Luogo: Venezia
Intervento - Luciano Monzali: una nuova immagine di noi! Mi sembra un'iniziativa decisamente interessante quella di riunire gli intellettuali che più fanno parte di questo circuito e il mio intervento verterà su una riflessione a proposito del confine orientale sull'arco di alcuni decenni, da quella che era l'Italia regnicola, quella liberale sino ai giorni nostri. Voglio ricordare anche lo spirito con cui oggi, nel 2007, scrivo determinate cose che riflettono interpretazioni personali che volgono ad essere anche un po' provocatorie per innescare poi un dibattito che spero sarà proficuo per quelli che qui ci ascoltano. In questi momenti sento l'esigenza di studiare i rapporti tra l'Italia e le nazioni dell'Adriatico orientale con le popolazioni italiane considerate come tali e ricercando oltre che la verità storica, fatto assolutamente imprescindibile, anche gli antagonismi tra le genti, guardando con un occhio di riguardo la complessità delle vicende di queste regioni. Mettere ad esempio in rilievo i rapporti tra le genti italiane d'Istria, di Fiume e della Dalmazia con le altre nazionalità che abitavano e abitano le stesse zone, così da fissare non solo le differenze bensì anche le cose che ci uniscono. E questo è un concetto in cui la politica estera italiana non si deve più muovere in certi modi passati, non abbiamo da conquistare determinate regioni ma dobbiamo avanzare, conquistando fette di mercato, vendere i propri prodotti, diffondere le nostra lingua e la nostra cultura. L'aspetto militare nel 2007 non è più preponderante perchè è fondamentale la capacità di attrazione della nostra cultura verso altri popoli, la capacità di diffondere i propri valori, la capacità di far capire ai nostri vicini che il raggiungimento dei nostri interessi corrisponde anche in parte ai loro. Questa è la grande sfida del 2007, il mostrarci ai popoli dell'area balcanica in modo nuovo rispetto a molto tempo fa, dando un'immagine amichevole di noi stessi. Mantenere nel tempo interessi e diritti Il problema che riguarda l'associazionismo degli esuli è di trovare una certa sintonia con questa nuova politica estera dell'Italia. Se non riuscirete a trovarla non farete assolutamente in modo che i vostri interessi e i vostri diritti si mantengano nel tempo. Per questo, io che non faccio politica, ho interesse a capire il linguaggio politico e il binario su cui i governi di Roma hanno nel tempo affrontato la questione orientale. Dapprima considerando importante il fissare i punti della sovranità territoriale italiana e poi comprendere i rapporti con gli altri popoli dell'Adriatico. Nell'immagine che i militari, i diplomatici e i politici hanno avuto di questa problematica dobbiamo prendere in esame da subito delle variabili: la visione che queste persone avevano del mondo, la percezione e la valutazione della sicurezza strategica dello stato nazionale perchè l'interpretazione del problema da parte di un politico italiano del 1870 è assolutamente diversa rispetto a quella attuale. Terza variabile il fatto che l'Italia, paese fragile e debole a livello di politica internazionale, spesso nella storia è stato influenzato dalle decisioni delle grandi potenze. Poi dobbiamo considerare che per un militare, un diplomatico o un politico la questione orientale è sempre stata divisa almeno in varie parti e cioè quella del cosiddetto Alto Adriatico, l'Istria e Fiume, l'Adriatico centrale, la parte da Zara alla Narenta e la Dalmazia meridionale con il Montenegro e l'Albania che in certi momenti è stata più importante dell'Adriatico centro " settentrionale. Noi non possiamo parlare dei problemi del confine orientale se non ci mettiamo in testa di considerare anche l'Albania e il Montenegro. Spazio adriatico quindi come spazio globale ed unitario. L'Italia liberale abbandona posizioni minimalistiche a partire dagli anni sessanta-settanta dell'800 a causa dell'evoluzione della politica europea e della pressante questione balcanica. La disfatta di Lissa, l'affossamento dell'Impero asburgico dopo l'Ausgleicht, l'occupazione imperiale della Bosnia Erzegovina e la crescente eventualità di una possibile spartizione dell'Impero Ottomano con l'arrivo degli austriaci in Albania e in Macedonia, spinge la classe politica dirigente italiana a ripensare al rapporto con la questione adriatica. Tutto questo si traduce in una politica di espansione nell'area orientale che viene pensata e organizzata attraverso due strategie: la prima è quella della