno, Elisabetta Marioni, Giancarlo Martina, Elio Varutti, Ospiti di gente varia. Cosacchi, esuli giuliano dalmati e il Centro di Smistamento Profughi di Udine 1943-1960, Udine, Istituto Statale d’Istruzione Superiore “Bonaldo Stringher”, 2015. Presente anche nel web; vedi: Ospiti di gente varia…

Networking
Si riportano i link di collegamento Internet riguardo alle azioni sull’esodo istriano dalmata organizzate dall’Istituto “B. Stringher” di Udine e dal prof. Elio Varutti, nell’ambito del Laboratorio di Storia della scuola, con aggiornamenti al 2015.

Fonte auditiva (presso la Biblioteca Civica “V. Joppi” di Udine)
Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata [Audioregistrazione]: critica del neoclericalismo di Paolo Bonetti / intervento di Giannino Angeli; introduzione di Silvio Cattalini; moderatore: Romano Vecchiet. – [Udine: s.n.], 2008. – 1 audiocassetta (90 min.). – (Incontri con l’autore: Elio Varutti; 2008/02/08). Biblioteca Civica Udinese (BCU).
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La campana di Harzarich è stata inserita nella copertina del Calendario storico 2015 dell’Istituto Stringher all’interno del progetto “Il Secolo breve in Friuli Venezia Giulia”. Vedi il Messaggero Veneto del 24 dicembre 2014.
Tale progetto, sostenuto dalla Fondazione CRUP ha ottenuto il patrocinio di: Comune di UdineClub UNESCO di UdineSocietà Filologica FriulanaANEDANVGD, del Comune di Martignacco, nel cui ambito territoriale ha sede Villa Italia, residenza di re Vittorio Emanuele III, dal 1915 al 1917, della Provincia di Udine.