Arturo Cronia, pioniere della slavistica e gigante della cultura europea
Nella splendida cornice della sala Guariento nell’Accademia Galileiana e successivamente in quella dell’Archivio Antico dell’Università di Padova, la stessa sede dove per anni aveva tanto intensamente lavorato ed insegnato, il 20-21 novembre si sono tenuti i lavori del convegno su Arturo Cronia in occasione dei cinquant’anni dalla scomparsa.
Un nome noto alla maggior parte dei dalmati – quello di Arturo Cronia – è soprattutto conosciuto in campo accademico per essere fra i pionieri della slavistica in Italia insieme a Giovanni Maver ed Ettore Lo Gatto, come ha ricordato il prof. Giorgio Ziffer, presidente dell’Associazione Slavisti Italiani nella sua introduzione.
E come pioniere, Arturo Cronia non si è solo occupato di slavistica in senso stretto, ma anche di etnografia, di teatro, di storia e di tante altre discipline tracciando – come emerge dalla sua copiosa produzione accademica e letteraria – l’alfabeto della metodologia scientifica per gli studi slavistici in Italia.
Un nome, il suo, sinonimo di competenza, autorità, perseveranza, ma pure capace di generare accese controversie financo a cinquant’anni dalla scomparsa, come si è potuto apprezzare durante il convegno.
Sopratutto però Arturo Cronia era forse una fra le più importanti anime di quella eccezionale generazione che – sopravvivendo a due guerre mondiali – ed avendo avuto i natali in una terra di confine, sono state interpreti di tutte le culture ivi presenti , come Diocleziano, San Girolamo, Cirillo e Metodio, i Pontefici di origine dalmata, gli umanisti, ambasciatori e mercanti dalmati che pensavano e scrivevano in tre lingue per arrivare sino alla nostra epoca con Francesco Carrara, Niccolò Tommaseo ed Aldo Duro.
La perfetta conoscenza storica del mondo latino, di quello germanico e di quello slavo declinati nei loro principali rami fecero di Cronia un vero gigante della cultura europea dal “profilo estremamente corretto e pieno di aristocrazia di spirito” come ricordava il suo allievo Giovanni Maran sulla Rivista Dalmatica del 1957 in occasione dei sessanta anni del professore.
Era un uomo del suo tempo, certo, l’italianità era il suo faro, ma le sue intuizioni, le sue impostazioni sulla cultura dalmata, croata, serba, cecoslovacca, polacca, slovena e bulgara, restano tutt’oggi fondamentali. Particolarmente fondamentali per noi dalmati, sono le sue interpretazioni sulla letteratura dalmato-ragusea, sul glagolismo, insomma sulle millenarie relazioni fra italiani e slavi in Dalmazia che vanno tutt’oggi lette con estrema attenzione e rispetto se ci si vuole immergere nel microcosmo dalmata comprendendolo aldilà delle singole vulgate nazionali. Arturo Cronia non ha mai nascosto le sue idee, ma certo non gli si può negare una completa apertura verso chi come lui non pensava: basta scorrere qualsiasi suo testo come ad esempio quello sul teatro serbocroato per constatare con quale predilezione riporti ed analizzi ad esempio alcune opere come la Trilogia Ragusea (Dubrovacka Trilogja) di Ivo Vojnovic, oppure con quale trasporto descriva nei suoi testi sulla letteratura serbocroata ogni aspetto dell’Illirismo anche quando l’Illirismo si palesava nelle espressioni più contrarie alla presenza ed alla sopravvivenza della cultura italiana in Istria e Dalmazia.
Alcuni fra i principali aspetti della produzione croniana, specialmente quelli ancora oggi al centro di dibattiti, sono stati attentamente presi in considerazione dall’organizzatrice del Convegno, la professoressa Rosanna Benacchio che nel primo intervento dei lavori non ha mancato infatti di delineare nei dettagli sia la formazione intellettuale che l’approccio universitario ed infine la vita accademica del Cronia . Seguendo l’affresco tracciato dalla professoressa Benacchio scopriamo come la prima cattedra di slavistica in Italia fu istituita proprio a Padova dopo la prima guerra mondiale ed affidata a Giovanni Maver, dalmata di Curzola (1891 – 1970) con il quale Artuto Cronia si laureò nel 1921.
