La città di vita cento anni dopo
Davide Rossi (a cura di), La città di vita cento anni dopo. Fiume, d’Annunzio e il lungo Novecento adriatico, Wolters Kluwer – Cedam, Padova 2020, 460 pp.
Questo volume condensa le relazioni di un convegno organizzato da Coordinamento Adriatico APS grazie ad un contributo della L. 72/2001, inizialmente pensato a Fiume, quindi realizzato a Gorizia, il 27 e 28 giugno 2019, intitolato Il lungo Novecento. La questione adriatica a Fiume tra le due conferenze di Pace di Parigi 1919 – 1947, in cui è emersa la centralità della città quarnerina nel XX secolo, quale ponte tra oriente ed occidente, anelito del nazionalismo italiano, cui faceva sponda un forte spirito autonomistico locale, che vanta radici assai profonde. In questo contesto l’Impresa dannunziana rappresenta un unicum che si è presto trasformato in un’esperienza dai caratteri epici ed eroici, al cui centro troneggia la simbolica Carta del Carnaro.
Il presente volume rappresenta quindi il tentativo e l’ambizione di pubblicare una raccolta di saggi che fosse in grado, beneficiando delle diverse sensibilità e competenze degli Autori coinvolti, di indagare le differenti sfaccettature, analizzando sia gli antecedenti storici quanto le motivazioni politiche che hanno condotto alle vicende successive, senza dimenticare i riflessi futuri, capaci di propagarsi e mantenersi quanto mai vivi a distanza di decenni, e nonostante i continui cambiamenti istituzionali e di sovranità. Ne è conseguita un’analisi necessariamente multidisciplinare volta a scandagliare, oltre ai naturali, imprescindibili, profili storici, culturali, economici e giuridici delle relazioni tra Stati e popoli, ulteriori dimensioni sovente dimenticate, ma altrettanto centrali, nel non celato auspicio che l’avvenire possa regalare a queste terre così tristemente sporcate di sangue un nuovo Millennio fatto di incontro e di vivacità culturale e sociale.
SOMMARIO
Davide Rossi IL DIFFICILE NOVECENTO DI UN COMPLESSO CONFINE
Giuseppe de Vergottini IL LUNGO NOVECENTO. LA QUESTIONE ADRIATICA E FIUME TRA LE DUE CONFERENZE DI PACE DI PARIGI 1919-1947
Giovanni Stelli LA LUNGA STORIA DELL’AUTONOMIA FIUMANA
Fulvio Salimbeni I DUE TUMULTUOSI DOPOGUERRA FIUMANI
Andrea Ungari LA “BORGHESIA NAZIONALE” NEL PRIMO DOPOGUERRA
Ljubinka Toševa Karpowicz I MASSONI FIUMANI E L’IMPRESA DI D’ANNUNZIO
Emanuele Bugli RITI E SIMBOLI NELLA FIUME DI D’ANNUNZIO
Mauro Runco I LEGIONARI FIUMANI E LA RIFORMA MILITARE DI PIFFER
Lorenzo Salimbeni LA LEGA DEI POPOLI OPPRESSI
Francesco Margiotta Broglio D’ANNUNZIO ANTICIPATORE DEI PATTI LATERANENSI
Simonetta Bartolini UNA RIVISTA PER UNA COSTITUZIONE: YOGA E LA CARTA DEL CARNARO
Donatella Schürzel FERMENTO CULTURALE, ARTISTI E RIVOLUZIONARI A FIUME
Giuseppe de Vergottini PRASSI E UTOPIA NEL DISEGNO COSTITUZIONALE DANNUNZIANO
Davide Rossi LA CARTA DEL CARNARO, ANTIDOTO ALLE TOSSINE DEL PARLAMENTARISMO
Giovanni Zucchini LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NELLA CARTA DEL CARNARO
Davide Lo Presti CITTADINO E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NELLA COSTITUZIONE DANNUNZIANA
Paolo Palminteri I DIRITTI UMANI NELLA CARTA DEL CARNARO
Elisabeth Foroni ARTICOLO LXIII DELL’EDILITÀ: UN’ANTEPRIMA DELLA PIANIFICAZIONE URBANISTICA
Budislav Vukas, jr LA CARTA DEL CARNARO NELL’OPUS DI FERDO ČULINOVIĆ
Alessandro Agrì LA REVIVISCENZA DELLA CARTA DEL CARNARO DOPO IL NATALE DI SANGUE
Giuseppe Parlato FIUMANESIMO E FASCISMO
Alberto Sciumè TENTATIVI DI COSTITUZIONALIZZAZIONE TRA LIBERALISMO E SOLIDARISMO
Ivan Russo – Nicolò Masorgo ANALISI DELLE INFRASTRUTTURE LOGISTICHE DEL NORD ADRIATICO
Il volume può essere acquistato in formato cartaceo oppure Ebook:
Per gentile concessione dell’Editore pubblichiamo l’introduzione del Prof. Avv. Davide Rossi.
