I racconti di Michelle Saftich, in cerca dall’Australia delle sue origini fiumane
(ASI) Michelle Saftich, è la figlia di Mauro Saftich, un italiano emigrato in Australia da Fiume, già città italiana, “perla del Carnaro”, divenuta leggendaria per “l’impresa” del poeta – soldato Gabriele d’Annunzio. Purtroppo, le tristi vicende legate alla fine della seconda guerra mondiale, portarono alla sua occupazione (così come è accaduto alla penisola istriana) da parte dalle truppe dei partigiani di Tito, e dal febbraio del 1947 entrò definitivamente a far parte del nuovo stato socialista e dittatoriale della Jugoslavia. La quasi totalità degli italiani decise di lasciare l’amata città, e tra loro citiamo Mauro, un bambino intento a lasciare l’Italia e l’Europa per approdare in un paese completamente nuovo dall’altra parte del mondo. Dopo molti anni, Michelle Saftich ha voluto “ricostruire” la sua saga familiare.
Per le celebrazioni italiane del Giorno del Ricordo dell’Esodo giuliano – dalmata del 10 febbraio A.S.I. ha avuto il piacere di intervistare Michelle, autrice australiana che ha fornito un grande contributo alla nostra storia grazie ai suoi romanzi.
1. Signora Saftich, possiamo dire che i Suoi due romanzi storici, „Port of No Return“ (2015) e „Wanderers No More“ (2017), nascono dal desiderio di ricongiungersi col proprio patrimonio familiare, e che l’idea di scriverli scaturisce dalla Sua personale esperienza? Possiamo dire che il cognome dei protagonisti dei libri, “Safforo”, ha lo stesso suono di “Saftich”?
Port of No Return e Wanderers No More sono ispirati alla famiglia di mio padre e alle loro esperienze in Italia, dopo la fuga da Fiume, a seguito dell’occupazione della città da parte delle truppe di Tito, alla fine della seconda guerra mondiale. A seguire, la loro “lotta” per stabilirsi in Australia negli anni ’50. I libri riportano un 80% di verità, e utilizzando un po’ di finzione per aiutare a sviluppare la trama dei romanzi e renderne piacevole la lettura.
Fin da bambina desideravo essere una scrittrice, e successivamente ho studiato e lavorato nel mondo del giornalismo. Quando si è trattato di cimentarmi con la scrittura, ho deciso che volevo scrivere libri che potessero aiutarmi a conoscere meglio il mio patrimonio d’italianità e comprendere perché i miei nonni fossero dovuti emigrare in Australia.
Quand’ero bambina, ci recavamo spesso a trovare i nonni italiani, che parlavano pochissimo inglese, incontrando così grosse difficoltà nel comunicare con loro. Ho dei bei ricordi di mia nonna che mi reggeva in grembo, cantandomi filastrocche italiane. La bisnonna italiana poneva sempre un dolce nella mia mano, mentre mi apprestavo ad uscire dalla porta di casa.
Mio padre aveva solo sei anni quando è giunto in Australia, benché conservi tuttora i primi ricordi di vita legati ai campi profughi (silos) presenti in Italia dopo la guerra. I suoi racconti legati alla sua crescita in Australia erano sempre storie divertenti. Mio padre è un grande narratore e farebbe ridere chiunque, raccontando, come fronteggiava i bulli, o gli insegnanti che lo discriminavano e soprattutto l’impegno per l’apprendimento da autodidatta della lingua inglese. Tuttavia, dietro il suo umorismo si celava una storia ben più seria ed io potevo solamente immaginare, quanto dovesse essere stato difficile per lui e per i suoi genitori, nonna e fratelli compresi, essersi trasferiti in un Paese con una cultura molto diversa, portando con sé nient’altro che un paio di valigie.
Inizialmente, avevo deciso di scrivere un libro di memorie famigliari, trascorrendo un anno effettuando ricerche. Una volta terminato, ho deciso che il mio lavoro avrebbe potuto originare un romanzo, cambiando i nomi dei protagonisti e aggiungendo alcuni personaggi al fine di rendere vivo il racconto. Ci sono voluti due anni per la stesura di Port of No Return.
2. Può descrivere brevemente la trama dei due romanzi per i lettori italiani?
In Port of No Return (Il porto del non ritorno, ndr), i famigliari perdono ogni cosa, quando la loro casa viene bombardata dagli alleati e la città occupata dalla futura Jugoslavia. Essi sono stati posti di fronte all’unica scelta possibile: lasciare la loro città natale. Per porre in salvo la vita, i due protagonisti Ettore e Contessa, hanno dovuto separarsi.