Triplice Alleanza. Sostenendo l'Impero Asburgico nelle sue volontà di espansione e mantenimento dell'area balcanica Roma voleva riuscire ad ottenere pacificamente i territori italiani sottoposti a Vienna. Una strategia fallimentare E' una strategia fallimentare perchè l'Impero, dopo il biennio 1914 - 1915 si rifiuta di cedere territori come Trieste, l'Istria ed il Trentino dando di fatto il via alla seconda strategia che è quella del patto segreto di Londra, ritorno ad una politica risorgimentale basata sulla guerra. Molto importante è a mio avviso il dibattito politico sulla questione orientale dal 1914 al 1920 che rappresenta una pagina buia della nostra storiografia che non ha mai seriamente affrontato il problema. In quegli anni ci sono politici ed intellettuali che scrivono, dibattono, cercano di capire il problema. Come Tamaro e Salvemini che sono rimasti fino ai giorni nostri i personaggi che hanno diffuso l'interesse per la Dalmazia. Tre sono le vie per arrivare ai territori di lingua e cultura italiane. La prima è quella liberal" conservatrice che vuole ottenere il risultato attraverso una politica moderata annettendosi certamente tutta la Venezia Giulia, la Dalmazia centrale e Valona ma lasciando spazio alle nazioni vicine. Da qui le rinunce a Fiume pensata come sbocco al mare per la Croazia, a Spalato che dovrebbe diventare il porto della Serbia e a Ragusa pensata come naturale possibile territorio d'espansione montenegrina. La seconda visione è quella che io definisco democratica-nazionale e per intenderci quella di Albertini e Salvemini che vogliono sì l'egemonia nell'Adriatico Orientale ma ritengono importante il cambiamento che sta per avvenire tenendo conto dei principi di nazionalità. Salvemini dice apertamente "se noi conquistassimo tutta la Dalmazia saremmo poi in grado di amministrarla senza problemi? Non c'è il rischio di creare una colonia slava?" La terza visione che emerge è quella ovviamente nazional-imperialistica che trova terreno fertile in D'Annunzio e Luna, nel movimento nazionalista e nei futuri capi del regime fascista. L'obiettivo è di annettere tutta la costa orientale, da Trieste sino a Valona. I Patti di Tirana e Rapallo Questo per capire come si svolse il dibattito politico durante la Prima Guerra Mondiale e anche durante il fascismo. Infatti, anche nel regime di Mussolini, i termini e le vie del dibattito politico sulla questione orientale resteranno questi. Durante gli anni '20 e "30 ci sono personaggi all'Interno del Ministero degli Esteri fascista che avallano tesi sostanzialmente salveminiane. Il risultato di questo dibattito è il Patto di Tirana e il Patto di Rapallo del 1920 che segnano una grande vittoria politica italiana perchè riesce ad annettere tutta la Venezia Giulia, tutta la componente italiana di Zara e preserva l'italianità di Fiume creando uno Stato Libero. In aggiunta, rinunciando a Valona e all'Albania centrale e lasciando la creazione di uno stato indipendente albanese debole, si fa delle amicizie nei paesi balcanici confinanti con essa. La grande vittoria politica viene considerata tale dalla stragrande maggioranza del Parlamento ma non dalle frange nazionaliste d'annunziane e fasciste che vogliono l'Adriatico come lago italiano, ideale che va oltre lo Stato veneziano, ideologia che non riflette la soluzione dei problemi reali. Il fatto che poi gli oppositori del Patto di Rapallo vadano al potere due anni dopo farà in modo che la questione orientale resti, in seno alla classe politica dirigente, un problema aperto. La diplomazia fascista oscillerà quindi, nei rapporti con la Jugoslavia, su due campi. Uno sarà quello di accettare Rapallo anche con il Patto di Roma firmato da Mussolini aggiungendo solo Fiume come città libera. L'altro sarà quello della volontà di disgregare lo stato jugoslavo per completare il sogno del lago italiano. Nasce qui il mito politico della vittoria mutilata che andrà avanti fino al 1941 quando lo stato fascista deciderà di partecipare alla spartizione della Jugoslavia. Decisione che non sarà ideologica ma che nascerà come conseguenza dell'evoluzione dei rapporti di forza prima e durante la guerra con gli alleati tedeschi. Infatti il 1938" 1939 segna il tracollo delle posizioni italiane nei Balcani per il fatto che la classe politica fascista si spaventa dopo l'Anschluss e dopo l'annessione dei Sudeti. Si spaventa per un'eventuale annessione tedesca del sogno adriatico italiano e rafforzando le sue posizioni, cambia rotta e