IL DIFFICILE NOVECENTO DI UN COMPLESSO CONFINE
È noto come la celebre riflessione crociana per cui «il bisogno pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni Storia il carattere di “Storia contemporanea”, perché, per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, Storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni», abbia una duplice interpretazione. Se la Storia appare come espressione del processo di concretizzazione dello spirito nelle sue diverse e distinte forme, ad essa si affianca quella per cui è anche prettamente giudizio, inteso come fatto e, contemporaneamente, narrazione che di esso fa il giudizio storico: è evidente, continua il filosofo napoletano, che «solo un interesse della vita presente ci può muovere a indagare un fatto passato; il quale, dunque, in quanto si unifica con un interesse della vita presente, non risponde a un interesse passato, ma presente» .
Nell’ultimo lustro si sono ricordati gli anniversari di quattro fondamentali passaggi che indelebilmente hanno segnato le terre dell’Alto Adriatico: il quarantennale della stipula del Trattato di Osimo (1975-2015), con cui si definisce giuridicamente il confine tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, il settantennio della firma del Trattato multilaterale di Parigi (1947-2017), con cui si pone fine al secondo conflitto mondiale, sancendo la perdita di sovranità da parte dell’Italia nelle Colonie e a Tenda e Briga in favore della Francia, ma soprattutto la cessione dell’Istria, con Zara e la Dalmazia, oltre a Fiume e a parte del Carso goriziano, a cui avrebbe dovuto seguire la formazione del cosiddetto Territorio Libero di Trieste sott l’egida della nascente Organizzazione delle Nazioni Unite. Infine, il centenario dell’impresa dei legionari di Ronchi (1919-2019), con cui un manipolo di irredenti capitanati da Gabriele d’Annunzio vuole rivendicare la cosiddetta “vittoria mutilata” e il debole atteggiamento del Governo italiano, che politicamente non era riuscito a tradurre in maniera vantaggiosa le proprie affermazioni militari. La sorte di Fiume, Zara e di altre località adriatiche abitate da numerose comunità italiane segna gli umori di gran parte dell’opinione pubblica del Paese, nel frattempo messo in ginocchio da una forte crisi economica, sociale, a seguito della chiusura delle ostilità, e a cui si aggiunge quella sanitaria (la spagnola). Il generale malcontento da virtuale diviene concreto e tutta una serie di agitazioni, di vario colore politico, dilagano per tutta la Penisola. D’altronde, l’Anno Domini 1919 è un anno da sempre molto discusso e di difficile contestualizzazione, caratterizzato insieme da speranze e da tragedie. Il primo di un periodo post bellico che si sarebbe rivelato tanto infausto e brutale quanto grande e totale era stato il Primo conflitto mondiale.