In Wanderers No More (Mai più raminghi, ndr), il lettore segue le avventure di Martino, il più giovane dei figli, il quale, nel tentativo di realizzare il sogno di giocare a calcio, subisce una devastante battuta d’arresto. Un debito di guerra da saldare, l’amore perso e ritrovato, e il passato che torna a perseguitare nuovamente tutti: questi i temi forti del romanzo.
3. E’ mai stata a Fiume, la città natale di Suo padre e dei nonni? In caso contrario, immagina un giorno di visitarla oltre alla regione, ora appartenente allo Stato croato?
Ho visitato Fiume nel 1980 all’età di nove anni, con mamma, papà e sorella minore. Abbiamo avuto delle difficoltà nell’attraversare il confine poiché sprovvisti del visto necessario. Quando mio padre però spiegò le ragioni della visita, e l’intento di restare solo poche ore, le guardie confinarie acconsentirono il nostro transito.
Era solo un bambino tra le braccia della madre quando lasciò Fiume. Ha ricordi di Trieste e di aver vissuto nella città giuliana all’interno dei silos. Abbiamo anche visitato Trieste, in quanto egli ricordava con accuratezza i luoghi dove era stato in precedenza, molte strade e la stazione ferroviaria. Era davvero felice di esser tornato a Trieste, e al contempo, che diversi ricordi d’infanzia tornassero alla sua memoria. Era apparso davvero fiero di Trieste, una grande città italiana, cosa che invece non si poteva dire di Fiume. Gli era stato spiegato dove fosse ubicata la casa natale bombardata durante il secondo conflitto mondiale. Nostro padre, nel vederla, ci comunicò che non stava provando le stesse emozioni percepite durante la visita a Trieste. Io ricordo la mia tristezza poiché egli non percepiva alcun legame con quella casa.
4. Scorrendo le recensioni dei suoi romanzi, la Manchester Military History Society scrive che “Saftich ha effettuato ottime ricerche e i dettagli del periodo storico sono immacolati” . Come è riuscita a realizzare una ricostruzione storica con tale accuratezza? Che fonti ha consultato per scrivere i suoi libri?
In primo luogo ho intervistato mio padre e i suoi fratelli, carpendo le loro memorie, e anche altri suoi amici italiani che avevano lasciato Fiume. Talvolta mio padre traduceva per me. Una donna, all’epoca sedicenne, quando la Città di San Vito venne occupata (dai titini), descrisse i suoi ricordi aggiungendo dettagli agghiaccianti. Ho trovato diverse informazioni in rete, tra cui altri resoconti di prima mano di emigranti italiani, ed un paper universitario molto accurato, che descriveva lo scenario politico di Trieste durante la guerra. Ho letto molti articoli e documenti storici a riguardo.
5. In una intervista per il Brisbane Times (Il giornale della città di Brisbane, ndr) Lei ha parlato di campi per rifugiati dove Suo padre ha vissuto prima di aver avuto l’opportunità di emigrare in Australia. Ci può raccontare qualcosa di più di questa esperienza? Dove ha vissuto Suo padre e com’erano le condizioni di vita all’interno di questi campi? E quando finalmente è riuscito ad approdare a Brisbane?
La famiglia di mio padre trascorse la maggior parte del tempo in un grande campo profughi a Trieste, ma vissero anche in uno situato in Germania. Egli ricorda come ogni volta si dovesse “fare la coda” per qualsiasi cosa, e la sgradita presenza dei pidocchi. Tutto ciò che separava la sua famiglia dalle altre, erano delle lenzuola appese. Il cibo era migliore nel campo italiano rispetto a quello tedesco, e con il passare del tempo, le condizioni di vita all’interno di queste strutture erano migliorate. All’inizio essi erano molto affollati. Mio padre ricorda la presenza dei soldati americani a Trieste, e che uno di loro gli aveva regalato una gomma da masticare, un ricordo molto caro.
La famiglia di mio padre arrivò a Newcastle nel 1950, a bordo della nave Amarapoora. Essa aveva trascorso quattro anni nei campi profughi di Italia e Germania, e successivamente, altri due nei centri per migranti di: Greta, nel Nuovo Galles del Sud, a Cairns nel Queensland e a Brisbane. Solo a quel punto i membri della famiglia riuscirono a risparmiare il denaro sufficiente per effettuare un deposito e acquistare una casa di loro proprietà a Brisbane.