comincia a minare le basi dello stato jugoslavo. Da qui allora la volontà di occupare zone adriatiche confinanti con l'Italia per favorire anche la creazione di uno stato croato, magari nostro alleato. Il grande nodo del periodo 1943-45 Se tutti questi sono elementi storiografici ormai consolidati e approfonditi il vuoto resta certamente nelle relazioni politico-diplomatiche italo-jugoslave dopo il 1943 e dopo il 1954. Sappiamo veramente poco e c'è ancora tantissimo da studiare, da consultare e da capire. Ad esempio non siamo a conoscenza del dibattito politico all'interno della Jugoslavia di Tito in merito al trattamento delle popolazioni di lingua italiana. Ci fu un dibattito? Si, anche se dobbiamo pensare che il Movimento di Liberazione Nazionale Jugoslavo sarà, almeno fino al 1945, una coalizione di forze dove si imporrà alla fine il Partito Comunista. E questo dimostra che persone che all'interno di questa unione pensavano ad un trattamento moderato degli italiani, vennero messe da parte per lasciare spazio ad una durissima repressione. Tutto questo si trova anche negli archivi di Zagabria e Belgrado che ormai sono aperti e che sono consultabili. Gobetti per il suo "L'occupazione allegra" lo ha fatto, io sono stato sia nella capitale croata che in quella serba ma restano pochi gli storici italiani che si avventurano nell'area archivistica ex jugoslava. Lì ci sono molte delle risposte che ancora cerchiamo. Un altro problema di rapporti è quello che riguarda non solo i confini ma anche e soprattutto gli scambi commerciali ed economici. L'Italia punta molto a evolvere la propria influenza economica per cercare di salvare qualche presenza italiana sul territorio e qualche fetta di mercato. E poi arriviamo alla questione che forse è più centrale e cioè dell'esecuzione del trattato di pace e del problema delle opzioni che ancora nel 1950 in Dalmazia è presente e che l'Italia riuscirà a rendere più flessibile grazie a pressioni fatte sullo stato balcanico. Ma che resterà in piedi per molto tempo. L'altra Italia Dopo il 1943 pensiamo che la questione orientale non viene più affrontata da singoli soggetti bensì dai partiti che cominciano a dominare la scena politica. Infatti dovremmo cercare di studiare un po' di più la storia del Movimento Comunista non solo italiano ma anche triestino ed istriano. Non possiamo trascurare l'importanza di una figura storica come Vittorio Vidali e nemmeno possiamo liquidarlo come antinazionale o antipatriottico. Dobbiamo capire che Vidali guida il movimento cominformista in Istria e questo dà fastidio a Tito. Possiamo pensare qualsiasi cosa a livello storico, le storie personali sono storie davvero drammatiche ma io penso che tutta la politica a cavallo tra gli anni "40 e gli anni '50 del "900 sia stata una grande politica estera e nazionale perchè ha concluso delle scelte a livello internazionale a dire il poco fondamentali considerando il fatto che ha preso un paese sull'orlo della povertà e del baratro e nel giro di vent'anni lo ha trasformato, riuscendo a portarlo nell'alleanza atlantica, nell'area occidentale e nelle istituzioni europee. Quindi dobbiamo uscire dalle logiche pregiudiziali che hanno così condizionato l'immagine dei rapporti italo-jugoslavi dell'epoca e per questo, e lo dico francamente, io non sono d'accordo quando si attaccano duramente i governi italiani dal 1944 al1947. Io penso che sia stato un grande successo già riuscire ad ottenere Gorizia italiana e l'occupazione militare anglo-americana di Trieste. Il perchè sta nel fatto che, come ha detto Lucio Toth prima nel suo intervento, ci dobbiamo ricordare che tutte le grandi potenze nel 1943 erano d'accordo a dare tutta la Venezia Giulia fino all'Isonzo alla Jugoslavia. Poi le cose cambiano perchè c'è un deterioramento dei rapporti tra Tito e i britannici presenti nella zona per la sua politica repressiva e per la sua dichiarata politica antioccidentale e antibritannica. Ed allora le promesse fatte dagli alleati al paese balcanico cominciano a venir meno e a cambiare radicalmente. Da qui l'inizio dei rapporti un po' più amichevoli e un po' più proiettati verso la fine del conflitto tra l'Italia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti. Questa è la grande vittoria diplomatica italiana che non permise alla Jugoslavia di mantenere il controllo fino all'Isonzo. E considerando il fatto che i francesi ed i sovietici volevano punire duramente l'Italia per le malefatte del fascismo dimostra che aver