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Franco Fornasaro

Franco Fornasaro

Alchimie da 150 esimo dell’Unità d’Italia

Autore: Rossana Turcinovich Giuricin

S’intitola “I Farmacisti della Venezia Giulia dal 1860 al 1918. Primi elementi conoscitivi”. L’autore del saggio è Franco Fornasaro, farmacista di Cividale, nato a Trieste da famiglia piranese, innamorato e profondo conoscitore di cose istriane, anima di tanti progetti di contatto tra FVG, l’Istria e Fiume. Lo studio è finalizzato alla partecipazione ad un convegno, che avrà luogo a Torino sabato 9 aprile con lo scopo di “rendere omaggio ai colleghi di un territorio che avrebbe raggiunto l’unificazione con il Regno d’Italia, appena al termine della I Guerra Mondiale, nel 1918”. Colpisce la “specialità” dell’approccio ad una ricorrenza, il 150.esimo, che si potrebbe immaginare di stampo prettamente storico-politico. Invece… “Bisogna sapere – afferma Franco Fornasaro – che fino a quel momento la Farmacopea di riferimento era stata quella austriaca, scritta in latino”. Lei si è formato, su molte preparazioni galenico-magistrali, sotto la guida di un ultraottuagenario, il dr. Gino Benussi, secondo le regole di quest’antica farmacopea…. “Benussi era di origine istriano-rovignese: grande farmacista preparatore, per anni era stato anche direttore della farmacia del “Burlo Garofalo” di Trieste, ospedale infantile d’eccellenza, ancora oggi molto noto non solo in Italia. All’epoca della mia pratica professionale lo affiancava il figlio, il dottor Giulio Benussi (1927-1984)”. Che cosa emerge da questo suo studio, perché diventa importante parlare anche di farmacie nel 150.esimo all’interno di un convegno nazionale dell’Associazione Farmacisti italiani (AISF)? “Per diversi motivi. Partendo da quello storico: nella Venezia Giulia (e nel Trentino, pur con risvolti leggermente diversi) il processo di unificazione a partire dal 1861 non ci sarà; la regione ultima del Nord-Est, l’antica marca carolingia, resterà ancora una volta un territorio originale per molti aspetti, anche politici e storici, multietnico e multireligioso, spesso senza pace.  Venezia Giulia è un termine coniato nel 1863 dal glottologo israelita goriziano Graziadio Isaia Ascoli a contornare un’entità geografica che partendo dalla catena orientale delle Alpi Giulie e seguendo in parte il corso terminale del fiume Isonzo/Soča si approssima sino all’Adriatico includendo la penisola istriana. E un crogiuolo di genti”. Un calderone facile da portare a livelli alti di ebollizione… “Infatti, elementi di “lettura” degli scontri fra le entità etniche diverse sono, oltre a continui e documentati fenomeni di intolleranza, spesso sfociati in manifestazioni cruente, anche con morti e feriti, con arresti, processi e carcerazioni, tutte le varie iniziative sociali ed economiche che sorgono in quegli anni: scuole, banche, giornali, enti come la Lega Nazionale, da una parte, lo Schillerverein e  la Società di Cirillo e Metodio dall’altra, società che spesso sono avvolte in una nube di dogmatismo e che discuterne l’attività diventava quasi un sacrilegio. Per scongiurare almeno parzialmente alcuni pericoli sempre più percettibili cominciarono nello stesso tempo i municipalismi, soprattutto triestino e fiumano, tendenti ad annacquare il problema interetnico, nella ricerca di creare il mito della città quale “rullo compressore” autonomistico, (processi che dureranno parzialmente per buona parte dell’intero Novecento)”. Quale il ruolo dei farmacisti in questa realtà composita? “Fondamentalmente i due ruoli sono due: ovviamente quello professionale e poi quello sociale ed identitario. Secondo quest’ultimo versante si deve inserire necessariamente, anche per i colleghi, all’epoca sudditi dell’Austria-Ungheria, il concetto di irredentismo, inteso come slavo e italiano, quest’ultimo suddiviso tra l’irredentismo triestino/istriano e quello dalmata, senza tralasciare, infine, per altri colleghi la fedele lealtà alla Duplice Monarchia, in particolare alla matrice culturale germanofona, o a dir si voglia austrofona. Ci sono alcune figure paradigmatiche di farmacisti che hanno sicuramente lasciato un segno indelebile dentro il mosaico di queste considerazioni”.  