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December 21st, 2024
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Antonio Ballarin: la giustizia che vorrei per tutti noi…

Antonio Ballarin

Autore: Rosanna Turcinovich Giuricin

Laureato in fisica, Antonio Ballarin, neoeletto Presidente dell’Anvgd, è coinvolto da più di 20 anni in progetti di ricerca e  sviluppo nell’ambito dei sistemi cognitivi con particolare riferimento ai  modelli di apprendimento neurale. Semplifica dicendo che si occupa di intelligenza artificiale ed è un dirigente Consip del Ministero del Tesoro a Roma. I risultati del suo lavoro sono stati applicati in economia, scienze sociali, finanza, medicina. Fa quasi impressione visto che si tratta di nuove frontiere che sfuggono alla divisione tradizionale delle professioni. Ma questo è il futuro, Ballarin lo sa bene. Idee chiare anche sul suo ruolo a capo dell’associazione degli esuli che ora rappresenta, ramificata su tutto il territorio nazionale. Al Congresso di Gorizia ha preso più volte la parola alternando pragmatismo, nella presentazione dei dati sulla situazione finanziaria, a autentica emozione quando si riferisce alla storia travagliata di questo popolo sparso: i giuliano-dalmati, che sembra scolpito nel suo dna. Ma da dove parte questa fede nell’impegno associativo? “Nasce nella mia famiglia che al Quartiere giuliano di Roma ha sempre dato, e continua a farlo, il proprio contributo al bene comune. Ma le radici vere e proprie di quest’impegno sono nell’amore per la nostra terra”. Quali gli strumenti attraverso i quali i genitori vi hanno legati, voi figli, a queste tematiche? “Con l’amore, la passione e senza mai interrompere il contatto con la nostra terra. Sappiamo benissimo che in Istria, Fiume e Dalmazia, l’opzione nel dopoguerra non era un processo automatico, ad alcuni veniva concessa, ad altri no, anche all’interno delle medesime famiglia. Per cui a Lussino è rimasto il fratello di mia madre, “el ga fato famiglia” e noi andavamo a trovarlo nei difficili anni sessanta e settanta quando mancavano tanti generi di prima necessità, finché “non ga sbonazà, come dixemo noi dale nostre parti”. Lussino erano le vostre estati? “Che duravano tre mesi, a gironzolare con parenti ed amici. Un’esperienza che ci ha aiutati a prendere coscienza della nostra appartenenza, della nostra palese diversità, una minoranza, per certi versi raffinata, perché con un retaggio storico importante di cui proprio a Lussino ci rendevamo conto. Credo sia così per tutti gli altri luoghi delle terre d’origine. Che cosa intendo? Che siamo, nonostante tutto, nonostante le dolorose vicissitudini, parte integrante di quella terra. L’esodo, le foibe, sono e rimangono momenti drammatici, soprattutto per i nostri genitori che noi ora cerchiamo lentamente di ricucire nel rispetto della memoria e con la coscienza che lì “xe altra nostra gente”. Nel tuo discorso hai detto che ti aspetti ancora delle scuse, necessarie dopo l’incontro dei tre Presidenti? “Diverse, un’evoluzione direi. Quello dei Tre Capi di Stato di Italia, Slovenia e Croazia, è stato un passaggio fondamentale: hanno testimoniato la volontà di vivere nel rispetto delle diversità. Ora bisogna rivolgersi alle persone, alla loro sensibilità individuale. Dobbiamo giungere ad una catarsi: tornare nelle terre dei padri non come turisti ma come legittimi appartenenti ad una realtà storica che giustifica la nostra presenza sul territorio. Tornare, per chi è andato esule nel mondo, è una questione di giustizia, noi vorremmo poterlo fare attraverso l’attività, la collaborazione, il riconoscimento dei torti subìti ed un occhio di riguardo nel recupero di quelle proprietà che sono ancora raggiungibili o eventualmente con una degna sostituzione”. Stai pensando ad una specie di “canone inverso” ad una legge simile a quella che permette alla nostra comunità nazionale di accedere alla cittadinanza italiana? “Una legge? Potrebbe essere un elemento importante da integrare a progetti comuni con la minoranza senza sospetti: in modo che sloveni e croati accettino la nostra presenza e viceversa, come parte di una realtà complessa ma legittima. Se la comunità italiana