Neppure l’agognata pace europea basta a colmare le tragedie vissute nelle trincee scavate negli anni precedenti. Irrompono sulla scena pubblica masse popolari desiderose di un cambiamento, di strappare conquiste tangibili e con un forte bisogno di affermare identità e ruoli pubblici. Per la prima volta, protagoniste di quei sommovimenti tumultuosi sono folle di uomini e donne coinvolti in un processo di alfabetizzazione politica che la guerra ha inevitabilmente contribuito ad accelerare.
Contemporaneamente trova amalgama quella miscela di anticonformismo, irredentismo nazionalista e futurismo militarista che proprio nella spedizione dannunziana a Fiume segna una sintesi. In tale contesto, infatti, un manipolo di ufficiali, al comando di truppe che già da alcuni mesi sono in fervida attesa, il giorno 11 del settembre 1919, a Ronchi, partono alla volta di Fiume. L’Impresa dannunziana, nelle sue diverse fasi, segna senz’altro un passaggio delicato per l’elaborazione delle tecniche, del linguaggio e dello stesso spirito del fascismo che di lì a qualche tempo si strutturerà, pur nella consapevolezza che i due fenomeni da un lato hanno caratteri simili, ma per molti versi appaiono chiaramente distanti e basati su presupposti diversi.
L’amplissima poliedricità dell’avventura fiumana, infatti, è d’altronde lo specchio paradigmatico della contestuale complessità del primo dopoguerra europeo, caratterizzato da forti atipicità e da una compresenza di suggestioni assai difformi tra loro, dalle tendenze nazionaliste, alle evocazioni marxiste, senza tralasciare l’attrazione verso il sindacalismo rivoluzionario.
Giovanni Giolitti, che succede a Nitti il 15 giugno 1920, si trova a fare i conti con la definizione sempre più pressante della cosiddetta questione adriatica e con lo stabilimento dei confini orientali. Posta la delicatezza della situazione, la designazione come Ministro degli Esteri ricade su un personaggio molto influente in campo internazionale e proveniente dalla carriera diplomatica quale Carlo Sforza. Tra i suoi primi atti vi è la promozione del negoziato posto a Rapallo con i rappresentanti del Regno slavo meridionale, in cui palesa senza timore le proprie intenzioni, volendo fissare la frontiera terrestre allo spartiacque alpino da Tarvisio al Quarnaro (compreso il Monte Nevoso), la costituzione di Fiume in Stato Libero, collegato al territorio italiano da una linea costiera, con l’attribuzione della città di Zara e delle isole di Cherso, Lussino, Lagosta, Pelagosa (e Lissa, poi non ottenuta). L’accordo viene sottoscritto il 12 novembre 1920, cui seguirà una successiva stipula il 25 novembre 1920 a Santa Margherita Ligure, in cui prendono corpo una serie di intese economiche e finanziarie, oltre che una convenzione per la mutua difesa.
L’ultimo significativo anniversario è quello del centenario del Trattato di Rapallo (1920-2020), che si innesta nei precedenti appena citati, a conferma dell’instabilità di un confine, quale quello orientale, e che ha caratterizzato tutto il Novecento, fino alla caduta del Muro di Berlino e al conseguente sgretolamento della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.
D’altronde, la ricerca dell’ordine europeo nel XX secolo pare passare inevitabilmente attraverso i Balcani e i poliformi rapporti tra le varie etnie ivi presenti, acuitisi con l’avanzare dell’ideologia nazionalista. Un assetto che rintraccia nel sottile rapporto tra diritto internazionale e politica estera la propria essenza, in un macchinoso gioco tra sicurezza collettiva, esigenze di deterrenza e periodi di pace silente. Un itinerario che trova le proprie radici fin dal Congresso di Vienna, in cui le potenze vincitrici del bonapartismo fondano un sistema, legittimato sulla centralità del droit de gens, che avrebbe contraddistinto l’assetto geopolitico continentale per oltre un secolo, oltrepassando la Grande Guerra, per incidere fino alla conclusione del Secondo conflitto mondiale.