C’è una lista di nomi  di riferimento? “Certamente, c’è una prima lista, ovviamente incompleta e discutibile, ma che individua, a mio parere, alcuni farmacisti paradigmatici: gli istriani “naturalizzati” triestini Bartolomeo Biasoletto ed Antonio Picciola, il fiumano Giorgio Catti, il dalmata Giambattista Meneghello, i triestini Carlo De Leitenburg e Jacopo Serravallo (di origine cenedese), il goriziano Ludovico Kürner, l’isontino Ruggero del Torre”. Qualche esempio del loro impegno? “Al convegno intendo presentare anche delle curiosità che riguardano alcuni colleghi dell’epoca a testimonianza che anche nell’ambito di un’attività di nicchia  come quella farmaceutica ci sia sempre la possibilità che alcuni professionisti, consolidati nella loro attività quotidiana, si interessino culturalmente anche di “altro”. In particolare  questo ragionamento vale per gli istriani Giovanni Angelini e Giovanni Augusto Wasserman, ancora per Jacopo Serravallo e, infine, per il goriziano/isontino Vincenzo Zandonati. Giovanni Angelini, professionista molto benvoluto, bravo e operoso, nel 1858 venne nominato dalla Società Triestina, rappresentante per Rovigno del Comitato contro il maltrattamento delle bestie, fondato a Trieste nel 1852. Successivamente fu anche insignito, da parte dell’arciduca Alberto, della medaglia d’oro per l’attività svolta. Insomma, oggi, sarebbe ulteriormente benemerito da parte di qualcuno degli innumerevoli enti che si occupano della protezione degli animali. Giovanni Augusto Wasserman, anche scrittore e poeta dialettale, curò a Pola il giornale bilingue “Pola”, mettendo in evidenza una concezione liberale della società del tempo, ancorata, però, allo establishment della cultura cosmopolitica dell’Impero austriaco. Vincenzo Zandonati, farmacista archeologo di fama, autore di una guida, anche in edizione tascabile, molto nota per tutta la seconda metà dell’Ottocento, denominata appunto Guida storica dell’antica Aquileja  (edita nel 1849 per i tipi della Tipografia Seitz di Gorizia), dove si evidenzia sia la sua conoscenza dell’epigrafia latina e sia la sua eccezionale erudizione. Ebbe un ruolo importante per le origini delle collezioni lapidarie tergestine ed aquileiesi ed ancora oggi presso l’Orto Lapidario della grande città adriatica sono riconoscibili i suoi materiali lapidei donati generosamente in testamento a favore della causa dell’italianità. Raimondo De Santi, irredentista di origine dalmatica, ma istriano di adozione, che diventerà in seguito a Zara, dopo la fine della I Guerra Mondiale,  anche giornalista e redattore dei giornali “Il Risorgimento” ed “Il Corriere di Zara”. Questi solo alcuni spunti del lavoro di Franco Fornasaro, preciso e ricco di dati storici, riferimenti a documenti e ad una ricca bibliografia per giungere a delle conclusioni di grande interesse.  “Da tutto ciò emerge come anche tra i farmacisti giuliani fosse ben presente il problema dei rapporti tra l’Italia e l’Austria-Ungheria, le connessioni legate all’appartenenza etnica, le vicende di un’area assai composita e percorsa già in parte dai nuovi fremiti nazionalistici. In definitiva una Mittel-Europa che mostrava, anche nel momento di maggior fulgore apparente, delle crepe considerevoli, nonostante l’effervescenza economica e culturale di un’area, che era interessata pure da presenze di eccellenza come personalità del calibro di Musil, di Svevo, di Freud, di Joice, di Rilke, ma anche di Kugy e di Ciamician. Seguita, però, non sempre da un’atmosfera più propizia e serena; anzi, fra breve si daranno fiato agli “ismi” del XX secolo e per quest’area multietnica i guai continueranno in un senso e nell’altro, senza alcuna possibilità di commistione linguistica e culturale e dove la sopraffazione reciproca sarà il motivo etnico dominante di quasi tutto il Novecento Adriatico (almeno fino alla caduta senza guerra del primo dei due confini che interessano la regione giulia): ahimé ne faranno le spese, fra i tanti, anche dei colleghi, ad esempio, ben presto lo sloveno Hugo Roblek e, dopo la fine della II Guerra Mondiale, il capodistriano Ghino De Favento”.