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Santin Sigillo Trecentesco Trieste

Santin defensor civitatis di Trieste

Il Piccolo nasce a Trieste per tenere vivi i sentimenti della cultura italiana nel contesto dell’Impero Austro-Ungarico con un indirizzo liberale. Ai tempi il governo della diocesi di Trieste era retto da ecclesiastici proposti al Papa dall’Imperatore, come i Vescovi mons. Legat,Glavina, Nagl e Karlin. Caduto l’Impero nel 1918 e venuta l’Italia, Karlin chiese di essere trasferito dal territorio italiano e sarà poi nominato Vescovo di Maribor.

Il primo Vescovo di Trieste e Capodistria sotto il Governo italiano sarà il piemontese Angelo Bartolomasi, già Vescovo castrense, che opterà per la diocesi di Pinerolo e lascerà la Cattedra a mons. Luigi Fogar, segretario dell’arcivescovo di Gorizia, Francesco Borgia Sedej di fedeltà austro-ungarica. Mons. Luigi Fogar per varie questioni fu sollevato dalla diocesi tergestina. Lo sostituì come Amministratore apostolico l’Arcivescovo metropolita di Gorizia mons. Margotti. Nel 1938 Pio XI trasferì dalla diocesi di Fiume alle unite diocesi di Trieste e Capodistria mons. Antonio Santin.

 

La formazione culturale, umana ed ecclesiastica del nuovo Vescovo.

 

Santin, nato a Rovigno si formò culturalmente prima alla scuola italiana di Rovigno, poi all’imperial-regio ginnasio di Capodistria, con eminenti risultati. Fece gli studi teologici al Seminario centrale di Gorizia, dove il sentire culturale era di impostazione mitteleuropea.

Nei mesi estivi, per quattro anni, frequentò gli ambienti culturali di Vienna, dove conobbe mons. Faidutti, deputato al Parlamento, e De Gasperi che gli procurò l’opportunità di pubblicazione di alcuni articoli sulla stampa in lingua italiana. La sua formazione ecclesiastica fu di tipo interculturale, perché nel Seminario centrale vi erano giovani delle diverse lingue: tedeschi, italiani, slavi e croati.

La sua cultura di base fu quella della lingua e letteratura italiana. Non ebbe mai, come scrive, screzi con i condiscepoli di altre etnie.

Il Piccolo vide di buon occhio la designazione di Santin alla guida della diocesi di Trieste, sia perché si conosceva la sua attenzione dimostrata a Fiume per gli Ebrei, e qui a Trieste vi era una numerosa e qualificata Comunità, sia perché non si era compromesso con il fascismo e aveva saputo essere super partes con i fedeli di lingua italiana e di lingua slava.

La situazione delle diocesi di Trieste e Capodistria che Santin si apprestava a guidare era segnata, oltre che dai problemi del passaggio epocale, soprattutto da una esasperata situazione etnica, aggravata da atteggiamenti e scelte del Governo e dai suoi rappresentanti in loco. Il clero era diviso a causa delle questioni etniche, che sono state tra le cause dell’allontanamento del Vescovo Fogar.

 

Le prime difficoltà di Santin a Trieste

 

Pio XI, trasferendo il Vescovo Santin da Fiume a Trieste-Capodistria, aveva messo a cuore al Presule di operare perché nella Diocesi, così divisa per questioni etniche, si tentassero occasioni di pacificazione tra il clero di lingua italiana e quello di lingua slava (sloveni e croati); perchè vi fossero rapporti non di sudditanza ma rispettosi tra l’autorità della Diocesi e le Istituzioni dello Stato, anche in base al Concordato, per superare ciò che si era verificato durante l’episcopato del suo predecessore.

Santin, dopo l’ingresso in S. Giusto, il 4 settembre 1938, nell’omelia del pontificale sottolineò: “Sono qui tutto per voi. Le vostre gioie saranno le mie gioie, i vostri dolori i miei dolori. Le mie forze, la mia vita vi appartengono. Io le spenderò tutte

senza limiti per il vostro bene. Questo è il mio unico desiderio…Le mie preferenze sono per coloro che più soffrono”.

Possiamo dire che Santin tenne fede a queste promesse e la sua vita e la sua missione lo testimoniano.

