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Indennizzi sloveni alle vittime del comunismo: anche 1.500 esuli istriani ne avrebbero beneficiato

L’Unione degli Istriani chiede chiarezza a Lubiana

Il 9 aprile l’Unione degli Istriani ha annunciato per l’indomani un’assemblea pubblica nella Sala Maggiore di Palazzo Tonello a Trieste «per fare luce e soprattutto chiarezza sulla sinistra vicenda che da un anno quasi ha visto coinvolti gli Esuli provenienti dai comuni italiani oggi sotto sovranità slovena, i quali ricevono una sorta di indennizzi dallo Stato sloveno per aver vissuto il dramma dei campi profughi in Italia dopo l’abbandono delle loro case e terre in Istria». «Si tratta – diceva il presidente Massimiliano Lacota – di una vicenda che ha dell’incredibile e che va necessariamente chiarita da parte delle autorità slovene affinché vi sia certezza sull’entità dei risarcimenti ed a che titolo questi vengono erogati».

Il 10 aprile “Il Piccolo” titolava a tutta pagina: Il “giallo” dei rimborsi agli esuli. Avvocati sloveni sotto accusa. Hanno innescato una baraonda garantendo risarcimenti ai sensi di una legge della vicina Repubblica. Ma Lubiana nega e minaccia di chiedere indietro i soldi. A farne le spese almeno 1.500 istriani. L’articolo esponeva la vicenda riassumendo quanto Lacota avrebbe poi spiegato con maggiori dettagli in assemblea, ovvero di aver ricevuto circa un anno e mezzo fa tre esuli dal Capodistriano i quali avevano presentato domanda al Governo sloveno in base ad una legge di quel paese che garantiva indennizzi anche agli italiani che avessero soggiornato nei campi profughi. Nessuno però aveva copia dei moduli in sloveno firmati. A compilarli era stata in un bar di Trieste una signora di Capodistria, la quale aveva pregato di non divulgare la notizia poiché i soldi a disposizione erano pochi e meno gente ne era a conoscenza più i richiedenti avrebbero potuto ottenere. Bisognava inoltre allegare un certificato di nascita, uno storico di residenza e uno attestante la permanenza in un campo profughi. I soldi a questi tre esuli erano arrivati già dopo tre mesi: anche 3-4.000 euro a persona, parenti compresi.

Lacota sporge denuncia

Allora Lacota chiese lumi all’ambasciatore d’Italia a Lubiana, al Consolato Generale di Slovenia a Trieste e al Ministero della Giustizia sloveno, senza però ottenere risposte soddisfacenti. Da una sua indagine emerse che esisterebbe una “Legge per la riparazione dei torti”, emanata nel 1997 e più volte modificata (l’ultima con la legge 70 del 2005), la quale garantirebbe un risarcimento e una pensione agli «ex prigionieri politici», ovvero a quanti subirono angherie (anche psicologiche) dal regime comunista jugoslavo tra il 15 maggio 1945 e il 2 luglio 1990, ma solo se cittadini sloveni residenti in Slovenia. Una Commissione di nomina governativa composta da 12 membri vaglia le richieste e quantifica il danno subito in base alla documentazione prodotta. Le sue decisioni sono inappellabili. Visto che però tra i 1.000 e i 1.500 esuli avrebbero ricevuto tale indennizzo dopo essersi rivolti a studi legali di Capodistria, Postumia o Nova Gorica, il 3 settembre 2014 Lacota ha sporto denuncia alla Digos e alla Procura della Repubblica di Trieste contro ignoti per truffa, rivolgendosi pure alla Polizia slovena. A titolo sperimentale, tra novembre e febbraio cinque suoi soci hanno fatto richiesta al Ministero della Giustizia, il quale ha respinto tutte e cinque le istanze per mancanza dei requisiti, accogliendo però entro 60 giorni quelle presentate da tre soci tramite uno studio legale sloveno, riguardanti anche il padre, la madre e i nonni.

Ritorsioni slovene?

