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Gabriele DAnnunzio

Gabriele d’Annunzio, il lato più privato e scandaloso

«Conservare la libertà intatta fino all’ebbrezza». Benignamente ossessionato dallo spettro di Gabriele D’Annunzio – di cui sospetto essere la reincarnazione – Giordano Bruno Guerri nottetempo prepara il convegno sulla follia del Vate (al festival Follemente di Teramo, diretto da Gianluca Veneziani). E nel mentre riceve la notizia della sua riconferma alla Presidenza del Vittoriale degl’Italiani. Col quarto mandato in tredici anni, è recidivo. Oramai è parte delle sacre mura.

Giordano, su di te si posa la polvere dei secoli. Ancora presidente e con un museo/mausoleo/circo maximo che non riceve finanziamenti pubblici, e con Franceschini, un ministro di sinistra che rinomina manager uno storico di destra noto per criticare la destra. Qualcosa non mi torna…
«Cosa non ti torna? Sono contento che il mio lavoro sia apprezzato trasversalmente. Il Vittoriale è rimasto sempre in attivo grazie allo sbigliettamento (chiudiamo a 180mila visitatori, più 70mila rispetto al 2020). Abbiamo trasformato quel progetto visionario in ciò che voleva D’Annunzio: un luogo dove pulsassero natura, storia, vita e bellezza e dove fosse omaggiato nei tempi. L’abbiamo terminato con la pavimentazione del teatro e riportando al mausoleo le salme dei compagni d’arme del Vate: il 4 dicembre, dopo il ritorno dei resti del sindaco di Fiume Riccardo Gigante che Tito gettò in una fossa comune, inumiamo l’ultima salma del sergente Antonio Gottardo»

Al festival sulla follia tu parli delle Tre follie di Gabriele D’Annunzio. Quali sarebbero?
«La prima è, appunto, il Vittoriale. La seconda è l’impresa di Fiume: partì dall’essere nazionalista e divenne rivoluzionaria, si voleva annettere Fiume all’Italia e si finì con la voglia di annettere l’Italia a Fiume. E, se ci pensi, la Carta del Carnaro promulgata l’8 settembre 1920 durante gli ultimi mesi dell’impresa; be’, precorreva i tempi. In un momento in cui tutto il mondo discuteva se dare il voto alle donne, la carta predicava l’uguaglianza assoluta tra uomo e donna: la donna non solo poteva votare, ma essere eletta e doveva fare perfino il servizio militare».

Alla faccia del MeeToo, del politicamente corretto, della violenza di genere
«Non solo. Introdusse anche il divorzio con cinquant’anni di anticipo, mise gli operai nei cda delle fabbriche. E perorò due grandi idee: la riforma dell’esercito in cui venivano aboliti i gradi (la copiò Mao) e la Lega dei Popoli Oppressi che tutelava tutte le minoranze, dai negri d’America ai cinesi in California, anticipò le Leghe territoriali. Il Vate era avantissimo, unico, inimitabile. Diceva che “l’uomo d’intelletto fa la sua vita come si fa un’opera d’arte”. Ci tentano in molti, ma solo a lui è riuscito un capolavoro».

Se lo proietti all’oggi, non ce lo vedresti un D’Annunzio, lancia in resta, contro la cancel culture, o il Natale cancellato da una troppo zelante dirigente della Commissione europea?
«Sì. Questa cosa del politicamente corretto e della cancel culture la riterrebbe orrenda oltre che antiestetica. Se pensi all’idea di cancellare il Natale, ti torna in mente che D’Annunzio che non festeggiava né il Natale né altre feste (festeggiava solo le personali ricorrenze), ma aveva nella Prioria qui al Vittoriale una collezione di oggetti – cristiani, induisti, buddistiche gli davano il senso del sacro. Se gli avessero detto di non festeggiare il Natale avrebbe agghindato con palle di vetro tutti i cipressi del Vittoriale. E, bada bene, sono 217»

