Al tempo dei Caffè in Istria e a Fiume
Per ricostruire eventi e personalità che hanno determinato la temperie culturale e l’ambiente sociale di alcuni centri dell’Istria e di Fiume tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento (sulla scia di Trieste, dell’ambito mitteleuropeo e ancor prima di Venezia) è fondamentale “passare” dai Caffè, che hanno definito uno stile di vita e una loro facies culturale specifica. I caffè in particolare, ma anche teatri, cinema, circoli sportivi, artistici e letterari nei quali giunsero a maturazione fermenti e intrecci tra etnie ed esperienze diverse e che, nella cornice storica in cui si inquadrarono queste realtà culturali, costituirono anche dei focolai di diffusione degli ideali irredentistici, divennero luoghi d’incontro vitali, punti di riferimento e scambio culturale della cultura istro-quarnerina. Trieste, città da sempre di riferimento in modo particolare per l’Istria, è stata da fine ‘800 e primi del ‘900 luogo di diffusione e di irradiazione di fenomeni culturali ed economici fondamentali, al tempo stesso ricca di tensioni politiche e aspirazioni irredentistiche di italianità. Gli stili di vita e l’atmosfera che si respirava fece di Trieste una città nuova con un clima culturale complesso e aperto agli stimoli provenienti dall’Europa centrale, cui si mescolavano quelli dell’Oriente e del Sud (intendendo con ciò le sponde dell’Adriatico e la Grecia), qualche ventata intensa proveniente dal nord Europa e dall’oltre Manica e qualche soffio d’aria fresca dalla Francia. Si venne a formare nella città di San Giusto una società d’avanguardia, costituita da una realtà vitale, aperta a nuove esperienze e orizzonti, di cui fu perfetto interprete Roberto (Bobi) Bazlen, frequentatore del Caffè Garibaldi con tutti gli altri famosi letterati triestini.
È però particolarmente accattivante la variegata realtà della vicina Istria e dei suoi maggiori centri di propulsione culturale che si rivelano, in modo più inatteso, ricchi di spunti ed attività di ogni genere. A cominciare da Pola, porto militare di Vienna secondo solo a Trieste, in cui trovavano realizzazione espressioni artistiche che spaziavano in ogni ambito. Per seguire con Rovigno, città dalle molte sfaccettature che, al di là della realtà economico – sociale tendenzialmente popolare e contemporaneamente imprenditoriale, rivelava pure profonde raffinatezze ed aspetti di unicità che andavano dalle botteghe dei “barbieri” alle attività delle bande musicali, dall’importante ricerca scientifica dell’Istituto di Biologia Marina, alle stagioni di spicco del Teatro Gandusio e ai ritrovi nei diversi Caffè.
A Pola, quella moderna e attuale, che ancor oggi vediamo, risulta evidente una precisa scelta asburgica del ruolo che le fu attribuito, quale arsenale della marina e porto militare, che fece sì che tra prima e dopo il 1856 si potesse osservare una vera e propria cesura nella “rifondazione” della città millenaria. Pola assunse tutti i connotati della città, non solo militare, ma borghese, dove convivevano una classe operaia orientata politicamente al socialismo, con l’ideologia imperiale degli ufficiali, con i nascenti nazionalismi italiano e croato, con una piccola e media borghesia. Ed essendo anche sede della migliore élite culturale, diventò centro di un positivismo scientifico che si versava in studi idrografici, astronomici, meteorologici, medici, ma pure filosofici, storici e letterari. Nell’immaginario della marina austriaca, Pola doveva rappresentare la porta verso il mondo e dunque divenne una città davvero moderna coi primi cinema, i teatri, i bagni pubblici, le pubblicità e i giornali in più lingue, i grandi ospedali, moltissimi ristoranti e caffè. Nacquero molteplici società sportive, prevalentemente rivolte a sport marini (Società canottieri, ad esempio) o alla ginnastica, o al pattinaggio, che supportarono per moltissimo tempo, sino allo scoppio del Secondo conflitto mondiale, la vita sociale cittadina. Furono fervidissime le attività dei teatri, sia di prosa che di musica (Filodrammatica, il Ciscutti) e, d’estate, le splendide stagioni all’Arena, per cui venivano organizzate persino da Trieste o altre località sia dell’Istria e del Quarnaro, che del resto d’Italia, le corse dei traghetti o dei mezzi di trasporto. Il Politeama Ciscutti iniziò la propria attività con la stagione operistica con opere di Giuseppe Verdi. Vi si svolgevano rappresentazioni teatrali, programmi musicali, proiezioni cinematografiche, balli ed eventi di beneficenza, manifestazioni del circo, addirittura spettacoli di boxe, lotta e scherma. Prima della Prima Guerra Mondiale il programma spesso era in funzione della propaganda irredentista italiana, e molti spettacoli drammatici e operistici provenivano da vari centri culturali italiani. Ma tutti i momenti di incontro, di organizzazione, di “attese” avvenivano proprio nei Caffè, nel senso storico del termine, in cui tutti i cittadini, uomini e donne gradevolmente si intrattenevano. Questi locali divennero inoltre luoghi d’incontro di moltissimi intellettuali che, come da tradizione, qui si trovavano e scambiavano opinioni, producendo quell’humus non solo mondano, ma soprattutto culturale che fece sì che anche James Joyce abbia vissuto per un certo periodo a Pola, essendo qui venuto da Trieste ad insegnare l’inglese presso il “Berlitz” allora operante in città (sintomo di grande progresso!) e per collaborare ai lavori di una rivista culturale. Il grande artista irlandese, assiduo frequentatore di caffè, nel capoluogo dell’Istria sostava molto spesso in quello che oggi porta il suo nome, Caffè Joyce, accanto all’Arco dei Sergi, all’inizio del Corso e di fronte a quello che oggi è un ristorante, ma fino alla fine del secondo conflitto mondiale era il Caffè Italia. Da quel crocevia nevralgico della città poteva osservare ogni via vai, incontrare altri personaggi di cultura, giornalisti e allievi, sbirciando l’imbocco dell’importante strada che porta allo splendido edificio Liberty del mercato, luogo di incontro ancor oggi e tuttora adibito al medesimo uso, sempre molto frequentato. Introdotti sempre dall’Arco dei Sergi, percorrendo il Corso si giunge in Piazza Foro, dove si aprivano gli eleganti battenti del Caffè Diana. Non mancavano simili locali in cui si festeggiavano importanti eventi da parte della cittadinanza e dei rappresentanti delle istituzioni nelle importanti “Corsie”: il Caffè degli Specchi, omonimo del famoso triestino, guarda caso in Corsia Francesco Giuseppe (sulla Riva grande). Il Caffè Europa, fu inaugurato qualche mese dopo una breve ma significativa visita dello stesso imperatore, nel gennaio del 1887; per il buongusto e il servizio ineccepibile era degno di raccomandazione e frequentemente affollato da giornalisti che lavoravano per molte testate italiane, tra cui la prestigiosa «Gazzetta di Venezia», e per le diverse testate estere presenti a Pola. Il Caffè Europa era situato nella Casa Quadri, in Piazzale Kandler. Non potevano passare inosservati inoltre il Caffè Miramar e il Caffè dell’Hotel Central, ma soprattutto il Caffè dell’Hotel Riviera, accanto all’Arena e con splendida vista sul golfo, dove avevano luogo concerti e incontri di un bel mondo borghese e cittadino ampiamente rappresentato. Per concludere in bellezza, pur se di molti altri ancora splendidi locali era dotata l’antica Pietas Julia, va ricordato il Casino Marina con il suo elegantissimo e sfavillante Kaffeesaal in cui convergeva tutto il bel mondo polese, le alte rappresentanze della Marina imperiale, i rappresentanti delle istituzioni, ma nondimeno gli studenti del Ginnasio tedesco per rinomate feste da ballo, ricevimenti o occasioni ufficiali di rilievo e rappresentanza. Tutti i Caffè e i palazzi che si mantennero, continuarono anche durante il regno d’Italia ad essere luoghi di riferimento e di aggregazione di tipo ludico, culturale e sociale, apportando fermento ed effervescenza alla pubblica vita cittadina. Si può dire, insomma, che intorno ai caffè e ai teatri fiorì una grande attività, oltre che culturale, economica, determinando pure un indotto