6. La società australiana degli anni ‘50 aveva un’apertura mentale sufficiente per accogliere persone come Suo padre, un “immigrato europeo continentale”?
La mancata conoscenza della lingua inglese costitutiva un ostacolo enorme per potersi stabilire correttamente in Australia. Mio padre era stato mandato a scuola senza alcun supporto, seduto sui banchi incapace di comprendere una sola parola di quanto l’insegnante stesse dicendo. Ha dovuto apprendere la lingua da solo, e alla fine, ce l’ha fatta. Possedere un cognome come Saftich, mangiare dei panini imbottiti anziché dei sandwich, volere giocare a calcio anziché a cricket, e avere un padre dotato di una grande etica nel lavoro, lo rendeva diverso dagli altri bambini australiani. La sua famiglia si era stabilita a Strafford, una zona dove non vivevano altri italiani. Questo ha reso le cose molto difficili. Alla fine, egli avrebbe cominciato a stringere delle amicizie attraverso le locali squadre di calcio, fondate dagli europei. Inoltre la sua famiglia ha ricevuto un sostegno immediato dalla Chiesa Cattolica, in quanto li aveva riconosciuti come cattolici italiani.
7. Lei si sente un po’ italiana? Qual è il Suo rapporto con l’identità italiana che è in Lei? Conosce la lingua italiana?
Ho cercato di apprendere la lingua italiana frequentando le lezioni da adulta, ma ero molto impegnata con il mio lavoro e ciò mi risultava difficile. E’ più facile imparare una lingua da bambini, e poiché mia madre era australiana, si parlava solo inglese in casa. L’aver trascorso del tempo con i miei nonni, zii italiani e frequentato i club calcistici, ha certamente influenzato la mia cultura italiana. Eravamo soliti, da bambini, frequentare l’italian club di Brisbane, attualmente non più attivo. Tuttavia mi sento italiana nel profondo, anche nel comportamento stesso. Ho visitato l’Italia nel 2016 con mio marito e i miei due figli e l’ho trovata adorabile. Ovviamente, ho portato i ragazzi a Trieste.
8. Dopo aver scritto questi due romanzi storici, ha ricevuto qualche contatto dall’Italia? Pensa che un giorno potremmo vedere i Suoi libri tradotti e pubblicati in lingua italiana?
Sarebbe bello poter vedere i libri a cui sono legatissima tradotti in italiano. In loro possiamo trovare delle parti romanzate, anche se essi narrano da vicino le esperienze di vita della famiglia di mio padre, e aiutano a dar voce alle centinaia di migliaia di italiani, che hanno dovuto lasciare il Paese una volta sfollati.
9. È a conoscenza che in Italia è stato istituito il “Giorno del Ricordo” (10 Febbraio), una giornata in memoria dell’esilio e delle foibe, riguardante le vittime dell’Esodo giuliano – dalmata, che ha portato all’emigrazione di centinaia di italiani da Istria, Fiume e Dalmazia, al termine del secondo conflitto mondiale? Può affermare che i Suoi libri abbiano fornito un reale contributo alla conoscenza di queste tragiche vicende, soprattutto ai lettori australiani?
Sono venuta a conoscenza del Giorno del Ricordo, dopo aver scritto le mie opere, e sono lieta che sia stato istituito. Stiamo parlando di quegli italiani, che in quel momento hanno dovuto lasciare il loro Paese senza potervi più fare ritorno. E tra costoro v’erano i miei nonni. Essi hanno dovuto ricostruire le loro vite ed imparare ad adattarsi ad una nuova realtà. E gli italiani lo han fatto benissimo. Il titolo che ho scelto Wanderers No More (Mai più raminghi) è stato un tributo al loro desiderio di non emigrare mai più, ma di mettere radici e di avere un senso di casa, sentimento che avevano da tempo rimosso, quando erano stati costretti a fuggire. Tuttavia, anche se queste persone si sono positivamente integrate, si sentono fortemente italiane, specialmente nel loro cuore, e onorate di essere ricordate dall’Italia, tramite questa celebrazione.
10. Ed infine, come scrittrice, vuole raccontare ai lettori di Agenzia Stampa Italia quali sono i Suoi prossimi progetti letterari?