E questo ci porta alla tua terza follia dannunziana, il tentativo di trasformare la società italiana. Ma ci riuscì davvero, o, a cominciare da Fiume, collezionò solo fallimenti mascherati da rivoluzione del costume?
«Il tentativo di rovesciare una società italiana fatta da una borghesia piccina, rancorosa, timorata di Dio sta nello scossone che D’Annunzio diede attraverso i suoi scandali, il suo dandysmo, il dedicarsi ai piaceri della vita, al fare debiti, a vivere tutto senza vergogna. Non faceva nulla di diverso da ciò che facciamo oggi solo che lo faceva un secolo prima. D’Annunzio è nostro padre, un rivoluzionario in tutto. Quando a 25 anni pubblicò Il piacere, Joyce disse: “Finalmente qualcuno che ci fa scoprire la letteratura italiana. D’Annunzio era più un visionario che un folle”.

«Stay hungry, stay foolish». Cioè mi stai dicendo che il Vate, con tutta la sua ridondanza, era una sorta di Steve Jobs ante litteram?
«Guarda, D’Annunzio era uno a tutto campo. Introdusse le espressioni “Beni Culturali” o “intellettuali”. Come copywriter inventò “La Rinascente”. Anche lo “scudetto” è roba sua. Lo tirò fuori dal cilindro in occasione di un torneo di calcio organizzato a Fiume; chi vinceva poteva appuntarsi sulla maglia questo piccolo scudo, idea che sarebbe stata copiata sette anni dopo dalla Federazione Italiana Gioco calcio. E, se vuoi, è stato il precursore di Instagram, dei social, dei selfie…”

Questa è tiratissima, Giordano, dai…
«Ma no, pensaci. Non si lasciava mai fotografare; sceglieva lui il fotografo e, personalmente, la posa giusta, l’immagine da servire al pubblico: pensoso, audace, sensuale. Ha anticipato pure gli influencer, anche se per lui sarebbe più adatto il termine opinion maker. Aveva, soprattutto a cavallo del ‘900, la capacità di incidere sulle mode: tutti gli uomini lo imitavano nei giorni di festa, si facevano crescere il pizzo come lui».

Allora potremmo anche dire che D’Annunzio, affetto da incontrovertibile satiriasi, si troverebbe a suo agio in questo periodo di fluidità sessuale, tipo i Maneskin?
«Be’, era un uomo del suo tempo, alcune esperienze come i rapporti omosessuali non le aveva provate. Ma con le sue partner femminili è lecito pensare che si esibisse in ruoli lesbici. Probabilmente tutta questa fluidità di genere, dal punto di vista sessuale, lui oggi la cavalcherebbe, se non altro per avere, secondo il suo spirito, più opportunità. Però il periodo di massimo fulgore l’ebbe nei giorni di Fiume: nell’assedio il Vate viveva una “felicità ossidionale”, era sfrenato; come un condottiero antico aveva conquistato la città senza sparare un colpo. Usava gli Uscocchi per gli atti di pirateria; fece rubare 48 cavalli all’esercito che l’assediava; e se li mangiò, restituendo 48 ronzini macilenti».

Tornando alla tua nomina. Non mi hai risposto sul fatto che sei considerato di centrodestra ma mazzuoli l’impianto culturale del centrodestra e – mi pare di capire – l’onda “sovranista”…
«Io ho sempre criticato la cultura di destra per cercare di migliorarla. La vorrei liberale, liberista, libertaria e magari un po’ libertina; ma la vedo più ingessata nel tradizionalismo. E dipende da cosa intendi per sovranismo. Se si parla di difesa delle proprie radici, mi va benissimo; se lo si intende come rinchiudersi nel proprio mondicino rifiutando il confronto con l’esterno non mi va bene. Purtroppo credo che siamo più sulla seconda strada…»

Francesco Specchia
Fonte: Libero – 03/12/2021