Lacota ha raccontato che il direttore generale del Ministero Andreja Lang avrebbe scritto in una lettera dell’11 marzo 2015, rispondendo in inglese a un esule richiedente l’indennizzo, che «nessuna legge simile è stata resa esecutiva dall’Assemblea nazionale della Repubblica e una simile legge non è nemmeno in procinto di essere adottata». Lacota ha inoltre reso noto che lo stesso Ministero ha annunciato di voler denunciare per falsa testimonianza e truffa ai danni dello Stato i cittadini italiani che avessero percepito indebitamente l’indennizzo. «Sarebbe un insulto ulteriore – ha commentato il presidente – far ricadere le responsabilità degli avvocati sloveni su queste persone raggirate, imprudenti ma in buona fede. In ogni caso noi le tuteleremo e dovrebbe farlo anche lo Stato italiano: se infatti avesse pagato gli indennizzi per i beni abbandonati, costoro non si sarebbero rivolti alla Slovenia. Entro 20 giorni vogliamo sapere da Lubiana se la legge vale anche per i non sloveni, magari in base a una norma del regolamento attuativo gestito dalla Commissione. In tal caso siamo pronti a presentare 23.000 domande, riconoscendo che la Slovenia è più democratica dell’Italia. Se invece non riceveremo risposta, valuteremo azioni legali contro il Ministero della Giustizia. Intanto chiediamo di non presentare nuove domande e, a chi ha ricevuto i soldi, di non spenderli».

Dal pubblico è stato avanzato il sospetto che o questi studi legali sloveni intrallazzino con la Commissione o che le autocertificazioni allegate attestino falsamente la cittadinanza e la residenza slovene. Una signora esule dal Capodistriano ha raccontato che una donna delle pulizie slovena operante a Trieste ha fatto da intermediaria tra sua sorella e uno studio legale di Capodistria riuscendo a farle avere dalla Commissione una cospicua somma per i genitori e un fratello esuli.

Il 17 aprile il Ministero della Giustizia sloveno ha reso noto in un comunicato stampa che la legge in questione prevede indennizzi «per tutti i soggetti o i familiari di chi ha subito illegittime esecuzioni dopo la fine della guerra o condanne in processi penali, politici o amministrativi nel periodo 1945-’90». «La Commissione – informava la nota – ha già trattato alcune pratiche degli optanti, rigettando le richieste in quanto si trattava di situazioni già regolarizzate con il Trattato di Pace di Parigi del ’47. Non risultano sentenze emesse da tribunali sloveni in base a qualche nuova legge che definirebbe risarcimenti agli optanti per violenza comunista».

Lacota ha però fatto sapere che gli studi legali sloveni continuano a presentare domande per conto di soci dell’Unione degli Istriani anche dopo lo scandalo scoppiato sui media.

Digos e Polizia slovena indagano

Il 19 aprile “Il Piccolo” ha scritto che la Digos aveva interrogato diversi esuli richiedenti l’indennizzo. I beneficiari sarebbero tra i 1.500 e i 1.800, per un totale di circa 700mila euro.

Il 20 aprile il quotidiano titolava: Giallo internazionale dei rimborsi agli esuli. Diplomazie in scacco. L’ambasciata italiana e quella slovena nell’imbarazzo a pochi giorni dalla visita di Mattarella a Lubiana. L’articolo riferiva che le autorità sia italiane sia slovene stavano seguendo la vicenda ma, nell’imminenza della visita del presidente Mattarella a Lubiana, non intendevano rilasciare dichiarazioni. Esortavano però ad evitare «pericolose polemiche» e a «non riproporre fantasmi del passato». Un altro articolo informava che a guidare le indagini sarebbe la Polizia slovena e citava il caso degli eredi fino al secondo grado di una signora, nata a Isola nel 1884, vissuta nel campo profughi di San Sabba a Trieste e deceduta nel 1964, che hanno percepito un indennizzo di 7.302 euro.

Il 21 aprile “Il Piccolo” riportava che le autorità slovene, «oltre a domandare la restituzione dei soldi erogati, potrebbero presto avviare una causa legale per reati riconducibili alla truffa e al falso in atto pubblico». «Scatterebbe così – proseguiva – un maxiprocesso con inevitabili strascichi politici». Dopo di allora non sono più uscite notizie sul caso.

