Scoperte nuove foibe
Una squadra di speleologi riesuma i corpi delle vittime di un massacro titino: tra loro 100 adolescenti e 5 donne, tutti fucilati nel 1945. Nella cavità profonda 14 metri trovati rosari e pettini.
di Lucia Bellaspiga – 27/08/2020 – Fonte: Avvenire
Ragazzini o poco più, trascinati a centinaia sull’orlo della Foiba e lì massacrati a colpi di fucile. I più fortunati precipitarono già morti nel vuoto, per gli altri una lunga agonia pose fine alla tortura. Da decenni la voce dei sopravvissuti ai massacri del maresciallo Tito ci raccontava tutto ciò, ma questa volta a parlare sono i corpi delle vittime, ritrovati i giorni scorsi da una squadra di speleologi sloveni nella zona del Kočevski Rog, nelle immediate vicinanze di un vecchio ospedale partigiano.
A descrivere in conferenza stampa l’agghiacciante ritrovamento è lo storico sloveno Jože Dežman, capo della Commissione statale per l’Individuazione delle fosse comuni: “Oltre un centinaio erano ragazzini tra i 15 e i 17 anni, e assieme a questi abbiamo rinvenuto anche cinque donne”.
Per ben 68 volte la squadra di speleologi si è dovuta calare nella cavità per recuperare un totale di 250 salme, quasi tutte civili e giovanissime, oltre agli umili oggetti personali precipitati insieme a loro al momento della morte, tragici barlumi degli ultimi istanti di vita.
A citarli uno per uno è l’archeologo Uroš Košir, coordinatore dell’operazione di recupero: “Oltre ai resti umani – ha detto ai giornalisti – abbiamo trovato rosari, immagini sacre, pettini, specchi, cucchiai… E circa 400 bottoni” (toccanti le foto messe a disposizioni in conferenza stampa e rilanciati anche dalla pagina Facebook dell’Unione degli Istriani).
Zdravko Bučar, speleologo, ha spiegato che lo scavo all’interno della cavità naturale, profonda 14 metri, era stato autorizzato a maggio, nell’ambito dei lavori affidati alla Commissione statale che si occupa delle stragi compiute dai titini, e a inizio luglio è stata effettuata la prima discesa, con il primo macabro rilevamento di quanto accadde probabilmente in un’unica notte del 1945.
Fatti che nessuno ha mai potuto raccontare, ma che ora emergono fin troppo chiari: secondo l’archeologo Košir, sia nella Foiba che lungo i suoi margini esterni la grande quantità di munizioni prova che l’esecuzione di massa fu commessa sul posto, dunque che i ragazzi, portati lì vivi, vissero lucidamente tutte le fasi della loro eliminazione e videro con i loro occhi la voragine in cui sarebbero stati gettati.
Non solo: “i resti delle vittime erano coperti di sassi e detriti, ma sopra a questi abbiamo trovato altri corpi, il che fa pensare che per ultimi furono uccisi e gettati nella fossa i prigionieri incaricati di coprire il baratro. Dall’analisi delle ferite trovate sui teschi tutte le vittime sono state uccise con fucili automatici”.
Tre giorni pieni per riportare in superficie i 250 corpi. Sessantotto volte il coraggio di calarsi per riportare su tanti scheletri così ben conservati da raccontare ancora tutto il terrore vissuto. E i cari oggetti certamente stretti al cuore nel momento della morte, rimasti in questi 75 anni là sotto, accanto ai loro proprietari. E poi tutti quei proiettili dentro e fuori la Foiba…
Impossibile non ripensare alla testimonianza di Graziano Udovisi, uno dei pochissimi che siano usciti vivi da una Foiba, gettandosi al suo interno prima che il proiettile lo colpisse e arrampicandosi lungo le pareti impervie fino a tornare alla luce. Impossibile non ricordare le immagini di “Red Land”, il film approdato nei cinema un anno fa per raccontare la morte di Norma Cossetto, gettata viva nella Foiba di Surani. E ancora la testimonianza di Giuseppe Comand, l’ultimo dei Vigili del Fuoco che nel 2018, a 97 anni, ci raccontò il recupero della povera Norma e di grappoli di altre salme: intervistato da Avvenire, è stato poi nominato Commendatore al merito della Repubblica dal capo dello Stato Mattarella.
Insomma, sono tutte cose che noi italiani già conoscevamo troppo bene dai racconti degli esuli istriani, fiumani e dalmati, ma che negli ultimi anni trovano sempre più conferme proprio nelle ricerche condotte dalle autorità sia croate che slovene, impegnate con crescente volontà a squarciare il velo di decenni di silenzio e a far luce sui crimini del regime di Tito. Segno che le due repubbliche nate dalla deflagrazione della ex Jugoslavia hanno davvero imboccato la strada che conduce al reale superamento di un fosco passato e stanno definitivamente prendendo le distanze da una dittatura che tante vittime ha fatto tra i loro stessi popoli, oltre che tra gli italiani.
Chi sono quindi i 250 uccisi a Kočevski Rog? Anche loro, come migliaia di altre nostre vittime infoibate, non avranno mai un nome, mentre da qualche parte le loro famiglie li piangono tuttora come spariti nel nulla e altrettante tombe vuote continueranno a reclamare verità. Ma in questo caso una pista chiara viene direttamente dal responsabile sloveno delle indagini di polizia, Pavel Jamnik, che non ha dubbi: incrociando dati e testimonianze sull’attività partigiana in quella zona, la responsabilità dell’eccidio è da attribuire all’Ozna, la famigerata polizia segreta jugoslava, e in particolare al suo braccio operativo, il Knoj (Korpus narodne obrambe Jugoslavije), Corpo di difesa popolare della Jugoslavia.
Un’importante conferma del lavoro condotto di recente dal giovane storico italiano William Klinger, che nel suo libro “Ozna, il terrore del popolo” indicava esattamente nella zona della voragine il luogo di un feroce massacro.
Nel 2018 in Croazia grazie alla testimonianza di don Franjo Jurcevic, parroco di Castua (Fiume), le autorità croate hanno collaborato con quelle italiane al ritrovamento di una analoga fossa comune, all’esumazione dei sette italiani che vi erano stati gettati e finalmente alla loro sepoltura 75 anni dopo la morte. La vox populi aveva sempre indicato in quel bosco il luogo della loro fucilazione… Segno che la memoria degli ultimi testimoni va ascoltata, e in fretta. Chi ancora tenta di negare le Foibe appartiene a un passato morto e sepolto.