turistico e un notevole fermento architettonico relativo alle loro edificazioni a Pola, nelle località del Quarnaro, come Abbazia, frequentate dall’èlite del mondo austro-ungarico e poi del Regno d’Italia, nonché di cittadine particolarmente evolute e di primo piano come Capodistria, Parenzo e particolarmente Rovigno, città senza dubbio poliedrica. Qui fiorì in modo eccezionale l’attività di Caffè, dei cinema, delle Filo-drammatiche, dei Cori e delle Scuole di Musica. I luoghi di aggregazione cittadina: piazze, caffè e barbieri (famosissime sono le Cronache di Rovigno di Antonio Segariol Barbiere che costituiscono un’unicità assoluta), permettevano la condivisione di un’appartenenza comune e di una coesione e solidarietà stretta, che faceva sentire i suoi abitanti tutti uniti in un’identità unica e forte. Nell’Istria ancora asburgica, gli ideali mazziniani, che si erano andati diffondendo a metà dell’Ottocento, avevano favorito il formarsi di un’idea nazionale e patriottica che si era propagata in tutte le fasce sociali, senza distinzione e che tra caffè e barbieri trovava ampia possibilità di diffusione e circolazione, tanto che già nel 1881 venne fondata a Rovigno una Società di letture cattoliche composta da 75 soci e circa un migliaio di volumi, come riferisce proprio il Segariol, il quale racconta anche che dieci anni dopo venne restaurato il Caffè Municipio in Piazza della Riva. L’antica costruzione venne abbellita con l’erezione di nuove porte e bellissimi archi. Posto in posizione centralissima era ambiente molto elegante e di ritrovo maschile e femminile, in una città in cui le donne in quegli anni assunsero una posizione sociale sempre più pubblica e preminente, essendo donne che lavoravano fuori dalle case o dalle attività di famiglia, costituendo dunque esse stesse delle avventrici non esclusivamente al seguito di uomini. Il Caffè, sapientemente gestito, si prendeva cura persino di creare delle elegantissime locandine per porgere ai propri clienti felicitazioni per «l’anno novello» come appariva nell’augurio per il 1898. Sempre in pieno centro il Caffè Alle Nazioni dal nome significativo, che cronache e immagini ci presentano particolarmente affollato e dove, come in tutti gli altri, era possibile trovare, secondo la consuetudine, diversi giornali a disposizione dei clienti. Nella cittadina che viveva di intense attività lavorative distribuite tra i commerci, i viaggi mercantili (era l’epoca del Giapponismo), la pesca, la ricca agricoltura che produceva ottimi vini e oli, come ancor oggi del resto, donne e uomini che lavoravano intensamente avevano poi il piacere di trascorrere il poco tempo libero, di scambiare amicizie, amori, passioni politiche irredentiste tra i caffè i cinema e il teatro. Certamente strategica la posizione del Caffè Alla Marina, accanto al Cinema Parigi (curioso che i rovignesi da tempi molto addietro definissero scherzosamente la propria amata città, la piccola Parigi); mentre l’elegante edificio del Cine Roma (non casuale che entrambe le sale portassero il nome di due grandi capitali), posto lungo le Rive, luogo di passeggio immemorabile, ancor oggi campeggia nello stesso luogo ed è stato adibito a Centro Multimediale, seguendo, si potrebbe dire, un’evoluzione naturale dei tempi, ma conservando la sua natura di locale di divertimento, concerti, balli, convegni, visioni cinematografiche con il sottostante immancabile Caffè. Infine, i caffè situati in Valdibora costituivano una sorta di sala d’attesa antistante il teatro “Antonio Gandusio”, intestato ad uno dei maggiori attori comici del ‘900, nato proprio a Rovigno il 29 luglio 1873, e spentosi dopo una vita di intensa attività artistica sia nel teatro che nel cinema, il 23 maggio 1951 a Milano. Tanto grande è stato Gandusio quale propulsore di cultura col suo teatro e le compagnie portate ovunque, che nel settembre 2001 si tenne una grande manifestazione a Rovigno, tesa a ravvivare la memoria e l’interesse per la vita e l’opera dell’artista partito dal teatro e dai Caffè della sua istriana città natale.
