Dante in una prospettiva femminile ed istriana
La Società Dante Alighieri ha recentemente pubblicato nell’ambito delle iniziative per il VII centenario dantesco la raccolta di saggi ed interviste “Dante secondo lei”, un’opera curata da Giuliana Poli che fornisce spunti e contributi per una lettura di Dante da una prospettiva diversa ed originale.
Il volume può essere liberamente consultato online oppure scaricato in formato Pdf:
Giuliana Poli, Dante secondo lei, Società Dante Alighieri, Roma 2022, 304 pp.
Segnaliamo in particolare tra i 100 contributi che caratterizzano l’opera l’intervista a Valentina Petaros Jeromela (filologa e dantista, traduttrice della Divina Commedia in sloveno e Presidente del Comitato di Capodistria della Società Dante Alighieri), la quale ha espresso un punto di vista non solo femminile ma anche quello della comunità italiana autoctona dell’Adriatico orientale.
E domani nella battaglia pensa a me
Con l’animo che vince ogni battaglia,
se col suo grave corpo non s’accascia.
Inferno XXIV, vv. 53-54
Perché ha scelto queste parole?
Per noi italiani viventi all’estero rappresentano la forza e l’animo che ci permette di scegliere ogni giorno di essere italiani. In un contesto come il nostro, il territorio passato ad altra sovranità ma che conserva edifici, storia, monumenti, patrimonio culturale in genere è nostro dovere non far dimenticarne l’origine. Molto spesso, infatti, si tende a inglobare – forse a causa anche della globalizzazione – il preesistente con un presente che nulla ha a che fare con la nostra storia. Dobbiamo preservare il nostro dialetto, dobbiamo divulgare la nostra storia poiché moltissime persone continuano a trasferirsi sul Litorale sloveno ignorando il perché degli edifici dall’aspetto veneziano. La nostra presenza è assolutamente necessaria ma va anche, spesso, a collidere con un pensiero politico distruttivo, instillato dagli anni quaranta in poi da un dittatore che pur di non dover dividere il territorio con ciò che dell’Italia è rimasto, ha optato per una pulizia etnica. Noi rappresentiamo ciò che di quella follia è rimasto, spesso siamo difatti definiti “rimasti”, ma sostanzialmente siamo italiani in un territorio che non è più italiano. Dante per noi rappresenta non soltanto l’idea di Italia, non soltanto l’esule, ma l’esilio perenne.
Che cosa, secondo lei, ha voluto insegnarci o trasmettere ai nostri pensieri, qui, Dante?
La forza di credere in un ideale in un mondo che non è più quello in cui quest’ideale si formò. Già per Dante senza le sue due guide, l’esistenza era difficile: Firenze non lo voleva, con spirito avventuristico arrivò sino in Istria, quasi oltrepassando i termini d’Italia. E qui vide come si vive da esuli, come si vive lontano dalla patria, dove per essere considerato italiano devi parlare in una lingua che non ti fa “crudelmente ruttare”. Per non cambiare, le radici devono essere forti, le tradizioni vigorosamente legate alla vita quotidiana. Per non vedere un campo pieno di tombe, bisogna far sopravvivere l’ideale di italianità.
Quanto ha inciso questo passaggio nella sua vita e perché?
Per me è diventato quasi un mantra, in una lotta impari. Su due milioni di abitanti, la comunità nazionale italiana si è ridotta sempre di più negli anni (arrivando allo 0,1%), tanto da rappresentare quasi un ricordo sbiadito. La nostra storia e la nostra cultura non vengono insegnate secondo uno standard italiano, ma sloveno, riducendo sempre più la verosimiglianza tra passato scritto dai grandi studiosi (quello da noi riconosciuto) e diventando un semplice capoverso ridotto a un breve riassunto di poche righe.
Come attualizzerebbe il personaggio e il testo che ha scelto nel nostro periodo storico?
In nessun modo, è perfetto così.
Qual è il rapporto di Dante nella Divina Commedia con l’elemento femminile? C’è un nesso tra loro pur nella diversità?
Dante è sicuramente affascinato dall’elemento femminile. Forse anche un po’ intimorito poiché nella dolcezza dei modi si nasconde la fermezza dell’essere. Non comprendendo questa profonda dicotomia, la eleva.
Quale personaggio femminile della Commedia ama di più, quale le corrisponde o vorrebbe essere?
Forse, banalmente, Francesca da Rimini. Tutte noi ci siamo innamorate di un’immagine, di una falsa rappresentazione di una persona, ci siamo illuse… abbiamo sperato di poter cambiare o convivere con un individuo diverso dalle aspettative. Ma così non è e il vortice della passione, prima o poi, ci travolge tutte. La vita è più forte di qualsiasi imposizione.
Chi è Beatrice e quale consiglio darebbe alla donna moderna, secondo lei?
Se consideriamo Beatrice come una guida spirituale e non un amore perduto, possiamo intenderla come la madre che continua a mostrarci la via giusta. Anche se sbagliamo, anche se ci allontaniamo dalla famiglia, la genitrice è sempre pronta ad accoglierci e a rassicurarci. Non manca di rimproverarci, sperando che abbiamo imparato dai nostri errori.
Come vede la donna del futuro, quali saranno e come cambieranno il suo ruolo e la sua funzione nella famiglia e nella società?
Il nostro ruolo è incastrato nei meccanismi della società, non siamo libere di vivere la maternità, la professionalità e l’essere realizzate nello stesso momento della nostra vita. O siamo madri e non lavoriamo, o lavoriamo e ci creiamo una posizione, ci realizziamo come professioniste, ma forse perdendo la possibilità di essere madri. Quando la società ci permetterà di essere tutte queste tre cose insieme, sarà una società evoluta.
Intervista di Giuliana Poli a Valentina Petaros Jeromela.