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November 21st, 2024
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Ci ha lasciato Sante Graciotti, studioso dell’homo Adriaticus

Se ne è andato così, nel silenzio del suo cinquantennale sforzo intellettuale, uno dei giganti della slavistica italiana, ricordato solo dal Resto del Carlino e dalle poche notizie che su di lui si riescono a trovare nella rete.

Dall’ alto del secolo di vita forse il professor Sante Graciotti avrebbe preferito così, assecondando l’indole semplice e francescana che ha caratterizzato tutta la sua vita.

La stessa con la quale trent’anni fa mi aprì le porte dell’Istituto di Filologia Slava della Sapienza di Roma.

Ero l’ultimo dei giovani studenti che – senza neanche frequentare i suoi corsi – cercava lumi per le mie ricerche e il professor Graciotti non solo mi diede tutto l’appoggio necessario, mi indicò tutte le strade da percorrere, ma – lo ricordo perfettamente –  ogni volta che lasciavo il suo dipartimento, era lui stesso con i suoi collaboratori – usciti dal loro ufficio – a salutarmi e ad accompagnarmi con lo sguardo fuori dal corridoio della Facoltà.

Lui ed i suoi allievi dall’alto della loro conoscenza avevano per me un riguardo che difficilmente poi trovai durante tutto il mio differente corso di laurea.

Fu un’immagine che mi colpì e che – mentre la vivevo – non pensavo di meritare, ma che ho imparato a comprendere negli anni, specialmente  – ad esempio – quando ho letto la sua introduzione su “La Dalmazia e l’Adriatico”, uno sforzo intellettuale per aalizzare il quale sarebbe necessario conoscere l’intero percorso accademico del professor Sante Graciotti.

E per questo credo la professoressa Tolomeo o il professor Capaldo abbiano elementi ed esperienze accademiche  ben più solidi dei miei personali ricordi che si limitano a saltuarie, ma per me preziosissime occasioni di conoscenza inerenti alle mie ricerche storiche.

Ripresi contatto con il professor Graciotti quando – alla fine della sua carriera universitaria – era diventato un membro dell’Accademia dei Lincei.

In una calda giornata d’estate mi fece l’onore di ricevermi all’interno del palazzo dell’Accademia: con la sua semplicità – la stessa dei tempi universitari –  mi aspettò sulla porta e quando il personale della Villa Farnesina – riconoscendolo –  cercava di facilitare il suo percorso, il prof. Graciotti, continuava ad interessarsi alle mie ricerche  con gli affreschi di Raffaello che scorrevano sopra di noi.

Mentre ero lì con lui, avevo difficoltà a concentrarmi ed a parlare, soverchiato dalla semplicità e dalla grandezza intellettuale del professor Graciotti, quando poi i  nostri dialoghi si stavano sviluppando in uno dei luoghi più importanti per la cultura italiana.

In una parte dell’ introduzione de “La Dalmazia e l’Adriatico”, Sante Graciotti definisce il suo lavoro come «ulteriore contributo alla conoscenza del tema», confidando che altri seguano le direzioni di studio delle future ricerche.

Questa sua semplicità, con la quale era capace di esporre e di mettere a disposizione le sue conoscenze, mi fanno riflettere sui fremiti di futuro, di ricerca e sul metodo che Giovanni Maver di Curzola ha trasmesso al professor Sante Graciotti il quale – a sua volta – li ha trasmessi  non solo ai suoi allievi e futuri professori, ma anche ai semplici studenti universitari, molti dei quali stranieri dei programmi di interscambio universitario europeo.

I suoi studi ed i suoi insegnamenti forse rappresentano uno fra i migliori esempi della costruzione delle comuni radici della futura identità europea. Che affondano in cinquant’anni di ricerca filologica, di produzione storica e di elaborazione intellettuale che spazia dalle Etimologie di Isidoro di Siviglia all’opera di San Colombano ed a quella di San Bonifacio, attraverso le quali Graciotti si sofferma sul concetto geopolitico e geoculturale di periferia, sviluppando le interazioni fra Oriente ed Occidente europeo attraverso le varie epoche storiche dell’ultimo millennio.

Anche se nel nostro paese – a parte wikiedia ed “Il Resto del Carlino” – pochi altri ne hanno memoria.

Piero Cordignano