Il Teatro Fenice di Fiume, bello e sfortunato
Fiume è stata da sempre una fucina di culture ed espressioni culturali. Ne è prova, tra l’Ottocento e il Novecento, in risposta alle necessità dei cittadini, la trasformazione della realtà urbana, per l’eterogeneità dei palazzi e l’ammodernamento delle scelte architettoniche, dal Neoclassicismo allo stile secessionistico. In concerto con tutto ciò, nella seconda metà del XIX secolo, in seguito all’abbattimento del Teatro Adamich e in attesa della sua ricostruzione, l’imprenditrice Caterina Ricotti, “conosciutissima, buonissima donna” (Varietà), fece edificare un piccolo teatro in legno nel giardino della sua abitazione (in via S. Andrea 576), dall’aspetto alquanto informale, in luogo dell’odierno Teatro Fenice. Così, tra il 1881 e il 1882 Fiume ricevette una nuova costruzione a cielo aperto, circondata da numerosi alberi, adiacente a una sorgente d’acqua. Il teatrino operò con successo per alcuni anni, prevalentemente nei mesi estivi, in quanto le piogge e le basse temperature non permettevano di fare attività nei periodi freddi. Secondo testimonianze scritte dell’epoca, però, se lo spettacolo era particolarmente coinvolgente e apprezzato, gli spettatori salivano addirittura sul palco, il che dimostrava la grande voglia di teatro dei fiumani.
Gli investimenti di Caterina
Per risolvere le succitate problematiche, già nel 1888, su progetto dello stimato architetto fiumano Nicolas Predonzany, venne edificato un palcoscenico in cemento e nel 1901 furono aggiunti anche un baldacchino in tela, abbellito da decorazioni del pittore Giovanni Fumi, gli spazi per gli attori e il personale, un nuovo portale ornamentale e una cabina da regia, da cui gestire anche gli elementi inerenti alla scenografia. Nell’area del cortile, dietro ai palchi, l’architetto dispose le sale per il cambio dei costumi degli attori e le necessità del personale tecnico e le toilette. Pensò pure a un’imbottitura più comoda ed elegante delle poltrone, risistematizzò la buca dell’orchestra e introdusse le luci a gas. Successivamente all’adattamento lo stabile venne denominato Teatro Fenice, nome che ricordava il rinomato teatro veneziano e che chiaramente denotava ambizioni importanti. Nella nuova forma, lo stesso poteva accogliere 230 spettatori nel parterre e 250 nelle gallerie.
Il Teatro ospitava rappresentazioni teatrali e operette con artisti famosi (Zago, Benini), spettacoli circensi con tanto di cavalli addestrati e maghi, vaudeville, rappresentazioni di marionettisti (Riccardini, Gorno-Dell’Acqua e altri), compagnie ungheresi, varietà e talvolta anche incontri di pugilato. Così, ad esempio, a metà marzo del 1906, il “Novi list” di Supilo riportava un ampio articolo in cui si leggeva che “stasera il teatro era pieno come mai. Dapprima è stato presentato uno spettacolo di pantomima molto carino, seguito da fantastiche esibizioni dei giocolieri Fassy e Sole, che hanno divertito il pubblico facendogli scattare forti applausi. Successivamente si è potuto ascoltare al violino il giovanissimo Paolo Kaufman, di otto anni, la cui musica ha stregato gli spettatori. Dopo la pausa sono seguiti gli incontri di pugilato”.
La fine e il desiderio di rinascita
Dopo la morte della Ricotti, però, l’edificio visse una serie di accadimenti sfortunati, quali il brutto incendio del 1902, che interruppe la sua attività per un paio d’anni. Considerato il successo che il Teatro aveva riscosso, nel 1910 i figli dell’imprenditrice, Nicolò e Michele, decisero di fare abbattere la vecchia costruzione in legno e intraprendere un altro ambizioso progetto, quello del Teatro Fenice, pensato come edificio polifunzionale (politeama), inaugurato il 2 maggio 1914 con la celeberrima “Tosca” di Giacomo Puccini. Del progetto di massima che prevedeva un Centro culturale con Teatro, sala per varietà e Casinò (sala da concerto), con affiancato un edificio residenziale, dotato di ascensore e roof garden, con appartamenti signorili, venne realizzato soltanto il Teatro. La sua principale peculiarità è che fu il primo palazzo in cemento armato costruito sul territorio dell’odierna Croazia e uno dei primi in Europa. L’aspetto esteriore dell’edificio colpiva per l’essenzialità geometrica dell’attico, decorato da scalini alternati a colonne, con un effetto “metafisico” e decisamente Jugendstil. Gli interni, moderni e funzionali, guardavano ai modelli francesi e tedeschi, adottando un’orchestra molto profonda, con l’effetto del golfo mistico voluto dal Wagner nella Festspielhause di Bayreuth. È l’unico Teatro del periodo Art Nouveau realizzato in Croazia, progettato dall’architetto austriaco Theodor Traexler, allievo di Otto Wagner e dal costruttore fiumano Eugenio Celligoi. L’enorme sala del Teatro poteva ospitare fino a 2.000 spettatori, cui si aggiungeva lo spazio situato nella sua parte sottostante, inizialmente soprannominato Sala bianca. L’edificio aveva una superficie di 7.530 metri quadrati, di cui 5.942 adibiti ad ambienti teatrali e cinematografici. Un luogo nel quale giunsero a maturazione fermenti e intrecci tra etnie ed esperienze diverse, che nuovamente divenne luogo d’incontro vitale, punto di riferimento e scambio culturale.
L’abbandono
Il destino di quest’imponente edificio (già cinema Partizan ai tempi dell’ex Jugoslavia e quindi nuovamente Fenice), purtroppo, non è stato felice. A partire dal 1916, fino ad oggi, lo stesso è stato vittima di terremoti, acquazzoni, allagamenti e infine di cattiva gestione che, in un modo o nell’altro, hanno spento, per periodi brevi o lunghi, fino alla sua chiusura, le sue attività, facendolo diventare una triste realtà di decadenza e abbandono. Il resto è storia. Oggi lo stabile è di proprietà (al 90 p.c.) dell’azienda Rijekakino – per la quale è in atto la procedura fallimentare – e (al 10 p.c.) della Città di Fiume ed è in attesa di tempi migliori, in cui qualcuno, forse, saprà restituirgli il suo antico splendore.
Ornella Sciucca
Fonte: La Voce del Popolo – 13/03/2022