Duecento anni di Luxardo
Il maraschino che nacque dalle mani di una contessa
Due secoli fa a Zara inizia con Maria e Girolamo la lunga avventura imprenditoriale di una delle più antiche distillerie del mondo, ancora oggi gestita dalla stessa famiglia
di Massimo Greco – 13/02/2021
Fonte: Il Piccolo
Duecento anni, anniversario rotondo, importante. Ricorre la morte di Napoleone, come ci ricordano i versi manzoniani. Ma abbiamo anche una memoria più gradevole da sorbire.
Due secoli fa la marchesa Maria Canevari si dilettava nella preparazione di “rosolio maraschino” nella sua abitazione di Zara, dove risiedeva in quanto consorte di Girolamo Luxardo, che poi divenne console del Regno di Sardegna nella città dalmata.
Il marito, patrizio genovese originario di Santa Margherita Ligure che approdò a Zara per commerciare coralli, avvertì nella qualità dei liquori distillati dalla moglie qualcosa di più che un semplice divertissement domestico mutuato dalle lavorazioni condotte soprattutto nei conventi.
E Gerolamo pensò di lanciare questo know-how in chiave imprenditoriale, fuori dalle mura di casa: l’infusione delle marasche nell’alcol, con l’aggiunta di zucchero e di essenza di rosa, divenne produzione industriale, incrementata dalla distillazione a vapore.
Tutto era partito da una particolare materia prima, un frutto coltivato nella zona, la marasca, una ciliegia dal gusto asprigno, diversa dalle cerase che oggi mangiamo nella primavera inoltrata, raccolte a Vignola, nel Veronese, in Puglia. Con queste premesse la fabbrica Luxardo potè decollare nel 1821, otto anni più tardi ottenne dall’imperatore d’Austria un “privilegio”, che le riservava la produzione esclusiva per tre lustri, un riconoscimento conservato tuttora nella ragione sociale aziendale come “privilegiata fabbrica di maraschino Excelsior”.
In un settore caratterizzato dai passaggi di mano e dalle grandi aggregazioni, Luxardo si evidenzia come una delle poche eccezioni, perchè da quel 1821 marchio e produzione sono sempre rimasti nelle mani della famiglia. Il “patriarca” Franco, l’ultimo nato a Zara insieme al fratello medico Paolo, ricostruisce, dall’alto delle sue 85 primavere, l’attuale genealogia all’interno dell’azienda, dove convivono in un arco temporale di mezzo secolo tre generazioni: la quinta (lo stesso Franco), la sesta (Piero, Guido e i più giovani Matteo, Giorgio, Filippo), la settima (Gaia, Nicolò). A Torreglia, nei Colli euganei vicino a Padova, mandano avanti una delle più antiche distillerie al mondo.
Già, sorta in Dalmazia e stabilitasi in Veneto. Perchè la vicenda dei Luxardo esce dalla vicenda squisitamente economico-imprenditoriale per trasformarsi in un tragico capitolo di storia contemporanea, che ha bisogno di un racconto a tutto Novecento. Dopo il felice esordio negli anni Venti dell’Ottocento, l’azienda continuò a prosperare trainata dal prodotto di punta, il “maraschino”, fino alla vigilia della Prima guerra mondiale, quando nel 1913 Michelangelo Luxardo, terza generazione nel filo “dinastico”, fece costruire un moderno stabilimento, tra i maggiori dell’allora impero, di cui si serbano immagini documentali.
I trattati di pace, che chiusero la Grande guerra, portarono l’enclave di Zara nel Regno d’Italia, dove era la più piccola provincia con solo due comuni e una superficie di 120 kmq. La crescita della Luxardo proseguì, il campionario si era arricchito di una nuova etichetta, “Sangue morlacco”, il ratafià/cherry brandy così ribattezzato da Gabriele D’Annunzio, che lo sorseggiava nella Fiume legionaria del 1919: all’impresa partecipò uno dei Luxardo, che provvedeva ad approvvigionare la mensa del Vate.
Ma lo scoppio della Seconda guerra mondiale bloccò l’espansione della distilleria: Zara venne martellata dai bombardamenti anglo-americani e quello che era stato uno stabilimento d’avanguardia, dove lavoravano oltre 200 persone, restò semi-distrutto. Non era finita: quando nel 1944 italiani e tedeschi dovettero sgombrare la città, giunsero i reparti titini. Buona parte della popolazione italiana riuscì ad andarsene, qualcuno rimase. Tra questi i fratelli Pietro e Nicolò Luxardo, che, insieme a Bianca Ronzoni moglie di Nicolò, vennero annegati dagli occupanti, in due momenti diversi, nelle acque antistanti a Zara. I beni Luxardo furono poi confiscati dagli jugoslavi.
La situazione aziendale sembrava compromessa dalle morti, dall’esilio e dalla perdita degli asset. Intervenne però la determinazione dell’unico fratello superstite, Giorgio, a ribaltare la sorte. Lo rammenta il figlio Franco: «Mio padre volle riaprire l’attività, ma bisognava individuare un terreno adatto per la coltivazione delle marasche. Valutò una prima proposta in provincia di Udine, ma era troppo prossima a un confine indesiderato. Soppesò un’altra ipotesi in val d’Illasi nel Veronese. Infine, su suggerimento dello studioso dell’ateneo fiorentino Alessandro Morettini, scelse i Colli Euganei, dove comprò 3 ettari dalla famiglia Pezziol, produttrice del Cynar e del Vov».
«Andammo a visitare il sito a Torreglia – prosegue Franco Luxardo – partendo da Venezia, dove ci eravamo sistemati, con una 500 scassata. Lì decise di riavviare la distilleria, che venne inaugurata in una giornata tristemente simbolica: il 10 febbraio 1947, quando il trattato di pace parigino consegnava Zara alla Jugoslavia».