Gli studi universitari di Cronia erano stati interrotti dalla prima guerra mondiale: dopo la maturità conseguita a Zara nel 1914, si era infatti iscritto all’Università di Graz , ma i corsi in filologia slava – interrotti dal servizio militare prestato nell’esercito austroungarico – vennero da Cronia proseguiti nel 1919 presso l’Università di Praga e conclusi appunto a Padova con una tesi su Dante nella letteratura serbocroata pubblicata a Roma nel 1921. La sua carriera proseguì a Zara come professore del liceo classico di Zara dal 1922 e poi borsista all’Università di Praga dal 1923 al 1925. Ottenuta nel 1924 l’abilitazione alla libera docenza, dal ‘ 29 al ’33 fu professore ospite all’Università di Brno ed in quella di Bratislava, poi dal ’32 al 36, professore all’Università di Praga, approdando finalmente nel 1937 alle università di Padova e Bologna con incarico per la filologia slava . Vero ponte fra le culture, oltre che un serbocroatista, Cronia fu anche un insigne boemista come dimostrano i più di cento titoli scientifici oltre che recensioni, traduzioni ed articoli di critica letteraria.
Forse però la parte più inedita dell’intervento della professoressa Benacchio è stata quella relativa alle 279 o più tesi delle quali Arturo Cronia fu relatore da quando il 16 novembre 1940 , prese la cattedra a Padova per chiara fama, sostituendo il suo maestro Giovanni Maver chiamato a Roma. Dai titoli delle tesi di cui fu relatore, si possono apprezzare dettagliatamente gli interessi e l’approfondimento del lavoro scientifico di Cronia: il 90% delle tesi hanno una lunghezza media che va dalle 150 alle 200 pagine e spaziano dalla letteratura serbocroata medioevale, a quella dalmato-ragusea sia rinascimentale che barocca, per arrivare alle tesi su opere ed autori del periodo romantico, realista, moderno e contemporaneo della letteratura serbocroata spesso in relazione con quella italiana. Altre tesi sono quelle sulla letteratura slovena, anche qui, in molti casi analizzata attraverso i suoi scambi con quella italiana. Lo stesso è avvenuto per le tesi sulla letteratura polacca, ceca, russa e bulgara. Senza contare le altre rivolte ai campi della dialettologia, della filologia e della linguistica dove correlatori appaiono futuri nomi eccellenti in queste discipline, come ad esempio il Tagliavini.
La preparazione e la passione che Cronia mise sia negli anni della sua docenza a Padova hanno spinto il prof. Marcello Garzaniti dell’ Università di Firenze a definirlo come vero e proprio gigante e pietra miliare della slavistica italiana. Approcciando le sue opere oggi ci si sente come dei nani che – saliti sulle spalle di un gigante – riescono a vedere nitidamente un metodo ed una impostazione scientifica prima di lui assente. Analizzando l’opera principale del Cronia, ossia ” La conoscenza del mondo Slavo in Italia“, il prof. Garzaniti ha ricordato che nei secoli precedenti a quello passato c’erano stati studi slavistici in Italia, ma in trent’anni di fatiche Cronia da solo ha scritto quasi il doppio di tutto quello che vari autori avevano scritto lungo i secoli precedenti. Per la sua opera principale aveva coinvolto i migliori studiosi non solo dell’ Università di Padova, ma anche del resto d’Italia e d’Europa. L’analisi del prof. Garzaniti si sviluppa dettagliatamente in ogni parte dell’ opera iniziando da quelle relative all’epoca medioevale con la diversa conversione al cristianesimo che fa gravitare i popoli slavi verso due mondi antitetici creando fra loro un vuoto incolmabile nei secoli successivi: Roma e Costantinopoli. Cronia analizza i più importanti documenti del papa Giovanni VIII per il territorio che va dalla Dalmazia alla Bulgaria, dalla vicenda di Cirillo e Metodio passando poi successivamente sulla questione della lingua liturgica con il Sinodo di Spalato e l’azione di Innocenzo III verso i Balcani. Ma a Cronia non sfugge nessun episodio, iniziando dal miracolo del Corpus Domini di Bolsena che vede come protagonista un sacerdote boemo, passando per l’iconografia, la storia del culto e dell’ agiografia come nel caso di Venceslao ed Adalberto. Attente sono le analisi di tutte le fonti, come Paolo Diacono, ma specialmente le fonti veneziane che rappresentano quasi una radice per l’interpretazione della conoscenza di molti popoli slavi in Italia. Vasto spazio poi è dato da Cronia ai contatti fra slavi ed italiani già fitti dal tredicesimo secolo e specialmente alle eresie dei bogomili bosniaci e bulgari e degli ussiti boemi analizzando e mettendo a confronto le traduzioni e i loro evangeliari. L’analisi di Cronia poi prosegue verso l’epoca rinascimentale mettendo in risalto la percezione geopolitica che Venezia ed il Papato avevano verso l’Europa orientale, specialmente analizzando le fonti polacche e la figura di Enea Silvio Piccolomini, per poi proseguire con i contatti fra slavi ed italiani lungo i secoli successivi fino ad arrivare ai movimenti di rinascita dei popoli slavi analizzati da Cronia nei loro rispettivi influssi e contatti con la cultura italiana.
