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Spada Istria

Così l’Italia salvò l’arte e i monumenti dell’Istria in guerra

Il saggio di Irene Spada pubblicato da Marsilio ricostruisce la tutela dei beni culturali nella penisola 

di PIERLUIGI SABATTI

 Il libro di Irene Spada “L’Italia in Istria – tutela conservazione e restauro dei beni culturali tra le due guerre mondiali” (Marsilio editore, pagg. 352, Euro 35,00) «fa luce – spiega nella prefazione la storica dell’arte Rossella Fabiani – su un segmento poco conosciuto nella storia dell’Ottocento e del Novecento: la tutela e la conservazione dei monumenti nelle terre di confine, con particolare riferimento al periodo fra l’inizio della prima guerra mondiale e il termine del secondo confitto». Un volume accuratissimo che nasce dalla tesi di dottorato dell’Autrice, finanziato dall’Unione degli Istriani.Spiega ancora Fabiani che «è quasi concomitante» a metà del XIX secolo in Italia e nell’Impero asburgico l’attenzione ai patrimoni culturali, in particolare a quelli situati sui confini. E i territori del Friuli Venezia Giulia sono testimoni di entrambe le forme di tutela messe in campo. Nel 1848 Vienna istituisce i conservatori di beni culturali nelle singole regioni dell’Impero. Per l’area di Trieste, Gorizia e Litorale nominerà Pietro Kandler, storico, archeologo e giurista che per 15 anni resterà in carica. Erano cariche, peraltro onorifiche, attribuite a personalità di chiara fama che coadiuvavano la Central Commission per la ricerca e la conservazione dei beni storico-artistici.Dopo la Grande guerra, nel 1918, l’Italia eredita il patrimonio storico delle nuove province e invia funzionari preparati, capitanati dall’architetto Guido Cirilli, per guidare il passaggio dall’amministrazione asburgica, che non aveva brillato (Hermann Bahr nel suo “Viaggio in Dalmazia” rileva la scarsa sensibilità della duplice monarchia per le sue province del Sud) a quella del Regno. Cirilli però si trova subito in difficoltà perché il suo “Ufficio belle arti” dipende in toto dal Commissariato generale civile di Trieste: il piccolo alloggio in vicolo delle Ville dov’è la sede dell’ufficio non ha neanche gli arredi.

Ma Cirilli è determinato a svolgere al meglio il suo lavoro, e avvia una campagna conoscitiva sui problemi da affrontare affidata al funzionario Guido Calza, che scriverà una “Guida di Pola” nel’20, pubblicazione fortemente critica nei confronti dell’Austria. Cirilli, diventato sovrintendente, trova un sostegno in una celebrità dell’epoca, Ugo Ojetti, scrittore, giornalista e critico d’arte, il quale a proposito dei monumenti di Pola, indubbiamente l’area più interessante della penisola istriana sotto questo profilo, rileva che nel periodo bellico l’Austria aveva cercato di tutelare i beni in loco senza trasferirli. Un apporto importante al lavoro di Cirilli lo offre anche Anton Gnirs, archeologo boemo, ex funzionario asburgico che aveva eseguito i primi scavi a Brioni, chiamato da Paul Kupelweiser, il finanziere che trasformò le isole infestate dalla malaria in un luogo di cura e villeggiatura. Gnirs non solo appoggia il recupero di opere d’arte trasportate a Vienna durante il periodo bellico, ma dona pure allo Stato italiano la chiesetta di Sant’Antonio di Gimino, che aveva acquistato a proprie spese per salvarla dal degrado. Anche nella seconda guerra mondiale insperate collaborazioni permetteranno di salvare i beni dal saccheggio. Ma sui nostri “Monuments men”- per citare il film di George Clooney – torneremo.

Nei 25 anni in cui l’Italia amministra la Venezia Giulia e l’Istria, la cura del patrimonio storico, con importanti lavori di restauro specie a Pola e Parenzo, è considerevole, anche se i sovrintendenti che si susseguono devono lottare continuamente per reperire i mezzi, per ottenere i rimborsi per viaggi in un territorio scarso di infrastrutture stradali (altro rilievo mosso da Bahr al governo asburgico), tanto che sarà il conte Salvatore Segré Sartorio a offrire un’automobile alla Sovrintendenza.