Da questa prospettiva, altro elemento non trascurabile è la creazione di organizzazioni sovrannazionali, cui delegare il tentativo di prevenire i possibili attriti tra gli Stati ed evitare, di conseguenza, l’insorgere di nuove ostilità dalle conseguenze devastanti: la Società delle Nazioni, sorta nel 1919 e che verrà sostituita – posto il fallimento del suo operato – dall’Organizzazione delle Nazioni Unite alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale, nel 1946. Alla prima fa eco l’idea dannunziana di creare un organismo che riunisca tutti i “popoli oppressi” da quelle potenze vincitrici che avevano stilato i trattati di pace senza considerarne le conseguenze. Il progetto trova nello scrittore belga Léon Kochnitzky, dal gennaio 1920 a capo dell’Ufficio Relazioni Esteriori della provvisoria reggenza fiumana, il perno e il principale artefice di questa aggregazione tra i «diversi lazzari del banchetto internazionale», con l’intento di creare una coesione tale da poter «combattere e vincere gli organismi sopraffattori ed imperialisti, i quali (come l’Impero Britannico per esempio) mirano ad assoggettare alla loro onnipotenza finanziaria i più sacri sentimenti degli uomini: Fede, amor patrio, dignità individuale e sociale». È l’embrione della cosiddetta “Lega di Fiume”, un progetto che ha come ideale obbiettivo proprio la trasformazione della città quarnerina nella “Patria delle Patrie” per tutti quei popoli schiacciati dalle infelici decisioni di Parigi e in radicale opposizione con l’ordine stabilito dalla Società delle Nazioni. In un quadro globale, totalmente differente da quello ottocentesco, i “quattordici punti” esplicitamente manifestati dal presidente Wilson nel gennaio 1918 – al cui centro vi è il principio di nazionalità e di autodeterminazione del popoli, l’uguaglianza degli ordinamenti statali, la libertà dei mari, la riduzione degli armamenti – per puntare ad un’Europa pacificata e democratica, godono di un’eco fortissima e sembrano, invece, essere stati totalmente travisati e traditi e prefigurando un assetto in cui poco o nulla rilevavano gli interessi dei popoli.
In un ambito totalmente differente, ma altrettanto singolare sarà, alla conclusione del secondo conflitto mondiale, l’incidenza sui territori dell’Alto Adriatico della neonata Organizzazione delle Nazioni Unite, cui si delegò la creazione delle istituzioni del cosiddetto Territorio Libero di Trieste, con l’ulteriore prospettiva di mantenere, una volta entrato a regime, poteri di controllo per il tramite del Consiglio di Sicurezza. Se la prima fase, relativa all’approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di uno Statuto permanente fu compiuta, non si riuscì mai a trovare l’accordo sulla figura del Governatore, a causa dei veti incrociati di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia ed Unione Sovietica: i totalitarismi nazista e fascista erano ormai un ricordo e le potenze vincitrici, nel tempo, avevano strutturato una propria politica estera, ciascuna differente per sensibilità ed interessi.
Quattro anniversari, spalmati in soli cento anni, che esemplificano appieno la criticità di un secolo contraddistinto da nazionalismi e ideologie e in cui – adottando il lessico tipico delle relazioni internazionali – si sono alternate diverse fasi caratterizzate da equilibrio, deterrenza, sicurezza collettiva e di nuovo, per pochissimo, equilibrio.
Trieste, con l’Istria, la Venezia Giulia e la Dalmazia assurgono a simbolo e rappresentano a pieno titolo di un’epoca delle «religioni più militanti e assetate di sangue [caratterizzata dalle] ideologie laiche affermatesi nell’Ottocento, cioè il socialismo e il nazionalismo, i cui idoli erano astrazioni oppure uomini politici venerati come divinità».