Alcune considerazioni su “Zeno batte l’apartheid”
Vorrei fare alcune riflessioni su quanto scritto da Mauro Covacich su la Lettura del 7 giugno scorso nel suo interessante articolo “Zeno batte l’apartheid. La lingua di Italo Svevo contro il nazionalismo”.
Vivo a Roma, ma sono figlia di esuli da Rovigno d’Istria e consigliere nazionale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, la più antica e importante delle associazioni degli esuli che dopo la Seconda guerra mondiale abbandonarono le terre dell’Adriatico orientale, terre dalla storia molto complessa. Nel 1382 avvenne la dedizione di Trieste all’Austria, che nel 1719 le concesse il Porto Franco. La città ebbe uno sviluppo economico notevole con aumento della popolazione. Come dice Covacich, il dialetto triestino, uno dei dialetti veneti, divenne la lingua franca per gli abitanti della città, avendo soppiantato il tergestino. In Istria, la prima dedizione a Venezia avvenne a Parenzo nel 1267, seguita dalle altre località istriane e dalmate. Gia nel 932 Capodistria aveva comunque stretto un accordo con Venezia, riconfermato nel 977. Dopo l’anno Mille tutte le località della costa istriana conobbero un notevole sviluppo economico, con conseguente aumento di popolazione. La lingua franca, divenne il veneto da mar, con le sue varianti: tutti questi dialetti sono mutualmente comprensibili.
In Istria meridionale sopravisse il dialetto istrioto, (codice ISO 639-3 IST) lingua romanza autoctona distinta dal dialetto istroveneto, parlata ancora oggi seppur in forte regressione.
Scrivo queste precisazioni perché mentre in Istria la popolazione romanza autoctona, maggioritaria fino al 1947, era fortemente radicata nel territorio in ogni livello e attività, a Trieste,una città mercantile e di servizi, la maggioranza degli italofoni non era autoctona. Si può pertanto affermare che l’italianità dell’Istria e in parte della Dalmazia non è una scelta solo culturale o di prestigio, ma la naturale evoluzione della romanizzazione, come comprovato dalla presenza dell’istrioto, parlato anche a Pola fino al XIX secolo.
Per il caso dell’incendio “fascista” dell’hotel Balkan, questo avvenne due anni prima della Marcia su Roma. Ancora non c’è concordia sulle cause del triste evento, che avvenne in seguito ad una manifestazione di protesta per l’uccisione ad opera di nazionalisti croati, avvenuta a Spalato il giorno prima, del comandante della nave “Puglia”, Tommaso Gulli e del motorista Aldo Rossi. Nei tumulti che accompagnarono l’incendio dell’albergo persero la vita Luigi Casciana, tenente del Regio Esercito, e il diciassettenne Giovanni Nini, ucciso nel corso di una precedente manifestazione dagli “slavisti” che poi si rifugiarono nell’Hotel.
Infine, un ricordo personale riguardo Boris Pahor, triestino di lingua e cultura slovena. Dopo la caduta della Jugoslavia, da lui fieramente avversata, tanto che il regime di Tito gli negò l’ingresso, sposò la causa delle persecuzioni subite dagli sloveni da parte dei governo fascista, incontrando un notevole successo. Ho avuto modo di parlare con lui direttamente, nell’autunno del 2015, durante la presentazione del suo libro “Necropoli” nella Fiera dell’Editoria minore di Roma. In quell’occasione mi confessò candidamente che la persecuzione subita dagli sloveni, fortemente cattolici, ad opera del regime comunista jugoslavo fu molto peggiore di quella loro inferta dal regime fascista.
Eufemia Giuliana Budicin
Consigliere nazionale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia