Due decennali per l’Adriatico
La Slovenia giunge all’anniversario dei suoi dieci anni dall’ingresso in Europa all’alba di una crisi politica e nelle inerzie di una depressione economica di particolare gravità. Lasciata ormai alle spalle la stretta federale, la fiducia nell’Europa unita non supera tuttavia il 40% degli ammessi al voto europeo. Sulle pendici del monte Sabotino ricompare con regolarità la scritta «Tito». In tutta la ex Jugoslavia – queste nostalgie – più che ideologia, paiono il rimpianto per ammortizzatori sociali e per protezioni salariali ormai insostenibili. Anche a Lubiana e sotto il sole dell’Istria fermenta per gli sloveni la tentazione comune, in molta parte d’Europa, di rifugiarsi nelle «Heimat»: le regioni e le «piccole patrie», illusione di sicuro approdo contro i pericoli della vaghezza sovranazionale. È uno dei sintomi del «ritorno al Medioevo» additato agli europei dallo storico e politico laburista David Marquand.
Abbisognano tempo, realismo e buona volontà per riannodare la trama adriatica, seppellire le ostilità, dimenticare le reciproche rivalità. Provare a riflettere come una frontiera – fisica o culturale – sia spesso anche una possibilità di utile confronto, l’origine di un complesso interscambio. Senza con ciò ricusare la propria fedeltà culturale e identitaria si possono e si devono mettere da parte in questo decennale le deformazioni del nazionalismo e gli incubi incarnati dai totalitarismi di ogni regime.
Quest’anno ricorre in Italia un altro anniversario, il decimo dalla promulgazione della Legge 30 marzo 2004, n. 92 istitutiva del «Giorno del ricordo»: in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata e delle vicende del confine orientale. Il bilancio che se ne può trarre in vista del futuro lascia sperare positivamente. Al fine di condividere una narrazione storiografica obiettiva che prenda avvio sulla scia di ricerche comuni, rimane tuttavia da superare a tutt’oggi il vulnus costituito da quelle divisioni che possono ingenerare (e hanno generato ancora in tempi recenti) reazioni di stampo sciovinista. Tutto ciò sarà veramente possibile soltanto aprendo la strada – insieme con i nostri vicini d’oltre Adriatico – a un rapporto biunivoco di valutazione critica del passato e della memoria storica, tenendo presente come l’Europa sia soprattutto il fondale di multiformi paesaggi plurietnici e il risultato di sfaccettati microcosmi culturali che hanno preceduto (e seguiranno) le migrazioni, le crisi, i conflitti e la definizione delle stesse frontiere politiche unitarie e comuni.
Giorgio Federico Siboni