Il dialetto tra Trieste e l’Istria
Il dialetto è morto. Viva il dialetto. Si potrebbe dire in modo provocatorio.
Ma quanto è ancora importante il dialetto nell’area giuliana? Viene parlato quotidianamente dalle persone in una percentuale ridotta o più significativa? Sono domande alle quali è difficile dare una risposta, però in fondo il dialetto tiene, come in altre zone, magari con grande difficoltà.
Certamente tutte le iniziative che si svolgono, nel territorio, a favore del dialetto sono importanti perché fanno in modo di rendere viva una fiammella, che rischia di spegnersi e che soltanto lavorando con le nuove generazioni si può rinvigorire o almeno rianimare.
Secondo gli studiosi il dialetto triestino è un dialetto di radice veneta venutosi a formare tra Settecento e Ottocento dal veneziano, che era la lingua franca del Mediterraneo. Una funzione poi passata all’epoca a Trieste, insieme a quella marinara e mercantile che era stata esercitata precedentemente dalla Serenissima.
Fino agli inizi dell’Ottocento a Trieste si parlava il tergestino, un dialetto romanzo che aveva collegamenti con il friulano. Poi lo sviluppo della città, la sua caratteristica di primo porto dell’Impero austro-ungarico, l’aumento delle potenzialità lavorative, portarono l’immigrazione di persone venute dal Veneto, dal Friuli, dall’Istria e dalla Dalmazia, ma anche dalle terre germaniche e slave. Fu questo il momento in cui il tergestino venne sostituito dal triestino che divenne una mescolanza di parole dalle tante origini, assimilando non solo vocaboli derivanti dall’istro-veneto, ma anche tedeschi e slavi. E il dialetto è l’elemento che unisce, torna ad essere una lingua franca, anche se è un po’ più spigolosa rispetto alla melodiosità veneta.
Un termine che arriva dal veneto può essere trapolèr, ma anche papùza oppure cheba tanto per dirne un altro. Oppure tùmbano che però ha anche un’origine tedesca, come pure una parola storica come spàrgher che per tanti decenni è stato un vocabolo usato quotidianamente e che per quelli non appartenenti al territorio sembrava un termine indecifrabile. Per qualcuno anche scafa sembrava una parola ostica, per certi versi incomprensibile.
Tutto è importante per la vitalità del dialetto anche ricordare che James Joyce, durante la sua permanenza a Trieste, imparò a parlare un pochino il dialetto, come segnalava il grande Italo Svevo. E poi ci sono anche opere teatrali, poetiche e letterarie in triestino, la scrittura è importante per sostenere il dialetto. Come i testi del poeta Virgilio Giotti con il suo “Piccolo canzoniere in dialetto triestino” o nella sua raccolta di “Caprizzi, Canzonete e Storie”. Però in questo anno dantesco bisogna citare che Nereo Zeper aveva tradotto l’Inferno e il Purgatorio in triestino. Prima di lui lo stesso Giotti ed altri si erano cimentati in traduzioni di testi di Dante. Un’impresa non facile ma importante per sostenere il dialetto dalla possibilità di derive e dimenticanze.
E cosa succede nella allargata provincia della Venezia Giulia in Istria con l’istroveneto? Certamente un territorio che storicamente è stato per secoli all’interno della Repubblica Serenissima ha avuto notevoli influenze, tra cui quella linguistica. Ecco che con il tempo si è formata quella parlata che mette insieme la base di riferimento veneziana con alcune variazioni sul tema composte dall’influsso istriano.
E’ anche vero che il dialetto è una lingua viva, che si trasforma nel corso del tempo assumendo attraverso la parlata una progressiva evoluzione che può essere più o meno attiva. A Venezia e nel Veneto gli adeguamenti sono più veloci, in Istria la situazione tende ad essere più cristallizzata. Se poi viene parlata dalla componente più anziana della popolazione tende ad essere naturalmente più statica, più ferma al passato.
Proprio per questo sono importanti iniziative e testi che possano portare ad una fruizione più ampia ed articolata, anche a livello generazionale. Se parliamo di autori è bello citare lo scoppiettante duetto di Carpinteri & Faraguna, dalle “Maldobrie” in poi, sia dal punto di vista letterario che teatrale.
Per quanto riguarda il teatro è stato prezioso il lavoro del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, della Contrada – Teatro Stabile di Trieste, del gruppo teatrale La Barcaccia e di tante altre compagnie filodrammatiche che a Trieste e in Istria hanno portato avanti, con grande impegno e dedizione, il filone dialettale, anche grazie all’Unione Italiana ed alcune Comunità degli Italiani presenti nel territorio istriano.
Una considerazione particolare merita il festival dell’Istroveneto che da qualche anno si svolge a Buie, promosso dell’Unione Italiana. Una manifestazione che ha lo scopo di tutelare e promuovere il dialetto istroveneto attraverso varie iniziative. Per esempio esiste un premio letterario con le scuole, diviso in fasce d’età che vanno dai 6 ai 18 anni, con testi rigorosamente in dialetto. Lo stesso avviene per i video che sono suddivisi tra quelli realizzati dai partecipanti sotto e sopra i 18 anni. E poi c’è “Dimela cantando” rassegna “per cansoni nove scrite in istroveneto”.
E proprio per le scuole operò il capodistriano Enrico Rosman, che pubblicò nel 1922 nella collana “Lingua e Dialetto” il primo Vocabolarietto Veneto Giuliano con lo scopo di cooperare all’apprendimento e alla diffusione come la descrisse lui “della buona lingua e di giovare all’unità del linguaggio comune”. E lo svolse nel modo migliore nel confronto tra il dialetto e la lingua italiana letterario, non solo nella comparazione tra le due lingue ma anche riportando modi di dire comuni su tutto il territorio della Venezia Giulia, tanto da integrare il vocabolario nel 1923 con una appendice per “ l’indice grammaticale, appunti lessicali, testi dialettali”.
Per Enrico Rosman l’obiettivo finale erano le scuole, alle quali apparteneva insegnando all’Istituto Tecnico G. Galilei di Trieste, obiettivo che concretizzo nel 1924 pubblicando tre volumetti per gli esercizi di traduzione dai dialetti delle Venezie Trieste e Istria, rivolti agli insegnanti delle classi terze, quarte e quinte delle scuole elementari.
La parte dialettale aveva per Rosman fondamento quanto le varie parlate della Venezia Giulia, alle quali si dedicò nello studio con studiosi amici e con loro confrontandosi negli approfondimenti e comparazioni con i dialetti di Fiume e Zara, con la conclusione che le vere differenze tra i vari dialetti e parlate locali si riducevano essenzialmente e soprattutto nella loro pronuncia, con ciò permettendo a tutti i lettori dei vari centri dialettali di comprendere i testi del Vocabolarietto.
Iniziative come queste sono state e sono importanti per trasmettere la conoscenza del dialetto tra diverse generazioni e stimolare l’incentivo a parlarlo quotidianamente. Questo avviene in varie aree della Venezia Giulia e dell’Istria, ma ogni progetto in questa direzione è utile a fermare l’erosione linguistica e magari a tentare un’inversione di tendenza.
Dal 1999 l’Unesco ha istituito il 21 febbraio di ogni anno come Giornata internazionale della Lingua Madre. In questa attenzione al multilinguismo anche il dialetto va tutelato e preservato perché, in fondo, è la lingua del cuore.
Rubrica “Lettori del Piccolo da 140 anni” a cura del Centro di Documentazione Multimediale della cultura giuliana, istriana, fiumana e dalmata (CDM) e dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia
Fonte: Il Piccolo – 29/06/2021