I primi problemi da affrontare furono quelli della situazione di conflittualità etnica.

Per ottemperare al desiderio del Papa, convocò nell’aprile del 1939, dopo qualche mese dal suo ingresso a Trieste, un convegno di tutto il clero, sia di espressione italiana che slava, su tematiche prettamente pastorali, sulla ricerca della causa di disaffezione degli uomini alla pratica religiosa e per individuare iniziative spirituali, culturali, associative e sociali che potessero suggerire risposte adeguate.

Prima ancora che cominciasse il convegno, il Vescovo ricevette una lettera da don Virgilio Šcek, figura di spicco tra il clero sloveno, a nome anche di altri confratelli di etnia slava, che riteneva inopportuno un convegno con la contemporanea presenza sia del clero italiano che di quello slavo.

Santin rispose con una lettera datata 10 marzo, sfatando un disegno di “mortificazione del clero slavo” e adducendo che la tematica era pastorale e quindi pertinente per tutto il clero. Nel giugno del 1940 offrì a tutto il clero della diocesi di Trieste e Capodistria un altro convegno sul “Ministerium Verbi”, scegliendo i relatori tra il clero italiano e quello slavo.

Il nazionalismo purtroppo segnò tutti quegli anni della guerra e del dopoguerra, fornendo “benzina” a coloro che attendevano una divisione nella Chiesa per intenti politici espansionistici.

Santin da parte sua si prodigò per assicurare l’istruzione religiosa dei suoi fedeli di lingua italiana e slava, perché potessero averla nella lingua madre. Per questo chiese direttamente a Mussolini in un’udienza già nel novembre del ’38 di intervenire presso i gerarchi locali perché non impedissero ciò.

 

Santin e gli ebrei durante le leggi razziali

 

Santin fu uno dei pochi Vescovi d’Italia che denunciarono apertamente e operarono concretamente a favore delle persone di stirpe e religione ebraica. Il Piccolo di quegli anni, precisamente del 12, del 13, del 18 novembre del 1938 e  dell’11 dicembre di quell’anno, espose la pesante situazione dell’applicazione delle leggi razziali.

Trieste, che “figura tra i primi posti fra le città italiane sia per numero degli Ebrei che ospita, sia per il diverso carattere delle loro origini” (Il Piccolo 12 novembre 1938), vide immediatamente l’applicazione dei provvedimenti in tutti i settori della Città, da quello politico e pubblico, al mondo finanziario (Il Piccolo 13 novembre 1938) a quello delle società sportive e culturali (Il Piccolo 11 dicembre 1938) e del circolo della Stampa (Il Piccolo 18 novembre 1938).

Santin, di fronte a questa epurazione massiccia ed ingiusta di persone che si guadagnavano onestamente il pane e qualificavano con la loro professionalità la vita della Città, oltre a denunciare la situazione nell’omelia di S. Giusto, ritenne di intervenire presso lo stesso Capo del Governo, rinnovando il suo dissenso e la sua denuncia per il provvedimento in sé e per ciò che accadeva a Trieste e nel territorio nella sua diocesi e a Fiume.

Visto che la barbarie continuava, si adoperò in sinergia con il Segretario della Comunità ebraica, il dott. Morpurgo, per far mettere in salvo persone e famiglie ebraiche in pericolo, indirizzandole, tramite l’interessamento del dott. Guglielmo Reiss Romoli, direttore generale a Milano della società telefonica STET, a persone vicine all’attenzione del card. Schuster, affinchè potessero raggiungere la Svizzera.

Così Santin scrive nel libro Al tramonto: «Dovetti continuamente intervenire in difesa di innumerevoli persone di Trieste e della diocesi che venivano colpite. La Comunità ebraica mi affidò, perché lo custodissi, ciò che aveva di più prezioso e il dott. Carlo Morpurgo, segretario della stessa, era tutti i giorni da me per aiutare i suo correligionari. Fu fatto quanto era possibile sia presso le autorità, sia nascondendo quanti erano in pericolo. E non solo a Trieste si intervenne a loro difesa».

