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Il Dalmata Testata 2022

«Il Dalmata» di agosto 2022 è online

Può essere gratuitamente consultato online sul portale Dalmati Italiani oppure scaricato in formato Pdf il numero di agosto 2022 de “Il Dalmata”, mensile dell’Associazione Dalmati Italiani nel Mondo – Libero Comune di Zara in Esilio:

IL DALMATA 118a_agosto 2022

Ampio spazio è dedicato al Raduno dalmata che si svolgerà a Senigallia (AN) l’1-2 ottobre, ma non mancano gli approfondimenti sulla storia della Dalmazia e le rubriche dedicate a Zara ed ai lettori. Pubblichiamo l’editoriale del Direttore, Matteo Carnieletto.

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Mare Adriatico, sponda occidentale. Sto rileggendo Una vita sul filo di lana, l’autobiografia di Ottavio Missoni scritta con Paolo Scandaletti. “Tai” lo conoscete meglio di me e, forse, la sua dolce moglie Rosita e i suoi accoglienti figli Angela e Luca staranno leggendo queste parole. Per questo non vi parlerò di lui. 

Mentre leggo, però, mi rendo conto che di là dal mare, poco più a sud, c’è la Zara di cui parla Missoni e nella quale sono stato poco più di un anno fa. Nella sua biografia, all’inizio, Tai ricorda le corse attorno alla città, due chilometri circa. I bambini e i ragazzi di allora li facevano tutti d’un fiato e alcuni, pur di arrivar primi, baravano prendendo delle scorciatoie. “La città era dei ragazzi, che sapevano trasformare in una gara la più innocente corsa da un punto all’altro delle mura”. E così, seppur passati decenni da quando Missoni viveva questa realtà, Zara è ancora oggi. Mi ricordo, passeggiando per le vie della città, diversi bambini che giocavano. Altri urlavano. Altri ancora seguivano i genitori al lavoro. Una città ancora oggi, nonostante siano cambiate così tante cose, a misura d’uomo. Pensata e costruita affinché le persone potessero vivere bene. 

C’è poi un altro passaggio che mi ha incuriosito. Non ricordo più che punto delle mura fosse, ma ricordo che, su di esso, erano appesi molti manifesti funebri. Un disordine ordinato, quasi che quei volti, solcati di rughe e spesso di sole, fossero di vedetta su quelle mura. Passa una ragazza, vent’anni o poco più, bella come solo le donne di mare sanno essere. Si guarda attorno, come se non volesse essere vista, e in un decimo di secondo, si fa un fugace segno della croce per i morti. Pudore misto a vergogna
di fare qualcosa per cui i suoi coetanei la prenderebbero in giro. Ma che la ragazza vuole fare. 

Per i morti e anche per sé. Per la sua dignità. Ancora Missoni: “Donna Ina (sua madre, ndr) aveva piacere che io frequentassi la Chiesa: – Qualche volta, fatti il segno della Croce davanti alla chiesa: non vorrei che si pensasse che non te l’ho insegnato! – ”. Mi sono immaginato la madre della ragazza mentre le diceva qualcosa di simile. 

Zara è sempre la stessa dunque? No, purtroppo. Ricordo l’impressione che mi fecero i buchi di pallottole sulle facciate di alcuni edifici, gli ultimi, probabilmente, a non essere stati ristrutturati. Avevo visto cose simili solo in Libano e in Siria, dove però si è combattuto o si combatte ancora. Ma anche a Zara guerre ed eserciti sono passati, anche nel recente passato. Uomini, donne e bambini hanno dovuto abbandonare la propria casa e, in parte, anche la propria identità. Come si può essere legati a una terra quando questa ti è stata tolta? Come si può non odiare quella terra che non c’è più? Scrive Catullo: “Odio e amo. Perché lo faccia, mi chiedi forse. Non lo so, ma sento che succede e mi struggo”. 

La Zara di oggi è un bellissimo corpo, che però ha perso parte della propria anima. L’aver cacciato migliaia di italiani ha  rappresentato una ferita non solo nei cuori di chi questa violenza l’ha subita. 

Ma anche all’animo stesso della città. A ciò che l’ha caratterizzata e ancora oggi la caratterizza. 

Restano ancora piccole tracce, come i bambini che corrono, non così diversi dal piccolo Ottavio, o le ragazze che, furtive, si fanno il segno della croce. Tutto il resto, invece, è stato portato via. Strappato alla terra. Ma per fortuna c’è il mare, che sa sempre riportare a riva messaggi e ricordi di un tempo passato, che non vuole, e non può, passare. 

Matteo Carnieletto