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E Allora Le Foibe

A che servono libri come «E allora le foibe?»

Diciamolo subito: di Eric Gobetti avevo letto L’occupazione allegra. Gli italiani in Jugoslavia (1941-1943) (Carocci, 2007) e Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943), (Laterza, 2013) e, soprattutto il secondo, mi è sembrato un lavoro sufficientemente equilibrato, malgrado le opinioni politiche dell’autore, ben note e non certo nascoste (si è fatto fotografare mentre saluta a pugno chiuso col fazzoletto rosso al collo davanti alla bandiera jugoslava, o fingendo di andare a spasso con la statua di Tito: affari suoi…). E allora le foibe? (Laterza, 2021) è stata dunque una delusione, sebbene non certo inaspettata. Non un vero saggio ma un semplice pamphlet, un libricino che mira a creare polemiche. La Storia è un’altra cosa…

Per Gobetti le foibe esistono ed esistono i cadaveri ancora oggi sul fondo, come esistono i rastrellamenti, i processi farsa, la schiavitù nei campi di lavoro forzato, il terrore portato dai partigiani di Tito nel cuore di una popolazione civile e quindi la fuga in massa di istriani, fiumani e dalmati dalle loro terre, ma tutto questo va contestualizzato, e quindi giustificato, perché «nell’attuale contesto europeo l’equiparazione fra i totalitarismi del Novecento (fascismo e comunismo) è un fatto ormai accettato politicamente, nonostante le tante proteste degli studiosi». Siamo d’accordo: se i numeri degli ammazzati contano non esistono paragoni che tengano.

Innanzitutto le foibe. L’utilizzo del nome come simbolo dell’intera tragedia è «poco corretto», evoca infatti «uno scenario di stragi condotte con metodi barbari». Come scrive Lucia Bellaspiga su Avvenire del 10 febbraio, Gobetti azzarda, con un complottismo sconcertante, un confronto semantico con quello che invece ritiene un ossequio verso i nazisti: «In senso inverso – denuncia – si fa uso dell’espressione ‘camere a gas’ dando così l’impressione di una elevata tecnicizzazione»… quasi una velata accusa alla storiografia corrente di razzismo antislavo e di criptoammirazione per i tecnologici tedeschi. Le foibe, per il buon Gobetti, non furono affatto «uno strumento di esecuzione» bensì un semplice «luogo di sepoltura», tanto più che, sostiene Gobetti, di solito vi si era gettati già cadaveri. Come dire che siccome ad Auschwitz nei forni crematori ci si finiva già morti, non vale la pena di parlarne.

Le testimonianze che non collimano con la bizzarra teoria gobettiana (i «cadaveri» erano di vittime uccise un attimo prima, sull’orlo della foiba) sono «racconti macabri» non degni di fiducia,  nonostante le recentissime scoperte di fosse comuni con le salme di decine di migliaia di oppositori al regime di Tito (in gran parte croati e sloveni): lungo il margine centinaia di munizioni, a riprova dell’esecuzione sul posto. A guerra finita, sottolinea Gobetti, nelle foibe morì solo «una piccola parte delle vittime» perché, assicura candidamente, «la maggior parte dei decessi avviene nei campi di internamento», dove si muore, sì, ma «non in seguito alle condanne, bensì per le condizioni di vita [e non è vero: si moriva anche di esecuzioni sommarie e per la tortura praticata assai sovente sui prigionieri]»: sono lager comunisti «paragonabili e addirittura peggiori ai campi di internamento fascisti». Un confronto: nel campo di Gonars, creato dagli italiani presso Udine nel 1941, su cui gli «jugonostalgici» hanno costruito i loro fumetti, morirono in tre anni 364 persone per denutrizione, in quello di Arbe morirono 1447 persone; nei campi nel Regno, dove le condizioni di detenzione erano decisamente migliori, nei campi istituiti a Buccari (Pola), Visco (Udine), Monigo (Treviso), Renicci (Arezzo), Chiesanuova (Padova), Fraschette di Alatri (Frosinone), Colfiorito (Perugia). non si ebbero decessi; per confronto in quello titino di Borovnica per torture, malattie, esecuzioni e fame le vittime furono da tre a cinquemila tra il 1945 ed il 1946.

Per Gobetti morire di stenti (ma anche di bastonate) sembra quindi più civile rispetto a «quell’immaginario di violenza primitiva veicolato dal termine “foibe”». Inoltre «le violenze commesse dai liberatori alla fine della guerra», cioè in tempo di pace, sarebbero un fenomeno «moderno», perché avvenne «in tutta Europa».

