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Toscanini Fiume Autografo DAnnunzio

Il concerto di Toscanini a Fiume

Su invito di Gabriele D’Annunzio, il Maestro si esibì con la sua Orchestra a scopo di beneficenza 

di Ilaria Rocchi – 19/11/2020

Fonte: La Voce del Popolo

Una vicenda memorabile, che Fiume visse cent’anni fa, e che Arturo Toscanini (Parma, 1867 – New York, 1957) avrebbe ricordato per sempre, anche perché mai e poi mai nella sua vita, gli capitò – per sua stessa ammissione – di assistere a “una così schietta, intensa, plebiscitaria esaltazione di amor patrio”. L’Impresa fiumana appassionò molti in Italia e a questo sentire non si sottrasse uno dei più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi, che già in diverse occasioni, anche durante la Grande Guerra, mostrò il suo fervente spirito patriottico, battendosi per la causa nazionale con la sua arte. Toscanini arrivò a Fiume aderendo all’invito di Gabriele D’Annunzio, che gli scrisse: “Mio caro Maestro, mio grande amico, venga a Fiume d’Italia, se può. È qui oggi la più risonante aria del mondo. L’anima del popolo è sinfoniale come la Sua Orchestra”. L’episodio è stato raccontato da diversi storici, in primis Giordano Bruno Guerri, nel suo monumentale “Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzione. Fiume 1919-1920” (Mondadori, le Scie, 2019).

Il gesto di Toscanini, impulsivo, sanguigno, ebbe il sapore di una sfida. Avrà una risonanza mondiale. A Roma, quando apprendono della cosa, non soltanto lo lasciano fare a gli danno persino un treno, composto di alcune carrozze di seconda classe, per arrivare a destinazione (cosa non indifferente, nonostante la modestia del mezzo, considerata la particolare posizione della “città ribelle”). L’accoglienza fatta da D’Annunzio, dai suoi legionari, l’entusiasmo dall’intera popolazione fiumana, sono tali da dare agli orchestrali di Toscanini – ribattezzati “Legione orfica” dal Comandante e in seguito decorati con la medaglia di Ronchi – una commozione profonda, indimenticabile. E che dire dell’atmosfera nell’allora Teatro comunale Giuseppe Verdi? Sembrano tutti impazziti. È il 20 novembre 1920, una domenica. Il concerto viene ampiamente commentato dalla stampa e il “Popolo d’Italia” pubblica integralmente le due orazioni di D’Annunzio.

Gesto significativo
Una banda militare intonante inni patriottici, accoglie i suonatori e il podestà Riccardo Gigante stringe la mano del Maestro Arturo Toscanini, accompagnato dalla moglie Carla e dai figli. Fuori dalla stazione, un’auto li attende per accompagnarli al Palazzo del governo, dove D’Annunzio offre un ricevimento e pronuncia un discorso in cui non nasconde la gravità del momento e il conforto che prova per la presenza del Maestro e dei suo “ragazzi”. A poco più di un anno dalla presa di Fiume (12 settembre 1919), dopo aver respinto ogni soluzione che non fosse quella dell’unione della città con l’Italia, ormai ai ferri corti con Roma, da circa due mesi ha istituito la Reggenza Italiana del Carnaro.
Ma ormai i giochi sono fatti o quasi. Dieci giorni prima dello storico evento musicale, il nuovo presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti, ha trovato una soluzione diplomatica alla questione di Fiume, delicata e complessa eredità della Grande Guerra, che “inquina” i rapporti con il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. A Rapallo, il 12 novembre 1920, l’Italia si accorda con Belgrado e, per quanto riguarda Fiume, s’istituisce lo Stato Libero. D’Annunzio respinge il compromesso e resta fermo nell’accettare solo e unicamente l’annessione all’Italia. Il suo fido braccio destro Guido Keller escogita come risposta la “beffa del pitale”: sale su un aeroplano e con la destrezza dell’asso che era stato nella Prima guerra mondiale, vola su Roma. Lì lancia su palazzo Montecitorio un orinatoio di ferro contenente un mazzo di rape legato al manico. Un messaggio emblematico.

Da circa un anno, da quando ha respinto il “modus vivendi”, il governo italiano cerca in tutti i modi di farlo capitolare, ricorrendo anche alla tattica dell’isolamento, stringendo la città nella morsa della fame e del freddo. Si susseguono reazioni disperate, come l’invio dei fanciulli fiumani presso famiglie in Italia, raccolte di fondi, azioni piratesche di assalto di convogli. “Siamo soli contro un vasto coro di ammonitori e di minacciatori remunerato – confessa D’Annunzio a Toscanini –. O mio Maestro, è bello che tu venga di laggiù sdegnosamente e arditamente, e italianissimamente crollando le spalle alle ammonizioni sospette. È bello che in Fiume non domabile tu venga a sollevare il nostro coraggioso dolore su le più alte onde dell’oceano sinfonico”.

Poi in serata, alle ore 20, il grande concerto sinfonico a scopo benefico, per i poveri della città, sotto gli auspici del Comandante e con il patrocinio del Municipio di Fiume. S’inizia alle ore 20.30. Il teatro è affollatissimo: nessuno vuole lasciarsi sfuggire l’occasione di vedere e sentire dal vivo un mito come Toscanini. Il biglietti erano in vendita dal 18 novembre, al prezzo di 80 lire per il mezzanino e i palchi di prim’ordine, per arrivare a circa 10 lire per la platea e 2 per le gallerie. Il Maestro e gli orchestrali portano tutti la medaglia “Hic manebimus optime” sul frac.

