Terminato il restauro del Sacrario di Redipuglia
Il sacrario militare più grande in Italia conserva 100.000 caduti della Prima guerra mondiale, dei quali 60.000 ignoti. Nel centenario di quella che, soprattutto ma non solo per gli italiani del confine orientale fu una vera e Quarta guerra d’indipendenza, ha ricevuto un ampio restauro che è finalmente giunto a termine.
Si tratta della scalinata monumentale di Redipuglia (italianizzazione del toponimo sloveno Sredipolje). Essa è stata inaugurata nel 1938 su progetto dell’architetto Giovanni Greppi e dello scultore Giannino Castiglioni. A tale sodalizio erano stati pure affidati il Sacrario Militare di Bezzecca (che univa caduti garibaldini della Terza Guerra d’Indipendenza e soldati della Prima Guerra Mondiale, vista da molti come quarta tappa del percorso risorgimentale), quello di Bligny in Francia (per i caduti del Corpo di Spedizione sulla Marna), nonché i siti di Caporetto, San Candido, Colle Isarco e del Monte Grappa. Nel caso di Redipuglia, la loro opera architettonica sale i 90 metri d’altitudine del Monte Sei Busi, luogo di terrificanti scontri nel corso di prima, seconda e quarta Battaglia dell’Isonzo: in vetta si stagliano tre croci, come in cima al Golgota, altura su cui si consumò il sacrificio del Cristo.
Qui invece giacciono i resti dei caduti della Terza Armata, i nomi di quarantamila dei quali sono iscritti in ordine alfabetico nel bronzo delle targhe che coprono i 22 gradoni della colossale scalea, sul cui primo gradone troviamo fra gli altri il nominativo della crocerossina Margherita Kaiser Parodi Orlando, unica donna qui sepolta, ed alla cui cima si trovano le spoglie di circa sessantamila militi ignoti. Una cifra terrificante, che può far comprendere quanto il potenziale delle armi in uso (mitragliatrici, bombe a mano, granate, gas asfissianti) potesse devastare e sfigurare i corpi dei soldati (spesso rimasti a decomporsi nella terra di nessuno al termine di sfortunati assalti o usati per rinforzare le trincee), al punto da renderli irriconoscibili. Tuttavia questi centomila caduti, morti in un territorio ristretto e per conquistare o riconquistare di volta in volta pochi metri, sono irreggimentati, ben schierati, in maniera assolutamente anonima ed egualitaria al seguito dei loro ufficiali più alti in grado.
Alla base dell’imponente costruzione, infatti, si distinguono dalla massa dei caduti sei enormi urne, nelle quali riposano altrettanti generali morti in battaglia. Ancor più avanti, condottiero di questa schiera, si eleva il monolite in marmo rosso della Valcamonica pesante 75 tonnellate in cui chiese ed ottenne di venire sepolto nel 1931 il duca Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta, comandante dell’Armata invitta, ed ancora più avanti si stende la Via Eroica, costituita da 38 lapidi bronzee infisse al suolo e recanti i nomi dei più tristemente noti luoghi di combattimento della zona.
Quest’armata fu definita “invitta” in quanto costretta a ripiegare soltanto dopo Caporetto, una sconfitta delle armi italiane maturata però nel settore di fronte di competenza della Seconda Armata, mentre le spallate della Terza avevano portato alla conquista dell’altipiano della Bainsizza e sempre più minacciosamente all’assalto del complesso trincerato dell’Ermada, mettendo a rischio il dispositivo difensivo avversario, che sarebbe in effetti stato irrobustito da contingenti tedeschi.
E cimitero degli invitti era stato proprio il nome della prima sistemazione sepolcrale collettiva allestita a guerra finita sul colle del Sant’Elia, che s’eleva proprio davanti al complesso di Redipuglia. Era stato inaugurato dal re soldato Vittorio Emanuele III di Savoia il 24 maggio 1923, laddove il 19 settembre 1938 sarebbe stato l’ex bersagliere Benito Mussolini ad inaugurare il monumento di Redipuglia: nell’arco di quindici anni il regime aveva egemonizzato la memoria della Grande Guerra e le sue celebrazioni. La stessa parola “PRESENTE” scolpita a ripetizione sui giganteschi scalini (2 metri e mezzo di altezza e 12 di larghezza) riprende la ritualità delle cerimonie in cui le camicie nere commemoravano i caduti per la rivoluzione fascista. La limitrofa stazioncina doveva agevolare l’afflusso di “pellegrini” in visita a questo sacrario della religione della Patria: reduci e loro parenti, congiunti dei caduti, mutilati e nuove generazioni erano i visitatori che già frequentavano assiduamente i luoghi nei quali si consumò quella che i contemporanei avevano chiamato la Gande guerra.
Oggi il Colle del Sant’Elia è una sorta di Parco della Rimembranza, all’ombra dei cui cipressi possiamo solo immaginare la sistemazione originaria, ideata dal colonnello Vincenzo Paladini che, rifacendosi al Purgatorio dantesco, elaborò sette settori concentrici che culminavano in una cappella votiva, oggi sostituita da una colonna romana proveniente dai limitrofi scavi di Aquileia, la località dalla quale partì il viaggio del carro funebre ferroviario del Milite Ignoto. A decorazione delle sepolture (poi traslate integralmente nella struttura dirimpettaia) figuravano cimeli raccolti sul campo di battaglie ed epigrafi poetiche, oggi presenti in copia degli originali, rovinatisi causa l’azione degli agenti atmosferici già negli anni immediatamente successivi all’inaugurazione.
Lorenzo Salimbeni
Il Piccolo – 14/08/2021