Gli interrogativi del Montenegro tra Oriente e Occidente
La crisi ucraina ha aperto nuovi scenari per l’Europa. Il braccio di ferro tra Putin e Poroshenko ha incrinato equilibri consolidati e modificato i sistemi tradizionali di alleanze, a Est come a Ovest: molti dei Paesi dell’area balcanica hanno dovuto ripensare gli orientamenti della loro politica estera e affermare in maniera chiara la loro posizione rispetto al comportamento moscovita e alla volontà inclusiva dell’Unione Europea. Cosciente di queste nuove sfide, il Montenegro, indipendente da giugno 2006, ha cercato non soltanto di conciliare la tradizionale amicizia con i russi alla volontà di integrare rapidamente l’alleanza atlantica e l’Unione Europea, ma si è ugualmente sforzato di oltrepassare i confini europei, rivolgendosi ai paesi mediorientali e all’Oriente. Questa piccola repubblica, la cui economia si basa sul turismo e sull’esportazione di metallo raffinato, è oggi uno dei Paesi più competitivi tra i candidati all’Unione Europea, per la quale ha presentato domanda d’ammissione nel dicembre 2008.
Il Montenegro distanzia la maggior parte dei candidati all’adesione e gran parte dei Paesi dell’Europa Centrale e dell’Est per quanto riguarda competitività e la facilità di fare business, come sottolinea il secondo report biennale del Forum economico mondiale: l’habitat economico montenegrino è definito «stimolante» per l’imprenditoria e significativamente più sviluppato rispetto a quello degli altri paesi della regione. Milo Đukanović mira a potenziare questo ruolo di primo piano giocato dalla piccola repubblica nella regione balcanica proprio attraverso l’adesione al progetto europeo: il presidente montenegrino immagina un’Unione bidimensionale, fortemente impegnata nello sviluppo e nella ripresa dei Balcani occidentali, un’Unione capace di irrigare il terreno economico di realtà politicamente ed economicamente più deboli, permettendo il raggiungimento della salute economica, del pieno impiego e l’applicazione degli standard democratici occidentali.
Malgrado l’entusiasmo di Đukanović, il processo d’integrazione europea incontra un ostacolo insormontabile nell’ormai consolidata opposizione di Mosca. Negli ultimi dieci anni la Russia ha investito più di due miliardi di euro in Montenegro, settemila cittadini russi risiedono oggi nel Paese e buona parte delle proprietà immobiliari montenegrine sono in mani russe. Mosca può difficilmente mettere a tacere il suo biasimo verso la politica estera di Podgorica, biasimo inaspritosi in seguito alla decisione di Đukanović di appoggiare le sanzioni votate dai vicini occidentali all’occasione della crisi ucraina. Quello che i media russi hanno definito «il colpo di tosse della zanzara», una zanzara vicina ai moscoviti dall’epoca di Pietro il Grande, tradisce la volontà di Podgorica di conservarsi a ogni costo il favore dei membri UE anche di fronte a un’opinione pubblica almeno in parte ostile: le minoranze serbe e i partiti pro-serbi presenti nel Paese sostengono attivamente Putin e hanno espresso apertamente il loro dissenso, protestando davanti all’ambasciata ucraina di Podgorica. Benché il ministro degli esteri montenegrino abbia definito, non senza una certa ipocrisia, i provvedimenti «non anti-russi, ma pro-europei», la risposta del gigante orientale non si è fatta attendere: il Paese ha messo al bando per un anno i prodotti agricoli montenegrini e già alcuni quotidiani parlano di confisca della proprietà della fabbrica di alluminio di Podgorica all’uomo d’affari Oleg Deripaska e delle acciaierie di Niksic, proprietà di una società russa.
Dal canto suo, l’alleanza atlantica sembra guardare con favore alla candidatura di Podgorica: se un certo numero di cambiamenti devono essere messi in atto nella lotta alla corruzione e al crimine organizzato, nella modernizzazione delle forze armate e dell’impianto giuridico del Paese, alcuni membri, la Croazia in primis, pensano che il Montenegro, rispetto alla Macedonia, alla Bosnia e alla Georgia, sia ormai pronto per integrare l’Alleanza Atlantica. Il segretario generale della NATO ha apertamente ringraziato Podgorica per la sua partecipazione alle operazioni in Afganistan e per il ruolo positivo esercitato nei Balcani occidentali. Malgrado le divisioni presenti nell’opinione pubblica montenegrina – i favorevoli all’Alleanza atlantica sono in crescita, ma ancora sotto il 50% – la NATO, in cerca di una risposta decisa al crescente attivismo della Russia nei Balcani, potrebbe chiudere un occhio sui problemi irrisolti di Podgorica e spalancare le sue porte al Paese che si era guadagnato il soprannome di «colonia russa sul Mediterraneo».
Lo slancio di Podgorica sembra inarrestabile: è attualmente in corso la procedura di accettazione in seno alla Lega Araba con lo status di paese ospite. Unico paese dei Balcani a farne parte, il Montenegro potrebbe beneficiare enormemente della capacità d’investimento dei Paesi mediorientali e potenziare le sue chance di concludere degli accordi bilaterali. Il sindaco della città di Cetinje, Aleksandar Bogdanovic, rappresentante di Podgorica all’interno del Forum cinese per gli Investimenti a Praga, ha firmato venerdì 29 agosto la lettera congiunta di intenti sulla cooperazione, con la quale è prevista la creazione dell’associazione cinese e dei Paesi dell’Europa centrale e orientale. Impegnata in politica estera, Podgorica non trascura pertanto gli affari interni. Il ministro delle Finanze sta attualmente valutando l’introduzione un pacchetto di misure miranti a sostenere i segmenti più poveri e vulnerabili della popolazione, incluso un deprezzamento dei debiti, su modello della Macedonia. Strategie estere multipolari e riforme economiche potranno un giorno sostituire antichi rapporti di dipendenza e comportamenti economici ancora impregnati di statalismo?
Alessandra Danelli