A settant’anni dal bombardamento della città
Autore: Adriana Ivanov
Anniversari, commemorazioni, celebrazioni scandiscono il calendario della storia, rievocano avvenimenti passati, sollecitano memorie di eventi, per lo più dolorosi, riesumano dalla nebbia dello scorrere del tempo ciò che fu, ciò che più non è. Come tutte le pagine nel libro scritto dall’agire umano, anche la tragedia giuliano – fiumano - dalmata ha le sue date simbolo, chiodi conficcati nel tempio di Giano, date di dolore, date di condanna inesorabile, date che segnano la fine di un mondo vissuto dai nostri padri, sognato da noi figli della seconda generazione. E così, se il 10 Febbraio suggella in sé il momento finale del nostro sacrificio, il “ Consummatum est” di Istria, Fiume, Dalmazia cedute da quel fatale Trattato di Pace del 1947 alla Jugoslavia, benché a partire dal 2004 per volontà del Parlamento esso renda istituzionale la memoria del nostro sacrificio, diventando il “Giorno del Ricordo”, altre date segnano , come stazioni della Via Crucis, il cammino di dolore degli esuli dell’ Adriatico Orientale. L’8 settembre ‘43 rappresentò non solo la svolta che apparentemente poneva fine al Secondo Conflitto Mondiale in Italia, ma anche, per gli italiani dell’Istria, l’ inizio di quel film dell’ orrore che furono le foibe; il 1° maggio ’45 rappresentò per Trieste, come per Gorizia, ancor più che la liberazione dai tedeschi, l’ occupazione da parte dei titini, incubo durato quaranta giorni, che riempì le foibe del Carso triestino di italiani, soldati, partigiani renitenti ad assoggettarsi alle direttive jugoslave; per Fiume fu il 3 maggio, per Pola probabilmente fu il 18 agosto 1946 la data segnata sul libro delle Parche, quando la strage di Vergarolla, un centinaio di Polesani fatti saltare in aria da un attentato dinamitardo durante una manifestazione sportiva in spiaggia, fece incamminare definitivamente quella popolazione sulla via dell’ esodo, in fila verso il molo Carbon, verso quella nave Toscana, divenuta anch’ essa il simbolo di un mondo ormai perduto. Più a sud, lungo la sfolgorante costa dalmata, languidamente adagiata tra il grigio dei monti Velebit, il blu del mare profondo, il verde degli ulivi delle isole prospicienti, aveva dormito per secoli Zara, al confine tra il mondo liburnico e quello illirico, ; Zara ambita dai coloni greci, Zara – Diadora, Zara nata “ per dono del mare”; Zara – Iadera, Zara che “ iam erat”, quando la conobbero e la colonizzarono i Romani; Zara talora riottosa e pugnace nel difendere le sue libertà comunali, Zara punita durante la IV Crociata, “ Iadra ad caedem”; Zara definitivamente veneziana dopo l’ atto di dedizione del 1409, Zara dei campielli e delle calli, dei Leoni di S. Marco. E sotto l’Impero Asburgico, Zara autonomista, risorgimentale e irredentista, Zara che accoglie inginocchiata lungo la “ Riva Vecia” l’ arrivo del tricolore alla fine della prima guerra mondiale, che finalmente la ricongiungerà all’ Italia. Italiana sì, ma solo un’enclave territoriale, prova vivente della “ vittoria mutilata”, circondata alle spalle e nelle isole che la fronteggiano dal neonato Regno dei Serbi, Sloveni e Croati e forse per questo più tenacemente legata alla madrepatria, isola d’italianità, proiettata con lo sguardo al di là del mare. Zara italiana, veneta e ” zaratina” nella sua tipicità per vent’anni felici, fino al 1941: Zara prima vittima di una guerra sbagliata, di errori e orrori di cui certo non furono responsabili unicamente i suoi abitanti né i “fradei” fiumani e istriani, anche se solo a loro fra tutti gli italiani fu imposto il tributo più infame per ripagare il nemico aggredito, cioè la perdita della propria terra. 