Che dire a questo punto di Fiume, perla del Quarnaro? Della sua ricchezza culturale tra Ottocento e Novecento è prova la metamorfosi della realtà urbana, per la varietà e funzionalità degli edifici e l’aggiornamento delle scelte architettoniche, dal Neoclassicismo allo Stile Secessione. La lungimiranza dell’amministrazione comunale, la competenza dell’ingegnere militare Giovanni Ciotta, che fu podestà ininterrottamente dal 1876 al 1892, le oggettive condizioni di espansione della produzione industriale e di incremento demografico portarono, nel 1873, al concorso per l’elaborazione di un Piano Regolatore della città, fondato sulla previsione di uno sviluppo urbano essenzialmente commerciale e i nuovi bisogni della comunità. L’intervento urbanistico varato da Paolo Grassi contemplava l’estensione del tessuto urbano alle colline circostanti, con nuovi quartieri residenziali e spazi verdi, ridisegnava la viabilità con le nuove arterie, come le vie Volosca e per Scurigne, adeguate nell’ampiezza e nel tracciato allo scorrimento del traffico, prevedeva edifici pubblici amministrativi, riservando la zona tra il fiume, il porto e la ferrovia agli impianti industriali. La ridefinizione architettonica della città conobbe una prima, importante fase a fine Ottocento e ancor più tra il 1910 e il 1915 fino all’interruzione imposta dagli eventi bellici. Motore di questa profonda trasformazione della città era la spinta all’industrializzazione e alla valorizzazione del porto impressa dal governo ungherese: mentre i capitali ungheresi trovarono un impiego significativo nell’industria di trasformazione delle materie prime essenziali o destinate all’esportazione, la piccola industria fu lasciata all’iniziativa locale, condizione che richiamò a Fiume un non trascurabile afflusso di imprenditori e uomini d’affari dalle diverse regioni dell’impero, soprattutto da Trieste, ma anche dalla sponda adriatica italiana. Tra le imprese di spicco i cantieri Danubius, poi fusi alla Compagnia Ganz di Budapest in joint-venture, l’officina per navi fondata dall’ingegnere Giuseppe Farkas e il silurificio Whitehead il cui edificio, progettato da M.Curet, era improntato ai criteri di moderna igiene del lavoro e di assoluta funzionalità. Oltre a scuole, mercati coperti, un nuovo orfanotrofio, un monastero dei Cappuccini, venivano pianificati i quartieri operai in aree esterne alla Cittavecchia, considerata angusta e malsana, mentre l’abbattimento degli edifici fatiscenti del centro avrebbe permesso la costruzione di prestigiosi edifici di rappresentanza e luoghi deputati alla vita sociale. Abbattuto il più antico teatro stabile, edificato in stile neoclassico, lo studio di Fellner ed Helmer, che già aveva dato buona prova progettando edifici teatrali a Praga e a New York, venne incaricato di progettare il Teatro Verdi, un Auditorium capace di accogliere 1240 spettatori, con struttura in acciaio, palcoscenico girevole e soluzioni tecnologiche innovative. A decorare gli interni fu chiamata la Compagnia degli Artisti con Franz Mastsch e i fratelli Ernst e Gustav Klimt. L’inaugurazione del teatro, nel 1885, vide una trionfale esecuzione dell’Aida. Il Teatro Verdi rappresentava un luogo di ritrovo sociale importante, con la possibilità oltre che di assistere a spettacoli di lirica e drammaturgia, per i quali giungevano in città le più note compagnie italiane, anche di organizzare eventi mondani come il ballo in maschera del Carnevale, manifestazione di primo piano nella società fiumana. Nel 1911 venne intrapreso un ambizioso progetto, il Teatro Fenice, pensato come edificio polifunzionale. Al centro culturale, che prevedeva il teatro, una sala per varietà e un Casino (sala da ballo), era affiancato un edificio residenziale, dotato di ascensore e roof garden, con appartamenti signorili, composti da almeno sei camere ciascuno. L’aspetto