«Sono ammessi i cittadini italiani non optanti»

Intanto però Federica Cocolo Relli, vice-presidente dell’Associazione Nazionale contro gli Abusi e i Soprusi e socia attiva del Comitato ANVGD di Trieste, ci ha riferito di aver aiutato nel corso dell’ultimo anno, grazie alla consulenza di una sua amica di madrelingua slovena, circa 400 esuli istriani cittadini italiani residenti in Italia a presentare richiesta di indennizzo al Ministero della Giustizia secondo la legge slovena. Circa metà di essi hanno ottenuto risposta positiva, mentre un’altra metà è ancora in attesa di risposta.

«Questa vicenda – asserisce Federica Cocolo Relli – è stata confusa con quella dei beni abbandonati. Inoltre l’ultima legge di modifica dell’iniziale Legge dei torti non è la 70/2005: quello è il numero della Gazzetta Ufficiale slovena del 26 luglio 2005 su cui è pubblicata. Da ciò gli equivoci. La Legge dei torti include anche i profughi scappati via per motivi politici, ovunque residenti, a condizione che non abbiano mai optato per la cittadinanza italiana tra il 9 maggio 1945 e il 25 giugno 1990 e abbiano soggiornato per un periodo in un campo profughi. Gli stranieri dunque non sono esclusi a priori. Ecco perché tanti italiani hanno ricevuto l’indennizzo. E’ tutto lecito. La Slovenia risarcisce 146 euro per ogni mese di campo profughi fino a non oltre 8.300 euro, più i contributi per la pensione valutati per due mensilità riconosciuti a chi non ha potuto lavorare quando era in campo profughi. Rientrano fra i beneficiari anche i figli di profughi nati in Italia che abbiano vissuto dopo la nascita assieme ai genitori nei campi. Le domande si presentano semplicemente tramite raccomandata, allegando il codice fiscale, la carta d’identità, il certificato di residenza storico, il certificato di nascita… Altrimenti ci si può recare al Ministero, dove al secondo piano alcuni impiegati aiutano a compilare le domande. Prima ci si può anche rivolgere all’Archivio di Stato di Capodistria, dove si trovano le date delle persone uscite dalla Jugoslavia con la relativa motivazione. La Commissione controlla tutto. Uno o due anni dopo dà la risposta. Nel caso manchi qualche documento, chiede di allegarlo entro 20 giorni. Se accoglie la domanda, specifica il periodo per il quale ha riconosciuto il torto. Inoltre chiede al beneficiario una firma per ricevuta da inviare sempre tramite raccomandata. Poi la Banca Statale slovena spedisce una lettera che dice a quanto ammonta l’indennizzo, e dopo due mesi arriva la somma sul conto corrente bancario».

In effetti gli abitanti dell’incompiuto Territorio Libero di Trieste, diversamente da quelli dei territori ceduti alla Jugoslavia con il Trattato di pace, non poterono mai esercitare la facoltà di opzione per la cittadinanza italiana. Dopo il ritorno di Trieste all’Italia, il 26 ottobre 1954, l’Italia considerò automaticamente come cittadini italiani i profughi dalla Zona B e dai colli di Muggia, mentre la Jugoslavia considerò i rimasti come cittadini jugoslavi.

«Ma una signora sta speculando»

«Fino al 2011 – aggiunge Federica Cocolo Relli – anche la Croazia aveva una sua legge per erogare questi indennizzi. E lo ha fatto finché non ha finito i soldi a disposizione. Ma tutto era sotto silenzio». Vero è che qualcuno a Trieste sta speculando sulle domande. «Una famiglia di qui – racconta – si fa pagare un sacco di soldi. Una vecchietta manda bigliettini alla gente. Gli interessati vanno nei centri civici e chiedono le carte da cui si evince l’arrivo a Trieste e la permanenza in un campo profughi. Poi, ignari di dove vadano queste carte, le danno al figlio della signora, che le porta da un legale a Capodistria. Su un risarcimento di 8mila euro se ne sono presi 3mila loro!».

La legge è del 25 ottobre 1996

Cercando su internet si scopre che la “Legge sulla riparazione dei torti” risale al 25 ottobre 1996 e che fino al 2005 ha subito ben 7 modifiche. Consta di 38 articoli.

L’art. 1, primo comma recita (la traduzione è nostra): «La presente legge disciplina il diritto all’indennizzo e il diritto alla pensione e all’assicurazione di invalidità per gli ex prigionieri politici e parenti delle vittime della privazione illegale della vita nel dopoguerra, la procedura per l’esercizio di tali diritti e gli organi deputati a decidere su tali diritti».

L’art. 2, primo comma specifica: «Ex prigionieri politici sono, in base alla presente legge, tutte le persone che nel periodo dal 15.05.1945 al 02.07.1990 furono condannate, nel territorio dell’attuale Repubblica di Slovenia, ingiustificabilmente e in contrasto con i principi e le leggi dello stato di diritto, per ragioni di classe, politiche o ideologiche in un processo penale alla pena della privazione della libertà o furono private della libertà durante tale processo ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 3 della presente legge o di altre disposizioni, se della legge si abusò nel modo sopra descritto».

L’art. 2, secondo comma aggiunge: «Le vittime della privazione illegale della vita nel dopoguerra, ai sensi della presente legge, sono tutte le persone soggette alla condizioni di cui al paragrafo precedente condannate a morte e per le quali la pena di morte fu eseguita».

Una formulazione sibillina

Dunque non si dice mai esplicitamente che i beneficiari sono solo cittadini sloveni residenti in Slovenia. L’art. 2, terzo comma stabilisce però: «Fatte salve le condizioni di cui al primo comma del presente articolo, ex prigionieri politici ovvero vittime della privazione illegale della vita nel dopoguerra sono anche le persone che furono condannate da un tribunale di altre Repubbliche o della ex Federazione jugoslava, se tali persone o, nel caso delle vittime della privazione illegale della vita nel dopoguerra di cui al quarto comma del presente articolo, loro familiari al momento della promulgazione della presente Legge hanno la residenza permanente nel territorio dell’attuale Repubblica di Slovenia e sono cittadini sloveni». Tale formulazione suona sibillina. Ne dovremmo forse dedurre che, per analogia, i profughi dal Capodistriano privi della cittadinanza e della residenza slovene non potrebbero beneficiare della legge? In tal caso resterebbe da capire perché la Commissione abbia detto sì a tanti cittadini italiani residenti in Italia. Che sia proprio per la loro mancata opzione?

Sul modulo si indicano residenza e cittadinanza

Certo è che nel modulo di 5 pagine scaricabile dal sito del Ministero chi desidera vedere riconosciuto a sé e/o al proprio parente defunto lo status di “ex prigioniero politico” deve indicare alla Commissione anche il proprio indirizzo (da cui si ricava la residenza) e la propria cittadinanza. Pertanto delle due l’una: o anche i cittadini italiani residenti in Italia possono effettivamente avvalersi della legge a determinate condizioni o chi fra loro si è visto riconoscere l’indennizzo aveva dichiarato di risiedere in Slovenia e di essere cittadino sloveno.

Quanto ai rimanenti articoli, il terzo specifica che la qualifica di “ex prigioniero politico” spetta anche alle persone arrestate in base ad alcune leggi di epoca jugoslava, tra cui quelle sui «crimini contro il popolo e lo stato», sul commercio illegale, la speculazione e il sabotaggio economico, sui crimini contro i beni del popolo o delle cooperative, sui crimini militari e sulle cooperative agricole. Gli articoli dal 5 all’8 riguardano l’indennizzo. L’art. 9 la Commissione, nominata dal Governo e composta da un presidente, un vice-presidente ed almeno 7 membri. Gli articoli dal 10 al 16 la procedura. Quelli dal 17 al 20 la decisione. Il 21 la revisione. Quelli dal 22 al 25 la procedura di revisione. Quelli dal 26 al 31 la decisione di revisione. Quelli dal 32 al 34 il reclamo sulla revisione. Il 35 la richiesta di revisione. Quelli 36 al 38 le norme finali.

Articolo pubblicato su «L’Arena di Pola», 10/05/15