Hotel Sarajevo
Nel trentennale dell’inizio dell’assedio di Sarajevo è uscito il docu-film “Hotel Sarajevo” della regista Barbara Cupisti. Il titolo prende spunto dall’albergo Holiday Inn, costruito per le olimpiadi invernali del 1984 e durante la guerra diventato base dei giornalisti internazionali.
Il 5 aprile di trent’anni fa prendeva inizio, nell’ambito della guerra nella ex Jugoslavia già in corso da un anno, l’assedio della città di Sarajevo in Bosnia Erzegovina, che sarebbe durato 1425 giorni, il più lungo della storia moderna. Per l’occasione è stato realizzato da Clipper Media , Luce Cinecittà e Rai Cinema il documentario “Hotel Sarajevo”, nato da un’idea di Andrea Di Consoli, con la regia di Barbara Cupisti, mentre soggetto e sceneggiatura sono firmati dalla stessa regista, da Natascia Palmieri e da chi scrive, con la collaborazione di Barbara Meleleo.
L’anteprima del film si è svolta, alla presenza di quanti – produttori, regista, autori, attori, tecnici tutti – hanno contribuito alla sua realizzazione, il 12 maggio alla Casa del cinema di Roma, in attesa di essere trasmesso il prossimo 29 maggio su Speciale TG1 – Rai Uno in seconda serata, ore 23.30.
Il titolo del film prende spunto dall’Holiday Inn di Sarajevo, costruito per le olimpiadi invernali del 1984 e durante la guerra diventato base dei giornalisti venuti da tutto da tutto il mondo per raccontare quanto stava accadendo. Tra essi anche il giornalista Gigi Riva, allora inviato de Il Giorno, che nella serata alla Casa del cinema ha portato la sua testimonianza su qual era la vita all’interno della struttura, in cui aveva trovato dimora per un certo tempo anche Radovan Karadžić, ideologo della pulizia etnica della Bosnia Erzegovina, poi rifugiatosi in territorio serbo-bosniaco da dove avrebbe continuato la sua campagna di morte per la quale, alla fine della guerra, sarebbe stato condannato all’ergastolo come criminale di guerra.
Il film ha voluto però elevarsi dal mero riepilogo di fatti per porsi come occasione di riflessione su Sarajevo, e la Bosnia Erzegovina in generale, col fine di capire e far capire quanto della città martire di allora sopravviva oggi in coloro che l’hanno diversamente vissuta o, addirittura, all’epoca non erano ancora nati.
In questo senso il documentario si muove come un film vero e proprio, la cui trama è mossa dall’intreccio di alcuni personaggi autentici che impersonano se stessi: Zoran Herceg , scrittore, autore di graphic novel, artista che all’epoca aveva tredici anni e che, dopo i primi bombardamenti, è stato caricato, con altri bambini, ragazzi e mamme, su una delle 23 corriere della Croce Rossa che li avrebbero portati, profughi, all’estero, cercando il senso di tutto ciò oggi che di anni ne ha 43. Il bilancio è tutt’altro che confortante, non solo perché, a parte le bombe, i problemi del suo Paese sono tutt’altro che risolti, anzi, rischiano di complicarsi al suono di nuovi squilli nazionalistici.
Altro personaggio del film Slobodanka, detta Boba, Lizdek, che durante la guerra, ventiseienne, operò come fixer, entrando e uscendo dall’albergo, portando notizie e traducendole dai media locali e nazionali per i giornalisti presenti, oggi animatrice dell’Hotel History Foundation, grazie alla quale ha realizzato una mostra degli ambienti, eventi e personaggi di allora al Museo storico di Sarajevo . Non manca la sua storia d’amore con il cronista francese Paul Marchand, che sarà ferito, per poi conoscere una tragica fine.
A Zoran Herzog e a Boba Lizdek fanno da contraltare le figure, rispettivamente, di Almedina Vejzagić , moglie di Zoran, rimasta orfana di padre, e Belmina Bajrović , attualmente executive manager dell’Holiday Inn, che all’epoca non era ancora nata e si trova oggi ad avere gli stessi anni che Boba aveva all’epoca.
Il confronto, tutto risolto in chiave narrativa, delle loro storie, che si intrecciano in una dimensione tanto evocativa quanto fortemente radicata nel presente, non trascura altri momenti che ben s’inseriscono nel contesto, grazie a un plot che segue la avvincente stesura e i disegni di una graphic novel di Zoran attraverso la quale si materializzano diverse figure: da Bakira Hasesić, una delle oltre ventimila donne violentate tra il 1992 e il 1995, e che oggi si batte con la sua associazione “Žene žrtve rata ” (Donne vittime della guerra) per il riconoscimento della loro condizione e la condanna dei colpevoli; a Nihad Kreševljaković, direttore dell’International Theater Festival MESS , che ha realizzato un fondamentale video archivio di quanto è riuscito a raccogliere della guerra nel suo paese, e altri ancora che, tutti insieme, grazie anche al magistrale montaggio delle immagini, restituiscono il sapore di una terra poco conosciuta anche se distante da noi solo il braccio del mare Adriatico.
Diego Zandel
Fonte: Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa – 27/05/2022