Tito doveva «instaurare un nuovo regime di stampo comunista» – giustifica Gobetti –, dunque a rendere «particolarmente alto il numero di vittime delle violenze partigiane alla fine della guerra» fu la «volontà di repressione preventiva degli eventuali oppositori», praticamente una scelta necessaria, poverino. Una ferocia che – ricorda Gobetti – colpì in Istria gli italiani ma all’interno croati e sloveni con centinaia di migliaia di morti. Per lui, fu tutto normale, faceva bene, oh. Viene da chiedersi se c’è o ci fa: se l’avesse fatto per i medesimi motivi Mussolini nel 1922 o nel 1925 dunque sarebbe stato giustificabile, secondo il ragionamento del riccioluto storiografo? Se il Regime fascista avesse eliminato fisicamente le minoranze slovene e croate, o anche solo le loro classi dirigenti (e anche quelle sud tirolesi e francofone) costringendo i superstiti ad emigrare, sequestrandone beni e proprietà sarebbe da comprendere? Eppure il Regime non ebbe volontà di repressione preventiva degli eventuali oppositori, limitandosi a 77 condanne a morte tra il 1925 ed il 1943 di cui 62 eseguite (tra cui 26 terroristi sloveni del Tigr e cinque responsabili di reati politici). Tito fu responsabile di 1.172.000 morti (J. Rummel, Stati assassini, tr.it., Rubettino 2005). Al di là delle polemiche, a parer nostro giustificatissime, per il contenuto del pamphlet, e degli insulti presi in rete dal Gobetti, i cui intenti provocatori sono evidenti sin dal titolo, per i quali con l’appoggio della stampa mainstream si straccia le vesti, elevando alti lai (il più divertente: «mi hanno dato del comunista: assurdo!»): almeno Gobetti non ha subito aggressioni fisiche come durante gli spettacoli di Simone Cristicchi o alle presentazione dei libri di Giampaolo Pansa, o democraticissime censure, come chi scrive o Fausto Biloslavo, passate sotto silenzio o addirittura esaltate dalla sinistra che ora si straccia le vesti.

Al di là delle polemiche dicevamo, il lavoro di Gobetti è esattamente ciò che viene definito in un’entusiastica recensione sull’Espresso: un pamphlet militante. Non è storia, è solo il ruminio delle tesi giustificazioniste che vengono riproposte ogni dieci febbraio puntuali come un intestino regolare: le foibe non furono pulizia etnica ma legittima reazione antifascista agli orrendi crimini italiani anzi, pardon, fascisti; nella foiba di Basovizza non è mai stato gettato nessuno; e in fondo le vittime se lo meritavano. Argomenti triti e ritriti tra i quali non poteva certo mancare la famigerata circolare 3C di Roatta, quella del testa per dente. ovviamente citata senza riportare la chiusa: «Nel trattamento da usare verso le popolazioni, gli edifici,  villaggi e beni, e verso i partigiani, è assolutamente necessario di attenersi alle norme permanenti o contingenti in vigore.- Inasprimenti alle medesime, praticati senza un’assoluta necessità (atti di ostilità armata – tentativi di fuga), sarebbero indegni delle nostre tradizioni di umanità e di giustizia».

Insomma, stando agli argomenti addotti da Gobetti i 1.650 fucilati (secondo le cifre di A. Osti Guerrazzi) giustificano i massacri di forse 11.000 civili italiani, fascisti o meno che fossero.

Non c’è un minimo tentativo di contestualizzazione sui contrasti tra italiani e slavi a partire già dal XIX secolo, sulla politica panslavista del re Alessandro di Jugoslavia nel corso degli anni Venti con il supporto alle organizzazioni terroristiche come Tigr,  o sui caratteri della guerriglia balcanica e della guerra civile jugoslava nel cui quadro generale la lotta contro gli occupanti dell’Asse fu solo un fatto marginale: tutte cose che autori meno strombazzati da una sinistra apparentemente ripulita ma sempre trinariciuta hanno scritto, con ben altro approfondimento.

Triste che a pubblicare il pamphlet gobettiano sia una casa editrice dal nome tanto glorioso, come Laterza, quella di Croce, Chabod, Romeo. Molto triste.

Un consiglio, se proprio volete acquistarlo attendete un mesetto, e lo troverete a metà prezzo in un remainder o su una bancarella.

di Pierluigi Romeo di Colloredo-Mels – 28/02/2021

Fonte: Storia In Rete