Pubblico in delirio
Lo spettacolo dura tre ore e, salutato da ovazioni interminabili, si apre con la “Quinta”, l’”Eroica”di Ludwig van Beethoven, prediletta dal Vate, prima di passare al “Concerto in la minore” di Antonio Vivaldi. Quindi, a seguire, la suite “Piemonte” di Leone Sinigaglia, “Iberia” di Claude Debussy, “Le fontane di Roma” di Ottorino Respighi e infine Giuseppe Verdi e i “Vespri siciliani”. Il pubblico, con un delirio di applausi, chiede ripetutamente un bis, e associatosi alla richiesta anche il Comandante, l’orchestra riprende il suo posto eseguendo un estratto (la “Morte di Isotta”) dal “Tristano e Isotta” di Richard Wagner. Toscanini stesso definirà l’esecuzione un saggio di bravura mai raggiunto dai suoi “ragazzi”. D’Annunzio sale sul podio per congratularsi con musicisti e direttore; Toscanini gli dona la sua bacchetta (il Vate l’affiderà a Luisa Baccara; Guerri narra che, quando Riccardo Muti riceverà il VII Premio del Vittoriale, nel 2016, gli verrà fatta impugnare la bacchetta, lui la guarderà e, notando che era curva, esclamerà: “Ma allora è vero che la dava sulla testa agli orchestrali!”).

Alla bettola dell’Ornitorinco, uno dei ritrovi prediletti dei legionari, il Maestro entusiasta, bevendo “sangue morlacco”, intonerà con amici e professori d’orchestra l’Inno di Mameli e altri canti patriottici. La mattina seguente, il Comandante inscena una “festa guerresca” nello stadio di Cantrida, un’esercitazione con sparatorie e lancio di bombe a mano. Diversi legionari vengono raggiunti da schegge, un professore dell’orchestra ne prende una di striscio al viso e lo stesso cappelluccio di Toscanini ha un colpetto. “Guardatelo. È della vostra razza, scarnito come voi – incita D’Annunzio –. La sua testa è intagliata nell’osso duro, tra mento e fronte, con quei profondi incavi che gli si formano tra orecchio e naso quando serra labbra e mascelle, con quel cipiglio che fa pensare alla guardatura selvaggia del cigno sotto il rigonfio del rostro, con quel collo che l’energia dilata come per riempirglielo di comandi inespressi… Guardatelo. Guardategli la mano che tiene lo scettro. Il suo scettro è una bacchetta leggera come una verga di sambuco; e solleva i grandi flutti dell’orchestra, sprigiona i grandi torrenti dell’armonia, apre le cataratte della grande fiumana, scava le forze dal profondo e le rapisce al sommo, frena i tumulti e li riduce in sussurri, fa la luce e l’ombra, fa il sereno e la tempesta, fa il lutto e il giubilo… Chi è dunque? È un Capo come io sono un Capo, o mia gente. Mi basta un gesto per scagliare d’un tratto i miei battaglioni contro il pessimo degli ostacoli. Mi basta un gesto per prendervi di peso tutti e trasportarvi dove il coraggio umano non è giunto mai. Mi basta un gesto per scoccarvi tutti urlanti e mutili di là dal prodigio e di là dalla morte. È vero? Qualche cosa di simile fa costui con queste altre anime. Intendete? Si contraeva tutto dianzi quando vi guardava balzare all’assalto. La vostra sinfonia non era la sua ed era pur sua. La fiutava con le narici aperte. Gli si riformava il cipiglio sul fuoco delle occhiaie. Gli si rigonfiava di comandi il collo. Era la sinfonia del Montesanto. Questo circo di Càntrida era la vetta di quel suo calvario ferrigno e sanguigno. C’erano gli scoppi, c’erano i tuoni, c’erano le vampe, c’erano le grida, c’erano i canti, c’era il furore, c’era la vittoria..”.

La fine di un sogno
Per D’Annunzio l’esecuzione era stata un “dono divino” e Toscanini diventerà suo “amico caro e grande fratello”; Toscanini ricambierà con altrettanto apprezzamento: “Comandante Gabriele D’Annunzio, niente io conosco che eguagli l’armonia della tua parola fascinatrice, l’energia della tua opera vittoriosa. Con devoto cuore riconoscente d’italiano e di artista, auguro che i tuoi voti siano compiuti. Per l’Italia bella, per l’Italia grande, per il suo più nobile figlio, per i suoi valorosi compagni, eja, eja, eja, alalà!”…I due continueranno gli scambi, soprattutto epistolari. L’indomani, il 22 novembre, con lo stesso treno speciale con il quale era venuto, Toscanini lascia il capoluogo del Quarnero. È diretto a Trieste, atteso per un concerto. Fin dal marzo precedente aveva infatti avviato un progetto di completo rinnovo dell’orchestra della Scala prima di iniziare una lunga tournée in ventuno città d’Italia.
A fine novembre varcherà l’Oceano, protagonista, tra Stati Uniti e Canada, di ben centotrenta concerti fino al maggio dell’anno successivo. Con l’affermarsi del fascismo, riuscirà inizialmente a mantenersi come voce critica all’interno del regime, probabilmente grazie all’enorme fama internazionale che aveva acquisito, ma quando, dopo essersi rifiutato di eseguire durante un concerto Giovinezza e Marcia reale davanti a dei gerarchi fascisti, fu vittima di un’aggressione, decise di tagliare i ponti con l’Italia finché fascismo e monarchia fossero stati al potere. Trovò una seconda patria negli Stati Uniti.
A Fiume, intanto, le cose si erano messe di male in peggio e avranno il triste epilogo nel Natale di sangue del 1920. Il neonato Stato Libero avrà una durata effimera, soffocato da un ribaltamento fascista. D’Annunzio, che aveva abbandonato la città nel gennaio 1921, finirà i suoi giorni nella maestosa residenza a Gardone, diventata la sua “gabbia dorata”.