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November 22nd, 2024
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IncrociatoriZara

I tristi presagi della disfatta navale di Capo Matapan

Nella politica di potenza che il fascismo cercò di esercitare rientrava anche il proposito di rendere nuovamente il Mediterraneo un mare nostrum, andando così a confliggere con la potenza navale francese (l’affaccio mediterraneo dell’Esagono, nonché il possesso di Marocco, Algeria e Tunisia e dei mandati in Libano e Siria) e soprattutto britannica (i punti strategici di Gibilterra, Malta e Cipro, la Palestina mandataria ed il controllo dell’Egitto con il canale di Suez). Rinforzare ed ampliare la flotta da guerra risultò pertanto una delle priorità del regime, il quale da un lato pose il veto alla realizzazione di portaerei, confidando nelle basi aeree dislocate in territorio metropolitano nel cuore del Mediterraneo, ma dall’altro utilizzò le denominazioni delle nuove navi per celebrare le annessioni della Prima guerra mondiale. Sul finire degli anni Venti i cantieri di Livorno, Trieste e Genova Sestri dettero alla luce gli incrociatori della classe Trento (TrentoTrieste e Bolzano), nei quali si era privilegiata la velocità rispetto alla corazzatura, mentre all’inizio degli anni Trenta la classe Zara segnò il perfezionamento nella categoria degli incrociatori pesanti, con il varo dei natanti Zara appunto, FiumePola e Gorizia, caratterizzati da un perfetto bilanciamento tra apprestamenti difensivi e velocità di crociera.

Queste navi furono quasi tutte protagoniste il 29 marzo 1941 della battaglia di Capo Matapan, a sud-ovest della Grecia: la Prima divisione incrociatori (ZaraPola e Fiume) sarebbe stata annientata, la Terza (TrentoTrieste e Bolzano) ne sarebbe uscita indenne, ma in seguito un bombardamento statunitense alla base navale de La Maddalena (10 aprile 1943) avrebbe sostanzialmente messo fuori combattimento i Regi incrociatori Trieste e Gorizia. La catastrofe di Capo Matapan segnò un duro colpo (anche due cacciatorpediniere colarono a picco e la corazzata Vittorio Veneto risultò danneggiata) per il grosso della flotta italiana, uscita in mare aperto nel tentativo di intercettare i convogli britannici che dall’Egitto rifornivano la penisola ellenica e a causa dei quali l’offensiva che secondo Mussolini avrebbe dovuto spezzare le reni alla Grecia si stava risolvendo in un nulla di fatto. La superiorità tecnologica (uso del radar e di ottimi strumenti di decrittazione dei messaggi in codice) e tattica (dimestichezza con il combattimento notturno, impiego di una portaerei) della flotta dell’Ammiraglio Cunningham portò ad una schiacciante vittoria pochi giorni dopo che alcuni barchini esplosivi della Xma flottiglia MAS erano riusciti ad affondare una nave da battaglia ed una petroliera nella base britannica di Suda, nell’isola di Creta. La sindrome di Lissa colpiva ancora la Regia marina da guerra e, come nella Grande guerra, le uniche vittorie giungevano grazie all’azione di naviglio leggero e di incursori.

L’incrociatore Pola fu il primo ad essere gravemente danneggiato da un bombardamento aereo, venendo paralizzato e privato della corrente elettrica a bordo: le navi sorelle Fiume e Zara vennero colte di sorpresa e distrutte dai grossi calibri britannici mentre stavano arrivando con l’intento di trainare verso lidi più sicuri l’imbarcazione silurata. In seguito al Trattato di Pace del 10 febbraio 1947 proprio le province di Pola, Fiume e Zara, assieme a gran parte di quelle di Gorizia e di Trieste, furono cedute alla Jugoslavia.

E proprio pochi giorni prima di questa catastrofe navale ebbero luogo gli eventi che portarono all’invasione della Jugoslavia. Il regno dei Karađeorđević aveva inizialmente aderito al Patto Tripartito, del quale facevano parte oltre a Germania, Italia e Giappone anche Slovacchia, Romania, Bulgaria ed Ungheria, creando una situazione di accerchiamento per Belgrado che ne rendeva impossibile qualsiasi politica filobritannica. Manifestazioni di piazza fortemente antinaziste ed un colpo di stato militare, però, portarono alla deposizione del reggente al trono ed alla denuncia dell’alleanza militare, contestualmente all’avvio di serrate trattative per addivenire ad un’alleanza con Londra o con Mosca che preservasse l’integrità e l’indipendenza del regno slavo. La furibonda reazione di Hitler fu più veloce e domenica 6 aprile, giorno di Pasqua, la Luftwaffe bombardò a tappeto Belgrado, segnando l’inizio delle ostilità: in una decina di giorni le forze tedesche, italiane ed ungheresi ebbero la meglio e la Jugoslavia sconfitta fu spartita a tavolino tra i suoi vincitori. Il Regio esercito, partendo dalla Venezia Giulia, ma anche dall’Albania (in cui si temeva un attacco jugoslavo capace di giungere fino alle spalle dell’armata impegnata sul fronte greco) e perfino da Zara (enclave incastonata in territorio jugoslavo che rischiava di venire rapidamente travolta dalle forze nemiche) contribuì ad una vittoria dovuta tuttavia alla superiorità tecnologica germanica (impiego massiccio di divisioni corazzate – alcune delle quali erano già destinate a scatenare l’offensiva contro l’Unione Sovietica – e dell’arma aerea) ed alla debolezza strutturale dell’esercito nemico (interi reggimenti costituiti in prevalenza da croati si arresero senza combattere). Nel territorio occupato ovvero amministrato da regimi fascisti (Stato Indipendente Croato) o militari subordinati ai tedeschi (Serbia) si sarebbe ben presto consolidato quell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia che sotto la guida di Josip Broz Tito si avrebbe poi realizzato l’invasione delle terre del confine orientale italiano, creando i presupposti per la pulizia etnica delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata.

Lorenzo Salimbeni

Fonte:  Comitato 10 Febbraio