Uno degli aspetti più controversi degli studi di Cronia è quello relativo al glagolismo preso in esame con molta cura dalla professoressa Barbara Lomagistro dell’ Università di Bari. Nel suo intervento dal titolo “Inesplicabile come un enigma…intricato come un labirinto” che riprende l’omonima opera del Cronia sull’enigma del glagolismo, infatti la professoressa Lomagistro parlando a braccio, citando a memoria fatti, date e personaggi storici, ha messo in evidenza il coraggio e l’onestà con le quali Cronia enunciò e portò avanti le sue tesi che gli provocarono non poche critiche, giudizi negativi e lapidari non solo da varie parti del mondo accademico, ma anche da alcuni suoi allievi divenuti poi colleghi. Secondo Lomagistro, Cronia analizzò il fenomeno del glagolismo dal punto di vista religioso, letterario e politico; attraverso questo metodo cercò di spiegare la vicenda dell’utilizzo della lingua slava nella liturgia mettendone in risalto alcune criticità. Prima fra tutte,la mancanza delle fonti, seguite poi da certi miti che pur privi di basi storiche vengono assunti a certezze; uno di questi, il mito della traslazione chiaramente ideologica della liturgia paleoslava da Cirillo e Metodio o dai loro allievi boemo moravi alla Dalmazia. La professoressa Lomagistro prosegue poi sottolineando come Cronia analizzò i documenti dei privilegi papali del 1248 e 1252 per la liturgia in lingua slava, concessi solo a determinati vescovi e non estesi ipso facto a tutta la Dalmazia. Tale impostazione viene confermata anche dai decreti di Benedetto XIV fino a quelli di Leone XIII. Il coraggio e la sicurezza con le quali Cronia portò avanti le sue tesi gli valsero ogni tipo d’accusa come ad esempio quella di essere il tipico nazionalista italiano che ha in odio gli slavi, negando qualsiasi valore scientifico alle sue tesi.
Un vizio questo, duro a morire, che è stato purtroppo riproposto sia sommessamente che platealmente nella seconda ipotesi – durante il giorno successivo del convegno dal prof. Milos Zelenka dell’Università di Praga.
Il primo giorno del convegno si è chiuso con gli interventi della professoressa Valnea del Bianco dell’ Università di Pola che – non senza qualche critica di cui sopra – ha analizzato l’approccio di Cronia alla letteratura croata con particolare attenzione alle sue tesi sulla letteratura dalmato–ragusea ed alle sue critiche verso il valore delle opere di alcuni autori oggi considerati come iniziatori della letteratura serbocroata e persino riprodotti sulle banconote della kuna. Tornando alle critiche, la professoressa del Bianco ha spiegato nei dettagli quali fossero le obiezioni mosse a Cronia da alcuni fra i principali esponenti della cultura croata del secolo scorso come Deanovic o Tomasovic.
Particolare attenzione alla letteratura dalmato-ragusea, nello specifico a Marino Darsa, ha dato la professoressa Rosanna Morabito dell’ Università di Napoli mettendo in risalto l’eclettismo di Darsa come del resto l’eclettismo di tutta la letteratura dalmato–ragusea. Prendendo spunto dalle opinioni non sempre positive di Cronia su Darsa, Morabito ha di seguito analizzato lo sviluppo delle interpretazioni di Cronia su Darsa lungo il tempo della sua vita accademica e particolarmente le critiche che man mano colpivano lo stesso Cronia a causa delle sue considerazioni scientifiche. Facendo ciò Morabito ha passato in rassegna praticamente i principali studi e critiche non solo della slavistica italiana, ma anche di quella internazionale su Marino Darsa rilevando come – a cinquecento anni dalla sua nascita – i giudizi o le svalutazioni che Cronia senza nessuna ambiguità gli ha mosso, pur suscitando ogni genere di reazione , mantengono tutto il loro valore scientifico.