dovesse crescere anche con il nostro contributo, sarebbe una ricchezza per tutti, comprese le altre componenti del territorio, ci renderebbe liberi. A mio avviso non ha più ragione di esistere il timore della prevaricazione. Ciò che vogliamo, è un atto di giustizia. Che questi Stati riconoscano come figli di quella terra “la gente nostra scazada via”. Attraverso quali strumenti? “Anche una semplice dichiarazione che ci apra le porte non come turisti ma come parte di una realtà storica che ci ha visti protagonisti, a casa”. In interazione con la Comunità italiana? “Assolutamente sì, e noi potremmo fare in modo di istituire delle borse di studio per i loro figli in Italia, finalizzate allo studio della nostra storia, alla sua divulgazione e conoscenza ovunque”. Perché ti rende così orgoglioso appartenere a questo mondo adriatico orientale? “Perché è la coscienza di ciò che si era, di dove si abitava, della strada tutta in salita causata da una scelta di restare attaccati all’ideale di Patria. La nostra memoria non è vano ricordo ma Memoria attiva che insegna valori e indica la strada da percorre, per esempio, in una società europea monoculturale ma multietnica come ora, in maniera che errori commessi e drammi vissuti non siano più ripetuti. Ricordo spesso un episodio: all’epoca in cui invitavo i miei amici romani, incontrati all’Alberti o all’università, a mangiare a casa mia le fritole e le pinze, i chifeli e la présnizza, commuoversi all’ascolto dei Fratelli d’Italia o alla vista di un Tricolore che garriva al di fuori di una partita della Nazionale, non ero compreso. Appena oggi, a distanza di 30 anni, uno di questi amici mi ha confessato che non capiva la mia storia. Pensava riguardasse me e pochi altri, addirittura che non avesse nulla a che fare con la storia della mia famiglia. Non pensava, per esagerazione, che i debiti di guerra pagati con i beni nostri avessero permesso alla sua famiglia di farsi un futuro. Ebbene, oggi, piano piano, questa coscienza emerge, torna a galla. La memoria ha senso se richiama il nostro animo all’urgenza di giustizia, di verità e di bellezza”. L’esecutivo è stato scelto con un criterio che tiene conto di una futura distribuzione dei dicasteri? “Sì, vogliamo fare in modo che ognuno di noi possa mettere in campo le proprie capacità e competenze derivanti dalle esperienze lavorative ma, per molti, anche dalla militanza nell’associazionismo. Tutto ciò deve portare ad enfatizzare i nostri obiettivi, a proporre le nostre istanze in modo corretto e professionale. Se il nostro delegato alla scuola, tanto per fare un esempio, riesce a coinvolgere cento scuole nelle nostre tematiche, avrà fatto bene il proprio lavoro a beneficio di tutti. Se il nostro delegato ai rapporti col Governo riesce a far approvare delle Leggi di particolare importanza per noi, possiamo immaginare una futura attività pregnante per tutti”. La fondazione dell’Aps, questa onlus che dovrebbe permettere un autofinanziamento importante basandosi sul 5 per mille nella dichiarazione dei redditi, assume particolare importanza, che cosa vi attendete? “E’ un’idea maturata nel tempo, è stata proposta al Congresso di Varese, poi ampliata a Rimini, valutate le possibili ricadute sulla nostra attività, soprattutto nel momento in cui ci siamo resi conto che era giocoforza individuare diverse linee di finanziamento. Non abbiamo mai preso in considerazione il cosiddetto terzo settore, ovvero il 5 mille o le erogazioni liberali, vale a dire la deducibilità dal reddito o la detrazione d’imposta sulle erogazioni liberali alle ONLUS”. Perché è così difficile la reperibilità dei fondi attraverso la legge che già esiste? “Perché gli stanziamenti previsti da una legge sono legati a iter burocratici interni talmente complicati che snervano, a volte risultano umilianti perché non bastano a realizzare progetti ambiziosi in toto, per cui è giusto rivolgersi anche ad altri percorsi che possano integrare i finanziamenti pubblici e possano attivare fondi per la nostra causa. Quale sarebbe? I progetti sul nostro territorio e quelli sul territorio d’origine con borse di studio, iniziative condivise in modo tale che questo popolo ritrovi un’unità”.