Uno degli uomini che più hanno dato alla causa dei monumenti istriani è Ferdinando Ferlati che per oltre dieci anni sarà al vertice dell’amministrazione. Una sua lettera dimostra le difficoltà sempre in agguato. Quando, nel decreto 480 del 21 novembre 1932, che stabilisce finanziamenti per i vari monumenti d’Italia, è ignorata la Venezia Giulia, scrive: «Così si perpetua il romano disinteresse per questa regione nobilissima che dovrebbe, anche per ragioni politiche, essere curata più delle altre. Forse la colpa è un poco mia perché non grido abbastanza? Non vorrei crederlo». E in effetti, a mandare avanti le cose, sono i funzionari come Forlati e successivamente Franco, per citarne soltanto alcuni, che suppliscono alla disinteresse di Roma.

Ma va anche rilevato che i territori dell’Istria e del Fiumano sono troppo poveri per sostenere le spese di salvaguardia dei monumenti, non ci sono “sponsor” come li chiameremmo oggi. Comunque viene organizzata una rete di ispettori onorari e commissari provinciali, ovviamente onorifici, tra cui il notaio Manlio Malabotta, illustre collezionista triestino, e il marchese Benedetto Polesini che si spende per la realizzazione del Museo di Parenzo, un’altra area di grandissimo interesse per la presenza della Basilica Eufrasiana, che è oggetto di ampi restauri, e di resti romani, medievali e rinascimentali.

Intanto si avvicinano le nubi del secondo conflitto mondiale. Già nel’34 una riservatissima circolare del Ministero dell’educazione nazionale rivela che l’Italia si prepara alla guerra. Forlati avvia il censimento dei beni, con la valutazione della preziosità dell’opera (avvalendosi anche di una precedente lista di Anton Gnirs) e proposte per la protezione dei monumenti inamovibili (posizione della contraerea e “saccate con materiali di alga pensili”, materiale con cui oggi si realizza un tipo di materassi). Individua in Villa Manin il luogo dove spostare i beni mobili. La sua opera sarà proseguita da Fausto Franco, il capo dei “Monuments Men” che salveranno il nostro patrimonio artistico quando i tedeschi nel’43 diventeranno i padroni dell’Adriatische Künstenland. Ma non pensate a fughe rocambolesche con i camion carichi di opere d’arte, a combattimenti, a battaglie, insomma a un film d’azione come “Monuments Men, ma i nostri Clooney e Pitt sono il sovrintendente Franco e i funzionari Umberto Piazzo, Carlo Sameda de Marco e Mario Mirabella Roberti. All’arrivo dei tedeschi restituiscono alcune opere ai proprietari, ne spostano altre a San Daniele, a Cividale e in altre località friulane e agli assilli dei nazisti resistono con l’arma della burocrazia. Certo li aiuta il fatto che ci sono due autorità, l’occupante nazista e la Repubblica di Salò, che poco conta ma può servire per rinviare l’esecuzione di ordini. Inaspettatamente una mano viene proprio da un tedesco, di preciso da un austriaco, Walter Froedl, direttore del Museo di Graz, che «non fece mai valere né pesare su di noi la sua autorità» scrive Someda. Ma altri problemi arriveranno più tardi con le opere delle località istriane, spostate per protezione in Italia: nel 2002 quando Vittorio Sgarbi, segretario aggiunto ai Beni Culturali toglie dall’oblio nei sotterranei di Palazzo Venezia decine di dipinti, in particolare ritratti, realizzati tra il XIV e il XIX secolo da pittori veneziani, tra i quali Paolo Veneziano, Alvise Vivarini, Alessandro Algardi, Giambattista Tiepolo, Vittore e Benedetto Carpaccio, li fa restaurare ed esporre a Trieste. La Slovenia li rivendica. Ma questa è un’altra storia.

Fonte: Il Piccolo