Nel secondo giorno di Convegno, i lavori sono stati aperti dalla professoressa Zlata Bojovic di Belgrado, la quale ha ricordato i molteplici interessi di Arturo Cronia analizzando, in particolare, la sua amicizia attraverso la corrispondenza con Petar Kolendic, uno dei più insigni slavisti serbi:1150 sono le lettere conservate a Belgrado fra Kolendic ed esponenti della cultura italiana. Numerose quelle rivolte ad Arturo Cronia, ma non mancano anche quelle fra Kolendic ed Attilio Missoni, fratello di Ottavio, profondo conoscitore della letteratura e della cultura serbocroata. Come risulta in molti suoi scritti, Cronia citava spesso intuizioni e studi di Kolendic che aveva conosciuto da giovane durante le ricerche negli archivi dalmati e del quale apprezzava profondamente il lavoro, tenendolo ben presente, non solo in campo accademico, ma anche in quello familiare ed umano.
La professoressa Maria Rita Leto dell’ Università di Chieti-Pescara, ha invece posto l’accento sul ruolo di Cronia come slavista accademico identificandolo senza ombra di dubbio come il fondatore della serbocroatistica : tutta la sua opera e la sua scienza fu volta a spiegare le relazioni culturali fra le due sponde dell’Adriatico senza mai stancarsi di cercare e mettere in luce i molteplici legami fra letteratura italiana e dalmato-ragusea. Da rivalutare – secondo Leto – sarebbero gli studi di Cronia sulle problematiche e le controversie nella letteratura serbocroata: dal rapporto fra poesia colta e popolazione scarsamente alfabetizzata, le relazioni che si vennero a creare fra la poesia colta della Dalmazia e letteratura popolare serbocroata come ad esempio non successe nella letteratura bulgara. L’analisi passa poi per alcuni singoli elementi degli studi di Cronia che prende in esame le influenze dantesche, petrarchesche e boccaccesche sulla letteratura serbocroata per poi arrivare a rilevare come fino a Tommaseo non esista un vero e proprio interesse della cultura italiana per la poesia popolare serbocroata.
Sul metodo tracciato ne “La conoscenza del mondo slavo in Italia” si è soffermata la professoressa Mirka Zogovic di Belgrado, secondo la quale l’opera è un inesauribile miniera di dati e spunti di studio il cui plusvalore risiede nei giudizi di merito che Cronia inserisce quasi di striscio dimostrando la sua capacità globale di analisi. La sua critica letteraria, il suo credo estetico sono – secondo Zogovic – spia della personalità croniana caratterizzata da un romanticismo di battaglia e di scoperta che lo porta a sentire ed a soffermarsi su ogni personaggio nella sua epoca: Gondola così diventa il Tasso del seicento raguseo, Giorgi, bizzarra semiieratica figura e Cerva magnifica creazione umanistica.
Dante e Petrarca negli studi di Arturo Cronia sono stati invece oggetto di analisi da parte del prof. Guido Baldassarri, il quale ha preso in esame i motivi danteschi e petrarcheschi presenti nelle culture dei vari popoli slavi analizzati da Cronia. Appena laureato in lettere, infatti Cronia aveva esordito nel 1921 con uno studio sulla fortuna di Dante nella letteratura serbocroata dove – avvalendosi di fonti documentarie precise – analizzava autore per autore le influenze dantesche su ognuno di essi dandone infine una precisa interpretazione e tracciando quello che sarebbe stato il metodo scientifico che avrebbe seguito nei suoi studi accademici. Quasi un ventennio più tardi si occupò infatti specificamente di Petrarca chiarendo quello che era un preciso fenomeno all’interno della letteratura serbocroata, con un suo scritto in “Studi Petrarcheschi”. Ma il suo interesse per la fortuna di Dante e Petrarca sugli autori slavi non si fermò qui: durante gli anni della sua permanenza in Cecoslavacchia, parte delle ricerche di Cronia si incentrarono sulla influenza che i fondatori della letteratura italiana ebbero sui principali autori boemi, moravi, slovacchi e polacchi mettendo in risalto come, poco dopo il trecento, la forza del messaggio dantesco e petrarchesco repentinamente si estese in territori così lontani influenzandone molti dei loro autori.
