Centro di Documentazione Multimediale della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata
December 26th, 2024
+39 040 771569
info@arcipelagoadriatico.it

Archive: Posts

Lapide Bologna

Bologna e il “Treno della Vergogna”

Quando i comunisti italiani accolsero gli esuli istriani, giuliani e dalmati a sputi e sassate 

di Cristina Di Giorgi – 18/02/2021
Fonte: Il Guastatore

Bologna, 18 febbraio 1947. L’orologio segna le 12 e l’altoparlante annuncia l’entrata in stazione di un treno pieno di profughi istriani, giuliani e dalmati che, in fuga dal terrore provocato dal dilagare della violenza, nelle loro terre, dei partigiani comunisti del maresciallo Tito, hanno affrontato un lungo viaggio della speranza verso quella che considerano a pieno titolo la loro madrepatria.

Molti di loro sono donne e vecchi, ma ci sono anche tanti bambini.

Partiti da Pola il 16 febbraio, ad Ancona vengono accolti dall’astio dei militanti comunisti nostrani, per allontanare i quali si dovette ricorrere all’intervento dell’esercito. Messi di nuovo su un treno (merci) gli esuli, stanchi, affamati e impauriti, furono costretti a partire in fretta e furia. Ed arrivarono a Bologna, che in questo particolare episodio si dimostrò piena di odio ideologico, tanto feroce quanto immotivato.

Già prima che il treno dei profughi istriani, giuliani e dalmati arrivasse in stazione, i comunisti locali avevano minacciato di bloccare, se lo stesso si fosse fermato, l’intero scalo ferroviario (all’epoca il più importante del Paese). La loro ostilità giunse addirittura ad impedire che la Pontificia opera di assistenza e la Croce Rossa dessero agli esuli i pasti caldi che avevano preparato per loro. Alcuni giovani sventolarono bandiere rosse con la falce e martello e lanciarono sputi, sassi e pomodori contro i vagoni. Altri, privi di un anche minimo frammento di umanità, versarono sui binari il latte che era stato portato per distribuirlo ai più piccoli.

Solo all’arrivo a Parma gli esuli furono finalmente assistiti. Poi ripartirono per La Spezia, che era la loro destinazione finale.

Sul primo binario della stazione di Bologna, il luogo in cui si svolse tale buia pagina di storia italiana – ricordata non a caso e non a torto come “il treno della vergogna” (non certo degli esuli) – nel 2007 fu posta una targa con un’iscrizione piuttosto discussa e, a dirla tutta, non esattamente conforme alla verità. Mettendo da parte il neanche troppo velato giustificazionismo secondo cui gli esuli furono “costretti a pagare, vittime innocenti, il peso e la conseguenza della guerra di aggressione intrapresa dal fascismo” (non è esattamente così. E chi ha studiato la storia del confine orientale italiano lo sa bene), quanto all’atteggiamento dei bolognesi all’arrivo del treno si parla di “iniziale incomprensione”. E non si vede proprio come l’accoglienza a sputi e sassate possa essere considerata tale. E questo è vero anche e soprattutto se si tiene conto del fatto che i comunisti italiani ben prima del febbraio 1947 avevano espresso chiaramente e senza possibilità alcuna di fraintendimento cosa pensavano di chi lasciava volontariamente l’Istria, Fiume e la Dalmazia.

Ecco, infatti, cosa si legge su L’Unità del 30 novembre 1946: “Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi”. Si tratta in tutta evidenza di “una linea estremamente emblematica dell’atteggiamento politico strumentale e menzognero della sinistra di allora – si legge in un articolo uscito su Il Giornale d’Italia – e in parte anche di quella di oggi, secondo cui gli esuli erano fascisti e collaborazionisti espulsi dal paradiso dei lavoratori socialisti”, come era considerata la Jugoslavia di Tito.

Di fronte a tanta ignoranza e ad altrettanto livore, l’unica possibile risposta è raccontare la verità. Come abbiamo fatto in questo pezzo (e a riprova dell’accaduto ci sono racconti e testimonianze di chi quel giorno era presente). La verità. Perché gli Esuli, oltre alle scuse (mai arrivate) per come vennero accolti, meritano che ci si impegni al massimo nel Ricordo. Non solo il 10 febbraio (quando si celebra la ricorrenza in onore dei martiri delle foibe e dell’esodo) ma sempre.