Attualmente sto scrivendo qualcosa di completamente diverso, trattandosi di una serie di fantascienza, The Hatch, con un sequel in uscita quest’anno. Sebbene il tema sia futuristico, destinato ad un pubblico di giovani adulti, riprende il tema dei rifugiati in un’ambientazione spaziale. Mi sto divertendo parecchio a scrivere questi romanzi, sentendo il bisogno di coinvolgere direttamente i miei figli adolescenti, presenti nella mia famiglia.
An interview with Michelle Saftich, australian author of „Port of no return“ and „Wanderers no more“
English version
Michelle Saftich, is the daughter of Mauro Saftich, an italian immigrant from Fiume, a former italian city, the so called „pearl of Carnaro“, which became legendary for the „Feat of Fiume“ of Gabriele d’Annunzio, the soldier – poet. Unfortunately at the end of the Second World War the italian city was occupied (as the istrian peninsula) by the the troops of the partisans of Tito, and during the year 1947 became part of the new socialist and dictatorial state of Yugoslavia. All the italians decided to leave the beloved city, and among them, we found Mauro, a little child leaving Italy and Europe for a completely new country, on the other side of the world. And after many years, Michelle Saftich wanted to „rebuild“ her family saga.
For the italian celebrations of the remembrance day of the Exiles and Foibe (10th February) we have the pleasure of interviewing Michelle, an australian author who gave a great contribution about our history thanks to her two historical fictions.
1, Ms Saftich, can we say that your two historical fiction novels, „Port of No Return“ (2015) and „Wanderers No More“ (2017), came from a desire to connect with your family heritage, and the idea to write them came to life from your personal family experience? Can we say that the surname of the protagonists of the books „Safforo“, sounds like „Saftich“?
Port of No Return and Wanderers No More are inspired by my father’s family and their experiences in Italy after they had to flee Fiume when Tito and his army came for the city at the end of World War II. It also follows their struggles to settle in Australia in the 1950s.
The books are about 80 per cent based in truth, but I used some fiction to help develop the novels and keep them entertaining for the reader.
Since I was a child, I had wanted to be an author and later studied and worked in journalism. When it came to writing, I decided I wanted to write books that could help me learn more about my Italian heritage and to better understand why my grandparents had come to Australia.
As a child, we often visited my Italian grandparents who spoke very little English, so I couldn’t communicate with them. I have fond memories of my grandmother pulling me on to her lap and singing Italian nursery ryhmes to me. My Italian great grandmother always put a sweet in my hand on the way out the door.
My father was only six-years-old when he came to Australia, though he has early memories of living in refugee-style camps (silos) in Italy after the war. His stories of growing up in Australia made for entertaining stories. My father is a great storyteller and he would have us all laughing with his recounts of fighting bullies and discriminatory teachers and struggling to learn without knowing English. However, behind his humour was a more serious story and I could only imagine how difficult it must have been for him and his parents, grandmother and siblings to move to a country with a very different culture, bringing nothing but a couple of suitcases.
At first, I decided to write a family memoir and spent a year researching and writing it. Once I had written it, I decided it could be used to create a fiction novel and so set about changing the names and adding some characters to bring their experiences to life. It took two years to write Port of No Return.
2. Can you briefly describe the two novels for Italian readers?
In Port of No Return, the family loses everything when their house is bombed by the Allies and their city is taken by neighbouring Yugoslavia. They are left with no choice but to leave their home town. To get out safely, Ettore and Contessa must separate.
In Wanderers No More, the reader follows Martino, the youngest of the sons, who must overcome a devastating setback, if he is to realise his dream of playing football. A war-time debt is owing, love is lost and re-found and the past comes back to haunt them all.ù
3, Have you ever been to Fiume, the hometown of your father and your grandparents? If not, would you imagine one day to visit the city and the region, now part of croatian state?
I visited Fiume when I was nine years old with my father, mother and younger sister in 1980. We had a difficult time crossing the border as we didn’t have the necessary visa, but when my father explained his reason for visiting and that we only planned to stay a few hours, we were let across.
He was only a baby in his mother’s arms when his family left Fiume. His memories are of Trieste and living there in the silos. We also visited Trieste and he could remember with great accuracy where they had stayed, many of the streets and the railway station. He was happy to return to Trieste and enjoyed having many childhood memories come flooding back. He appeared proud of Trieste, a grand Italian city. However, he did not feel the same way about Fiume. He had been told where to find the site of their old house, which had been bombed during the World War. We walked around this area. He said it did not have the same feeling as Trieste and I remember feeling sad that he did not feel any bond with it.
