Il sorriso di due donne che si fa memoria viva
Articolo di Cristina Di Giorgi terzo classificato nella settima edizione del Premio nazionale di giornalismo “Angelo Maria Palmieri”
Il senso profondo di una Giornata che deve servire a ricomporre il patrimonio storico nazionale, abbattendo le barriere della dimenticanza
Ricordo è una parola piena di significati, che evoca atmosfere e sensazioni. Ma è soprattutto una parola viva, che rende eterni luoghi, persone e pagine di storia. Che appunto con il Ricordo, quando lo stesso è condiviso, cessano di essere esclusivamente parte dell’esperienza di ciascuno per divenire patrimonio comune di tutti. E’ proprio questo lo spirito alla base dell’istituzione, con la legge n.92 del 2004, del 10 febbraio come giornata dedicata ai Martiri delle Foibe e agli italiani di Istria, Fiume e Dalmazia che in decine di migliaia furono costretti ad abbandonare le proprie case per cercare rifugio in quella che giustamente consideravano la loro Patria.
Oggi, che dall’approvazione di quell’importante normativa sono passati quattordici anni, l’attuazione di quanto in essa previsto in alcuni casi appare purtroppo ancora difficoltoso. C’è infatti chi, pregiudizialmente, considera il Ricordo di quanto avvenuto sul confine orientale italiano come qualcosa da dimenticare. O, nei casi peggiori, da offendere (molti, in questo senso, gli episodi di vandalismo ai danni di lapidi e monumenti commemorativi) e da “utilizzare” strumentalmente nell’agone politico, anche se di politico la sofferenza di chi è stato gettato nelle foibe dai partigiani titini e di chi, per evitare di fare quella terribile fine, è fuggito dal luogo natio, non ha proprio nulla. Questi atteggiamenti sono barriere ideologiche della peggior specie, che chi ha a cuore la verità e l’amore per l’Italia fa di tutto per abbattere.
Tra loro, oltre alle associazioni degli Esuli, ci sono i tanti italiani che, pur non avendo in molti casi legami di sangue con l’Istria, sono impegnati nel Comitato 10 febbraio, che non solo nel giorno del Ricordo ma tutto l’anno dà vita ad iniziative ed approfondimenti di notevole livello storico e culturale. Finalizzati appunto a far conoscere a quanta più gente possibile storie e persone che, italiane per nascita, lo furono anche per scelta. Come Norma Cossetto, giovane istriana barbaramente torturata e poi uccisa – il suo potrebbe essere definito un caso di femminicidio ante litteram – dai partigiani titini. Norma è tra l’altro la protagonista di un intensissimo e commovente albo a fumetti intitolato “Foiba Rossa” (Ed. Ferrogallico), firmato da Emanuele Merlino e distribuito in allegato a Il Giornale in occasione del Giorno del Ricordo 2018.
Pensando a Norma e a sua sorella Licia, che ne ha tramandato il ricordo fino a quando l’ha raggiunta in quel luogo privo di sofferenza e dolore dove ora entrambe riposano, le vedo sorridenti e finalmente libere. E con una fantasiosa ma rispettosa e amorevole licenza poetica, ho così immaginato gli ultimi istanti di vita della più giovane delle ragazze Cossetto:
“Ancora adesso, anche se sono passati anni, la notte ho gli incubi al ricordo di come abbiamo trovato mia sorella Norma. Sono convinta che l’abbiano gettata giù nella foiba ancora viva. Nonostante il suo corpo straziato, i vestiti tirati su, scomposti, il suo viso mi sembrava abbastanza sereno. Quel viso dolce, sempre sorridente. Quel viso che oggi, per molti, è diventato il simbolo di tutti coloro che hanno conosciuto l’odio verso l’Italia. L’odio di chi ha trasformato in un incubo l’appartenenza ad un popolo e ad una terra.
Quella gente però, io non riesco ad odiarla. Nonostante le terribili sofferenze che hanno inflitto a mia sorella e, a ripensarci, anche alla mia famiglia tutta, io non riesco a provare gli stessi sentimenti che hanno animato le gesta di quegli uomini e donne che, ancora oggi, qualcuno continua a considerare eroi. Non li odio perché io non sono come loro. Così come non lo era Norma. Così come non lo erano i tanti innocenti che hanno fatto la sua fine.
Non so esattamente quanti sono stati. Forse non lo sapremo mai con precisione. So soltanto che sono stati torturati e uccisi. Fascisti? Forse qualcuno di loro lo era. E anche se fosse, questo non giustifica certo la tortura e la morte orribile a cui sono stati condannati.
Una morte che, oltretutto, in molti vorrebbero dimenticare e far dimenticare. C’è infatti ancora chi continua a negare che le foibe – e soprattutto i martiri che vi furono gettati – siano mai esistiti. Lo fanno per cecità ideologica. O forse soltanto per ignoranza o stupidità. Non importa. Per quanto mi riguarda, da quando, sforzandomi di non piangere, ho ricomposto la salma di mia sorella Norma, le ho promesso non vendetta, ma giustizia. E memoria.
Certo, ho denunciato i suoi aguzzini. Che sono stati puniti. E poi ho dedicato gran parte della mia vita a fare in modo che quel che è successo in Istria non sia dimenticato. Ho scritto, ho parlato, ho viaggiato. Ho raccontato di Norma, delle foibe, della nostra terra. Ho cercato di fare di tutto per mantenere la mia promessa a quel fiore mai sbocciato con cui ho avuto la fortuna di condividere gli anni gioiosi dell’infanzia e della prima giovinezza. Verità, amore e giustizia. A questo pensavo quel pomeriggio in cui ho ceduto per un attimo alla stanchezza. Ho chiuso gli occhi per riposarmi, prima di riprendere il mio viaggio da Novara a Trieste, dove mi stavo recando per celebrare ancora una volta il ricordo di Norma a settant’anni dalla sua morte. Quando li ho riaperti, lei era accanto a me. E mi sorrideva. Subito dietro di lei, i volti altrettanto sorridenti di bambini, donne, uomini, vecchi. Potevo leggere nel profondo dei loro occhi l’orrore che avevano subito. Un orrore che, pur essendo impossibile da dimenticare, si era pian piano trasformato in serenità. Siamo in pace ora mi dicevano. Siamo in pace, cara Licia, anche grazie al tuo coraggio. E a quello di tutti coloro che, come te, hanno difeso e tramandato la memoria e la verità. E’ stato in quel momento che ho capito che il mio viaggio era finito. Ero finalmente insieme a Norma. Ed ero tranquilla perché sapevo che, sulla terra, c’era ancora qualcuno disposto a battersi per la verità. E per il Ricordo. Ogni giorno”.
Cristina Di Giorgi – 18/02/2018
Fonte: Il Giornale d’Italia