2 novembre 1943: questa la data d’inizio dell’ agonia di Zara, prima del calvario di Trieste, prima della condanna a morte di Fiume e Pola: la piccola enclave, con i suoi circa 20000 abitanti, doveva scomparire dalla carta geografica, perché era una spina nel fianco. “ Vennero dal Cielo”, recita il titolo di un’opera fondamentale, scritta da Oddone Talpo, insuperabile storico della Dalmazia del II Novecento, e da Sergio Brcic, studioso ed eccellente fotografo, e sembrerebbe l’ inizio di una favola bella, quella di “ C’era una volta Zara”, se non fosse che a venire dal cielo non furono angeli o messi divini, ma 600 tonnellate di bombe scaricate sulla città in 54 bombardamenti aerei alleati, che la distrussero per l’ 85%, causarono la morte di oltre 2000 cittadini, indussero all’ esodo, il primo del confine orientale, il 95% della popolazione. Iniziò tutto il 2 novembre 1943, data di cui ricorre il settantesimo anniversario. Era il Giorno dei Morti e fin dalla mattina decine di quadrimotori sorvolarono la città, finché alla sera otto aerei Boston lanciarono più di 5 tonnellate di bombe, colpendo anche un rifugio pieno di persone che vi persero la vita: 163 i morti alla fine del primo attacco. E poi fu tutto un susseguirsi di orrori, come il bombardamento di domenica 28 novembre, all’ora della “ Messa Granda” che sganciò quasi 30 tonnellate di bombe: colpite, tra l’altro, le giostre dei bambini. Sul muraglione di sostegno del Parco Regina Margherita e sugli alberi brandelli di corpi. D’ora in poi è tutto un elenco di date, di dati statistici di edifici colpiti: l’ospedale, la colonia, le fabbriche, un traghetto carico di passeggeri, natanti, la Centrale Elettrica, case private, in un tessuto urbano fatto di strette calli che rendeva pressoché impossibile il recupero dei corpi e la rimozione delle macerie. Andò avanti così per un anno, suggellando l’ ecatombe con l’ affondamento del piccolo piroscafo “ Sansego”, che aveva portato in salvo a Trieste migliaia di sfollati. Il 31 ottobre, ormai del 1944, il sacrificio di Zara era stato consumato: il tenente dei Carabinieri Terranova salì ad issare sul campanile del Duomo di S. Anastasia l’ ultimo tricolore e i partigiani di Tito, senza colpo ferire, dato che i tedeschi si erano già ritirati, entrarono in una città rasa al suolo e svuotata, ma non tanto da non colpire con esecuzioni sommarie centinaia di cittadini e militari italiani, fucilati lungo il muro del cimitero o annegati con una pietra al collo nel “ canal”, il braccio di mare che separa Zara dalle isole antistanti. “ Perché” è una delle domande fondamentali che si pone la storia. Perché Zara fu colpita così radicalmente, perché fu “ coventrizzata”, trasformata nella Dresda dell’Adriatico? Da archivi americani e inglesi e solo parzialmente jugoslavi, risulta che i partigiani di Tito chiesero agli alleati di eliminare Zara per la sua posizione strategica lungo la costa e per tagliare il sistema tedesco di comunicazioni, ma proprio fonti alleate dichiarano che la città non era un obiettivo militare, perché praticamente priva di contraerea- di fatto non un solo bombardiere fu abbattuto-, inoltre il piccolo porto commerciale della città non era in grado di rifornire le 22 Divisioni tedesche, impegnate ormai in Bosnia. Zara era priva di collegamenti ferroviari e stradali, disponeva di soli 2000 m. di piste aeroportuali, non vantava industrie di rilievo né depositi di materiale bellico. E’ dimostrato invece che la Balkan Air Force costituita dagli alleati si atteneva alle indicazioni su presunti obiettivi strategici fornite dai partigiani di Tito, che di fatto ringraziarono la RAF per aver compiuto le operazioni da loro richieste in Jugoslavia. Novembre 1944: il poeta- vate Vladimir Nazor, già sostenitore di Pavelic, quindi di Tito, dalla Torre dell’Orologio in Piazza dei Signori a Zara dichiara: - Spazzeremo dal nostro territorio le pietre della torre nemica distrutta e le getteremo nel mare profondo dell’oblio. Al posto di Zara distrutta sorgerà una nuova” Zadar” che sarà la nostra vedetta nell’Adriatico”. Il disegno di Tito viene così palesato e la verità si rivela solo politica. C’era una volta Zara, quella che i nostri genitori sono stati costretti ad abbandonare, quella che le nuove generazioni conoscono solo dai loro racconti. Lo spirito europeistico, il superamento del “ secolo breve” ci fanno guardare avanti, come è giusto che sia. Il ricordo, solo lui, ci impone di guardare ancora indietro, di non dimenticare cosa avvenne il 2 novembre di settant’anni fa, anche quando come turisti arriviamo dal mare in vista di quella città sorgente dalle acque blu, fata morgana sognante di un tempo che fu, Zara.