4. Reading the reviews of your books, the „Manchester Military History Society“ writes that „Saftich has done her research well and the period detail is immaculate“. How did you carry out your historical reconstruction with such accuracy? What sources did you check for your books?
Firstly, I interviewed my father and his siblings about their memories, and some of his Italian friends who had also fled Fiume. At times, my father translated for me. One woman was 16-years-old when Fiume was taken and she described her memories with chilling detail. I found a lot of information online, including other firsthand accounts of Italian emigrants and an in depth university research paper which had described the political scene in Trieste during the war. I read many articles and historic records.
5. In a interview for the „Brisbane Times“, you have spoken about refugee camps, where your father lived before taking that chance on coming out to Australia. Can you tell something more about this experience? Where did your father live and how were the living conditions in these camps? And when did he finally get to Brisbane?
My father’s family spent most of their time in a large refugee camp in Trieste, but also one in Germany. He remembers having to queue for everything all the time and the bed lice. He said all that had separated his family from other families were strung-up sheets. He said the food had been better in the Italian camp than in the German one and as the years went on, the conditions in the camps had improved. At first, they had been very crowded. He remembers the American soldiers being in Trieste and one had given him chewing gum, a very fond memory.
My father’s family arrived in Newcastle, 1950, aboard the Amarapoora ship. They had spent four years in refugee camps in Italy and Germany and would spend another two years in Australia in migrant centres in Greta, NSW, and in Queensland‘s Cairns and Brisbane, before being able to save for a deposit and purchase their own home in Brisbane.
6. Was the australian society of the 50s of the 20th century quite open – minded to welcome people like your father, a „continental european immigrant“?
Not having the English language was a huge barrier to settling well in Australia. He was sent to school and not given any support, so sat there unable to understand a word the teacher was saying. He had to teach himself the language and eventually picked it up. Having a surname, Saftich, eating breadrolls instead of sandwiches, wanting to play football instead of cricket and having a father with a strong work ethic, meant he was different to the Australian children. His family settled in Stafford, an area where there were no other Italians. This made it very difficult. He would eventually start to make friends through local football clubs, set up by Europeans. His family also received some early support from the Catholic Church, as they recognised them as Italian Catholics.
7. Do you feel a little bit italian? How is your relationship with the „italian heritage“ that is inside you? Do you speak the italian language?
I tried to learn the Italian language by going to classes as an adult but was busy with my work and found it difficult. It is easier to learn a language as a child, and given my mother was Australian, only English was spoken at home. Having spent time with my grandparents, and Italian aunts and uncles, and having spent time around football clubs, I have certainly been influenced by Italian culture. We also used to visit the Italian Club a lot as a child but it has since closed down. I do feel Italian, and find I have some Italian mannerisms. I visited Italy with my husband and two sons for a visit in 2016 and loved it. I also took them to Trieste.
8. After having written your two historical novels, did you have any contact from Italy? Do you think someday we’ll see your books about our history translated and published in italian?
It would be nice to see the books translated into Italian. The books are very close to my heart. There is some fiction in them, but they closely follow the experiences of my father’s family and help give voice to all the hundreds of thousands of Italians who had to leave Italy when they were displaced.
9. Did you know that in Italy we have a „Day of Rembrance“ (10th of February), a National Memorial Day of the Exiles and Foibe, an Italian celebration for the memory of the victims of the foibeand the istrian – dalmatian exodus, which led to the emigration of hundreds of thousands of local ethnic italians from Istria, Fiume and Dalmatia after the end of the Second World War? What do you think about this national memorial day? And can you say that your books have given a real contribution fot the knowledge of these sad events, especially for the australian readers?
I came across the Memorial Day after I wrote the books and was very pleased to see that this takes place. There are those Italians who left Italy at that time and never returned. My grandparents were such Italians. They had to rebuild their lives and learn to adapt. Italians adapted very well. My title, Wanderers No More, was a tribute to their desire to no longer wander but to put down roots and have a sense of home, which they didn’t have for such a long time after they fled their region. But even though they have adapted, they are very much Italian, especially at heart, and would be honoured to be remembered by Italy in this way.
10. And finally, as a writer, would you like to tell our readers what your next literary projects are?
I am writing something completely different! I am at work on a science fiction series, The Hatch, with a sequel due out this year. While it is futuristic and written for young adults, it takes the theme of refugees and applies it to a space setting. I am having fun with these novels. With teenage sons in the house, I felt a need to write for them!
Valentino Quintana
Fonte: Agenzia Stampa Italia / Italian Press Agency – 21/02/2022