Santin nel 1943, quando a Trieste, nell’Istria e sul Carso occupati dai nazisti erano all’ordine del giorno arresti e internamenti, nella solennità di S. Giusto chiese a tutto il suo popolo di «trasgredire le leggi razziali e di realizzare quel cristiano ammutinamento che è degno di un discepolo di Cristo» (da Il tramonto).

Il 29 marzo 1944 protestò con una lettera al Prefetto di Trieste, Bruno Coceani, per il prelevamento dall’ospedale psichiatrico e dalla sezione dei cronici di tutti gli ammalati e vecchi di stirpe ebraica.

Santin riuscì a salvare molti Ebrei, purtroppo non tutti. Il suo rammarico – fra i tanti – fu quello dell’internamento del dott. Morpurgo e della giovane intellettuale Pia Rimini, che non avendo ascoltato il suo consiglio, venne reclusa alla Risiera di San Sabba e poi deportata e mai più tornata.

 

Santin e i deportati dai nazisti al “servizio del lavoro”

 

Il cosiddetto “servizio al lavoro” fu inventato e realizzato per i cittadini del Litorale adriatico, che era considerato annesso alla Germania, dal Supremo comando tedesco con sede a Trieste il 14 settembre 1944 con un bando apposito. L’intenzione dei nazi-tedeschi era quella di reclutare dalle dieci alle dodicimila persone. Si arrivò a ottomila. Il salario era fissato a cinque lire al giorno più vitto e alloggio nei campi di lavoro.

Il 16 settembre 1944 su quattromila “cartoline di precetto” si presentarono solo quattrocento persone.

Il 20 settembre di quell’anno, a causa di questo fallimento, le S.S. effettuarono un rastrellamento in tutta Trieste ma senza alcun esito.

Al Vescovo Santin la questione risultava sospetta e destava in lui molte preoccupazioni.

Chiese di visitare i luoghi del “servizio del lavoro” per costatare le condizioni delle persone “chiamate” al servizio coatto, perché al Vescovo erano giunte notizie disperate imploranti aiuto.

Quindi ottenne di recarsi al campo di lavoro. Nelle sue memorie Al tramonto scrive: «L’impressione che ne ebbi fu spaventosa. Alloggiati come bestie, con razioni da fame, molti senza calzature e mal vestiti, dovevano lavorare con qualunque tempo. Dei malati non si aveva alcun riguardo. Ed allora non ebbi pace. Parlai, scrissi, protestai, supplicai».

L’intento era che si migliorasse vitto, alloggio e si facessero tornare a casa le persone che avevano concluso il periodo stabilito e soprattutto i malati. Santin protestò con le autorità germaniche sia del trattamento dei lavoratori che del fatto di non aver rispettato gli accordi, sia pur capestro.

Gli si promise che probabilmente prima di Natale gli aventi diritto sarebbero tornati a casa. Nulla gli si assicurò per i malati. Allora Santin parlò con alcuni sacerdoti se fossero stati disponibili, con lui, per uno scambio con i malati più gravi del campo di lavoro. Ottenuto l’assenso di questi sacerdoti (don Mario Shirza, don Enrico Minatori, don Carlo Tarlao, don

Remigio Carletti, P. Roberto Rosa, P. Giuseppe Matteucci, P. Ambrogio Mosconi, P. Crescenzio Möll, P. Bernardino de Tomasi, don Alfredo Brezzi, P. Giovan Battista Porta, P. Benigno Vessato) e la loro disponibilità al baratto, inviò il 29 novembre 1944 al dott. Hinterreger “l’offerta”, dopo aver denunciato nell’omelia della Madonna della Salute, il 21 novembre, la gravissima situazione dei lavoratori e dei malati dei campi di lavoro del Taiano e della Ciceria, offrendosi lui, alcuni del clero diocesano ed alcuni religiosi come scambio.

Questo indusse i nazi-tedeschi a far ritornare alle loro famiglie, a Natale, i malati e coloro che avevano terminato il tempo di ferma.

 

Mons. Ettore Malnati

Vicario episcopale per il laicato e la cultura – Diocesi di Trieste

 

Fonte: Il Piccolo – 30/03/2021

 

Rubrica “Lettori de “Il Piccolo” da 140 anni” a cura dell’ANVGD e del Centro di Documentazione Multimediale della Cultura giuliana, istriana, fiumana e dalmata.