Le varie sfaccettature del Cronia boemista sono state messe chiaramente in risalto dal prof. Alessandro Catalano dell’Università di Padova il quale, analizzando nel dettaglio le ricerche d’archivio svolte da Cronia fra le varie biblioteche cecolslovacche, ha percorso passo per passo l’esegesi croniana nella letteratura ceca e nella sua comparazione con quella italiana. Il prof. Catalano, infatti non si è fermato solo agli studi di Cronia su Dante e Petrarca, ma ha sviluppato il discorso anche all’influenza di Boccaccio, analizzando la sua influenza nei vari periodi della letteratura boema. Particolareggiata la sua analisi sulla circolazione delle opere di Dante in Boemia dove rileva come nel trecento la Monarchia era molto più conosciuta della Commedia, determinando un forte impatto su tutta la cultura ceca .Questo avvenne anche – come afferma il prof. Catalano – perché nell’area boemo-polacca del Trecento, specialmente grazie al suo grande ruolo politico-diplomatico, la figura principale è Petrarca attraverso il quale giungono le opere di Dante e di Boccaccio. Analizzando le vicinanza e l’interdipendenza di Boccaccio con Petrarca, ma anche la distanza intellettuale fra Petrarca e Dante, il prof. Catalano spiega la loro fortuna nelle terre boemo polacche attraverso l’analisi che con tutta la sua finezza negli anni di studio aveva sviluppato il Cronia. L’analisi di Catalano, tuttavia, si sviluppa su tutti gli autori cechi analizzando la corrispondenza accademica del Cronia dove – fra le altre cose – questi demolisce nettamente l’opera di Jarolsav Hasek lo stravagante e divertente creatore del comico soldato Sc’vèik, uno forse dei più noti personaggi della letteratura ceca.
Ultimo intervento è stato quello della professoressa Monica Fin, che, mostrando molteplici fonti documentarie, ha illustrato l’instancabile e pluridecennale lavoro di Arturo Cronia per la creazione e l’accrescimento della biblioteca di slavistica dell’Università di Padova. Dalla ricerca della professoressa Fin, emergono gli sforzi di Cronia volti all’acquisizione di antichi testi della letteratura dalmato-ragusea, oggi conservati nella Biblioteca Universitaria di Padova e non in pochi casi, testi originali ed unici per la cultura serbocroata, come una copia del ” Vocabolario di tre nobilissimi linguaggi, italiano, illirico e latino” scritta a Zara nel XVII secolo, dal canonico Giovanni Tanzlingher Zanotti, che è stata analizzata da Han Steenwijk durante il suo intervento. Grazie ad un finanziamento dell’ UE (FESR) ed all’interessamento della professoressa Benacchio, insieme ad altre personalità del mondo accademico italiano e croato, il Vocabolario dei tre nobilissimi linguaggi è oggi integralmente consultabile al sito www.tanzlingher.filosofia.sns.it .
Con il suo bilancio d’insieme, il prof. Egidio Ivetic ha concluso il convegno riflettendo sulla complessità e ricchezza di Arturo Cronia che ha specificato sentire molto familiare. Per farlo ha rispolverato il concetto di Homo Adriaticus lanciato tempo fa da Sante Graciotti al fine di definire un uomo, uno studioso che padroneggia le due sponde conoscendone profondamente usi e culture. Ragionare su Cronia come uomo dell’Adriatico è imprescindibile – secondo Ivetic – per comprendere la sua opera. Alla luce di come venne vissuta l’identità nazionale italiana dopo il ’45 il Cronia studia e scrive con degli intenti e con dei termini che alle generazioni successive possono sfuggire. Più volte Cronia si era definito precipuamente italiano e così lo aveva definito uno dei suoi più affezionati allievi, Giovanni Maran nell’introduzione a ” La conoscenza del mondo slavo in Italia“. Cronia si forma slavista, ma viene da un mondo asburgico, fa il giro delle università austriache e poi si laurea a Padova manifestando subito un interesse verso il serbocroato. La lingua dello stato vicino. Ricordando che l’Italia dopo il 1918 confina con Francia, mondo germanico e Jugolsavia, Ivetic mette in risalto come – escluso lo sloveno ed il macedone che verrà riconosciuto come lingua solo dopo il 1945 – il solo serbocroato era la lingua ufficiale dello stato vicino. A differenza dello storico Giuseppe Praga che non considera la Dalmazia geograficamente italiana, ma la considera culturalmente italiana, Ivetic rileva come Cronia non si esponga mai sulla vexata quaestio del confine preciso fra