esteriore dell’edificio colpisce per l’essenzialità geometrica dell’attico, decorato da scalini alternati a colonne, con un effetto “metafisico” e decisamente Jugendstjl. Gli interni, moderni e funzionali, guardano ai modelli francesi e tedeschi, adottando un’orchestra molto profonda, con l’effetto del golfo mistico voluto dal Wagner nella Festspielhause di Bayreuth. In rapida successione, nei pochi anni che precedettero la Grande Guerra, aprirono i teatri di varietà: il Teatro Thalia (1910), il Teatro Apollo (1912), l’Arena Odeon (inaugurata il 26 luglio 1913 con l’opera comica Don Pasquale di Donizzetti), il Teatro Varieté Fenice (1914), poi denominato Sala Bianca. Le prime proiezioni cinematografiche avvennero in strutture mobili, i cinema ambulanti, poi, tra il 1906 ed il 1914 vennero aperti almeno nove cinema stabili, alcuni dei quali utilizzati anche per spettacoli di varietà. Molto eterogenea, e socialmente differenziata, era la massa di viaggiatori che transitava per la città, dagli uomini d’affari cui vennero dedicate le strutture alberghiere più eleganti, agli emigranti, in partenza alla volta delle Americhe, per i quali venne edificato un ostello. In prossimità dei centri d’affari e del porto sorsero hotels che rivaleggiavano con le architetture più ardite e prestigiose dei maggiori centri d’Europa, come l’Hotel Bristol, progettato dall’ingegnere Emilio Ambrosini ed inaugurato alla fine del 1909. Dotato di ascensore e di servizi igienici su ogni piano, l’albergo ospitava la sala ristorante al piano terra, dove si apriva con le ampie vetrate un caffè di gusto squisitamente viennese, cui facevano eco gli altri, che costellavano la Corsia Deak. Seguendo il costume mitteleuropeo, gli avventori dei caffè fiumani potevano intrattenersi a leggere i giornali, un’ampia selezione di testate e pubblicazioni provenienti da tutto il mondo, oltre alla stampa ungherese, i locali “La Bilancia” e“La Voce del Popolo”, l’uno di tendenza filogovernativa, l’altro autonomista, e per alcuni anni il “Novi List” di Frano Supilo, il primo giornale di lingua croata. Piazza Adamich, centro pulsante della città, contornata da caffè eleganti e cosmopoliti come il noto Caffè Schenk, si apriva in prossimità dell’omonimo molo, con l’attracco dei vaporetti impegnati a fare la spola tra Fiume, Abbazia, il Quarnero ed oltre. Ma anche piazza Elisabetta, ingentilita dalle aiole fiorite, esibiva i tendoni a copertura del Caffè Adria, mentre il frequentatissimo Caffè Boukonig nel 1891 estendeva i suoi tavolini lungo il Giardino Francesco Giuseppe. Luoghi di incontro e di confronto sociale e culturale, i caffè fiumani contribuirono non poco alla vita imprenditoriale e intellettuale della città, multietnica e plurilingue, differenziandosi in base alla clientela. Così, lungo il Corso, nel palazzo della Čitaonica ebbe sede il Caffè Marittimo, ritrovo di armatori e capitani, mentre i frequentatori del Caffè Europa, sul lato opposto della via, si lasciavano trascinare dalle discussioni politiche.
Veramente originale e interessante è dunque osservare quanto i Caffè che altrove (eccettuate Milano e Venezia) in Italia o in Europa avevano sempre costituito dei punti di sosta breve, invece tra l’Istria, Fiume, Trieste e la Mitteleuropa abbiano favorito la circolazione di artisti, di idee e le conseguenti interferenze culturali, determinando reciprocità ed influenze che concorsero alla formulazione di una cultura complessa nella condivisione di ideali umani e politici, tendenze del gusto e commistioni tra lingue, etnie e tradizioni diverse.
di Donatella Schürzel e Maria Grazia Chiappori
Fonte: Il Piccolo – 27/04/2021
Rubrica “Lettori de “Il Piccolo” da 140 anni” a cura dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e del Centro di Documentazione Multimediale della Cultura giuliana, istriana, fiumana e dalmata.