mantenuto Gorizia e Trieste è stato un grandissimo successo. La cosa che non riesco ancora a capire è perchè dopo il 1948, quando l'Italia diventa un paese molto più ricco economicamente ed influente sul piano internazionale grazie anche alle alleanze occidentali, essa non riesca a far valere questa forza superiore per guadagnare posizioni nei rapporti con Tito e, perchè no, anche vantaggi territoriali nella gestione della popolazione italiana in Istria. Forse la non conclusione della questione dei confini e la sopravvalutazione della forza dello stato jugoslavo che molti italiani fecero - in modo che Tito fosse considerato un grande leader -, che il paese fosse in possesso di uno strepitoso movimento di liberazione, elemento di ammirazione per la sinistra italiana. Per quanto riguarda il problema delle minoranze bisogna ricordare la possibilità che la Jugoslavia aveva di parlare agli sloveni del Carso e al contrario lo svantaggio e la difficoltà estrema che il governo di Roma aveva di chiamare a raccolta quelli che rimasero nelle loro case in Istria e di conseguenza l'Unione degli Italiani, schiacciata dal Partito Comunista. Il 1975 con Osimo è un altro grande momento per la storiografia e io invito sempre a ragionarci sopra per alimentare il dibattito. L'Italia ormai in quegli anni pensa che aspettare ancora sia dannoso soprattutto per sè stessa. La maggior parte delle persone italiane erano state espulse o se n'erano andate. Si considerava rischioso quindi tener aperto il nodo dei confini anche perchè si sapeva che alcune frange della Lega dei Comunisti di Lubiana lo consideravano irrisolto senza l'annessione di Trieste e Gorizia. Chiudere, prima possibile, la questione del Limes Ed è un risveglio della minoranza slovena nel Friuli Venezia Giulia alla fine degli anni '60 che spinge la diplomazia italiana a voler chiudere prima possibile la questione del Limes. E l'articolo 8 del Trattato di Osimo abolisce lo statuto delle minoranze nazionali previsto dal Memorandum di Londra del 1954 che dava la possibilità alla Jugoslavia di avere una legittima interferenza negli affari interni italiani. Con questo l'Italia impedisce la protezione socialista e jugoslava degli sloveni d'oltreconfine. La critica che faccio io al governo italiano di quegli anni è, oltre al problema della zona franca, che non si poteva solamente chiudere la questione dei confini per risolvere il problema orientale. Dovevano pensare alla riconciliazione nazionale e in questo la politica italiana ha fallito, non è riuscita a mettere d'accordo i popoli dell'area adriatica. Era ovviamente naturale pensare che gli esuli non vedessero di buon occhio Roma quando il Governo firmò l'accordo con Tito che era il loro carnefice, eppure attraverso questa mossa qualche obiettivo di politica estera l'Italia lo raggiunse. La grande occasione mancata I tempi erano diversi, forse non c'era la stessa sensibilità verso la storia e verso le drammatiche vicende vissute da molti di voi ma quello che io imputo ai governi della fine degli anni '70 e di quelli degli anni '80 è di non essere riusciti a captare la disgregazione del regime di Tito e, molte volte, ad opporsi alla dissoluzione dello stato jugoslavo finendo per non essere preparati alla nascita dello stato sloveno e croato, a differenza dei tedeschi e della Santa Sede. Quella è stata la grande occasione mancata per risolvere gli ultimi nodi che oggi ancora ci portiamo dietro e l'occasione in cui la Slovenia e la Croazia hanno agito in maniera negativa sottovalutando e dando prova di scarsa diplomazia non riconoscendo i crimini commessi verso gli italiani. D'altronde la classe dirigente slovena e croata dopo la dissoluzione della Jugoslavia era la stessa che governava il paese quando al potere c'era Tito. Ex comunisti cresciuti con l'ideologia comunista che, crollato il Partito, presero posto in formazioni nazionaliste politiche che di liberale avevano ben poco. La dissoluzione della Jugoslavia per l'Italia è stato un grande vantaggio perchè ha ristabilito delle reti di relazioni, di rapporti, di storiche mescolanze etniche. Pensiamo a cos'era l'Istria nel 1985 e cosa invece è oggi. Questi sono i risultati delle battaglie che voi, associazioni degli esuli, avete fatto per tanti anni, per mantenere la vostra memoria, la vostra identità e per far conoscere al resto d'Italia quanto importante, nella storia, sia stato il Confine orientale. Grazie. Luciano Monzali
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