Italia e Slavia. Del resto però – secondo Ivetic – dopo la formazione intellettuale asburgica, l’intensa parentesi cecoslovacca, non è un caso che proprio il 1940 sia l’anno in cui Cronia prende la cattedra a Padova. Proprio quel momento e gli anni successivi sarebbero stati quelli durante i quali Cronia matura interiormente la missione di spiegare alla Nazione Italiana che cosa fosse la cultura serbocroata. E lo fa senza discutere molto sulla differenza fra serbi e croati. Come Carducci che fa il poeta – secondo Ivetic – Cronia sente intrinsecamente la missione di partecipare alla cultura italiana spiegando il mondo serbocroato. Il contributo che Cronia decide di dare alla cultura nazionale, non è facile: delineare ciò che accade lungo la faglia di divisione fra Italia e Slavia nell’ Adriatico orientale ; spiegare la presenza di popolazioni che nei secoli parlano dialetti veneti e romanzi comunque italofoni, la presenza dell’ italiano come lingua di cultura e di amministrazione e della presenza politica delle Repubbliche di Venezia e di Ragusa redatti fino alla fine completamente in italiano. Nella illustrazione di questa faglia culturale, non a caso c’è la questione del glagolismo , quella della nascita della letteratura dalmata che si sviluppa dal cinquecento al settecento e che Cronia la cerca di presentare con tutte le sue complessità e controversie. Rifacendosi all’analisi dell’idea di nazione come è stata descritta nel suo sviluppo dai più eminenti storici italiani come Galli della Loggia, ma specialmente da Emilio Gentile – il prof Ivetic ha concluso spiegando come questa idea di nazione si era estrapolata nell’ideazione logistica delle Università dell’epoca come quella di Roma e quella di Padova che ha ospitato il convegno. Sugli affreschi di Massimo Campigli nel Rettorato dell’ Università di Padova c’è tutta la missione culturale che Carlo Anti (Rettore dal 1932 al 1943) pensava l’Università stessa dovesse avere negli anni trenta, quaranta ed in quelli a venire. Non è un caso che il cervello, il cuore, ossia il Rettorato, il Palazzo Liviano progettato da Giò Ponti abbia subito a fianco le facoltà di giurisprudenza e scienze politiche, ossia le facoltà che dovevano formare l’elite che avrebbe guidato la nazione. Esattamente come nell’ università di Roma La Sapienza, ove al centro vi è il Rettorato, a destra lettere e filosofia, subito a sinistra scienze politiche e giurisprudenza, mentre in periferia, sotto i propilei, ingegneria,fisica e chimica. Entrando però al piano terra del Rettorato dell’ Università di Padova – molto emozionato ha rilevato Ivetic – vi è un unico istituto, l’Istituto di Filologia Slava, diretto dal 1941 proprio da Arturo Cronia. Qualsiasi studente proveniente da ognuno dei paesi dell’ Europa orientale venendo a studiare a Padova, non poteva non sentirsi a casa, “come è successo a me quando ventenne sono venuto a studiare qui” ha concluso Ivetic.
Forse proprio questa fu una delle più intime intenzioni del Cronia: far sentire a casa chiunque dall’Europa orientale si fosse avvicinato alla cultura italiana e far sentire familiare il mondo serbocroato a chiunque dall’Italia avesse voluto avvicinarcisi. Se solo alla letteratura, attraverso ognuno dei suoi studi accademici, o più globalmente alla lingua, attraverso la sua grammatica serbocroata, ancora oggi validissima ed una delle poche che continuano – nonostante gli anni – ad essere ripubblicate.
Coordinamento Adriatico – sin dalla sua fondazione – si è voluto far interprete dei vincoli, della collaborazione e dello scambio culturale fra mondo slavo e latino desiderando continuare l’opera portata avanti in passato da molti dalmati, fiumani ed istriani come Arturo Cronia. Nei prossimi numeri del bollettino e nei prossimi articoli sul sito, Coordinamento Adriatico svilupperà alcuni aspetti fondamentali degli studi e della figura del Cronia, con interviste ed approfondimenti che non si limiteranno solo alle eminenti figure accademiche che hanno partecipato al Convegno, ma spazieranno a tutte quelle persone che nel campo della cultura, del giornalismo, della politica o dell’arte durante la loro vita si sono imbattute della poliedrica ed eclettica figura di Arturo Cronia, un grande dalmata, un grande italiano, ma forse prima di tutto, un gigante della cultura europea.
Piero Cordignano
Fonte: Coordinamento Adriatico