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Cosi fu fatto

Cosi fu fatto

Autore: Gianni Giuricin
Anno di pubblicazione: 2003
Casa editrice: Edizioni Italo Svevo Trieste,

Plebiscito Esodo Beni Ferite dolenti dell'Istria e di Trieste Ancora una volta Gianni Giuricin ci regala uno scorcio del passato, scavando nella sua efficace memoria. Sono gli anni della Conferenza di Pace, a Parigi, e della batta¬glia per salvare il salvabile della Venezia Giulia. Gli aspetti internazionali, derivati dal conseguente Trattato di pace sono noti, con la costituzione del Territorio libero di Trieste, destinato ad effimera esistenza, e la cessione definitiva alla Jugoslavia di Tito di due terzi della Venezia Giulia. Nel corso delle trattative i rappresentanti del Comitato di Liberazione Nazionale dell'Istria, assieme ad alcuni esponenti triestini, sostennero caldamente e con entusiasmo il diritto al plebiscito, all'autodeterminazione, in nome della Carta di San Francisco ma con un chiaro riferimento ai Quattordici Punti di Wilson che, almeno nelle intenzioni, sembravano essere ancora un riferimento per trattare questioni controverse su regioni contese. Ebbene, Gianni Giuricin, con onestà intellettuale e senza alcuna remora di natura interpretativa, svela alcuni retroscena che accompagnarono l'azione della Delegazione giuliana: innanzitutto la scarsa coesione interna, non per motivi politici ma in nome di un asserito particolarismo regionale, per cui ciò che poteva andare bene all'Istria non era altrettanto per Gorizia o Trieste. Scarsa coesione che spesso si fece indifferenza e freddezza, soprattutto tra i delegati goriziani che, ottenuta la certezza di un ritorno di Gorizia all'Italia, non intesero più le posizioni dei delegati istriani, per non compro¬mettere il risultato. Il senso di divisione, al di là di un'immagine superficialmente unitaria, tra chi avrebbe dovuto rappresentare e difendere gli interessi della popolazione italiana della Venezia Giulia, traspare in modo netto. Troppe divisioni interne dettate nella convin¬zione che a quel punto, dopo la presa di posizione contraria del Governo Italiano in materia di plebiscito, proprio quella strada non sarebbe più stata praticabile. Ecco allora lo sfilacciarsi dell'impresa, i distinguo, le dissociazioni, oppure le adesioni a carattere personale, per non compromettere le amicizie personali. Nulla di politico, però. Sono aspetti sui quali, finora, sono emersi riferimenti impliciti, e sui quali le testi¬monianze letterarie hanno spesso voluto mettere la sordina, ma non è difficile cogliere la profondità dello strappo all'interno della Delegazione e le difficoltà nelle quali le stesse forze politiche italiane della Venezia Giulia si trovarono a dibattersi. Ancora una volta, al cospetto di un avversario compatto e determinato, come poteva essere la diplomazia jugoslava che poteva contare pure sulle simpatie ideologiche dei partiti comunisti occi¬dentali, le forze democratiche italiane si presentavano divise ed incerte: un limite che, su un piano regionale, caratterizzò anche la mancata azione unitaria negli anni della Resistenza e soprattutto nel fronteggiare le pretese annessionistiche jugoslave. L'esercizio di memoria di Giuricin non si esaurisce qui; egli, tra coloro che, invece, sostenevano l'ipotesi del plebiscito, mette in luce la battaglia condotta negli anni suc¬cessivi nelle autorevoli sedi dell'Internazionale Socialista, dove rappresentò con Carlo Schiffrer e poi con Giorgio Cesare, il Partito Socialista della Venezia Giulia nelle riu¬nioni di Baarn (Olanda) e nelle assemblee di Copenhagen (1950), riuscendo a strap¬pare l'approvazione unanime per la sua mozione per il ripristino delle garanzie demo¬cratiche nella zona B del Territorio libero, di Milano (1952) e di Stoccolma (1953). Qui fu presentata la mozione sul plebiscito che imbarazzò i socialisti francesi e che fu discussa "a porte chiuse". Un altro contributo per la storia di quegli anni difficili. Roberto Spazzali Gianni Giuricin è nato a Pottendorf, in Austria, dove erano internati, durante la prima guerra mondiale, i suoi genitori, entrambi di Rovigno. Superato il corso allievi ufficiali viene destinato a una delle zone belliche d'impegno dell'Italia. Catturato dai tedeschi dopo l'otto settembre '43, passa ventidue mesi d'internamento in Germania nel Lager III/A di Luckenwalde, nello Stalag 327 di przemysl, in Polonia, nel Lager II/B di Hammerstein e, alla fine, in custodia alla Sicherheits Polizei di Eger e di Karlsbad. Liberato dagli americani viene designato, dal loro comando, "leader" del campo di raccolta degli italiani del Sudetenland; quindi, a fine giugno 1945, fa ritorno nell'Istria occupata dai partigiani di Tito. Conoscitore diretto dei metodi e delle persecuzioni del piano nazionalista di Tito, organizzato per la cacciata degli italiani, Gianni Giuricin riesce a trovare riparo a Trieste; nel 1946 viene scelto per far parte della delegazione giuliana alla Conferenza di Pace di Parigi, dove si è battuto per ottenere l'autodeterminazione delle popolazioni giuliane. Per l'affare Osimo, che Giuricin non approva, si dimette dalla carica di vice sindaco di Trieste, dando vita, insieme al gruppo di socialisti triestini e istriani, alla scintilla del movimento delle sessantacinquemila firme notarili; per dieci anni è stato segretario politico e capogruppo della LpT al Consiglio Reginale. Dopo un breve richiamo alle armi gli viene conferito il grado di Tenente Colonnello T.O. Giornalista pubblicista ha pubblicato molti articoli; dopo il primo libro Istria maledetta ne scrive un'altra dozzina circa.

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