Autore: On. Lucio Toth (Vicepresidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati)
Il caso sollevato sulla stampa circa il conferimento dell’onorificenza prevista dalla Legge n. 92 del 2004 (Giorno del Ricordo delle Foibe e dell’Esodo giuliano-dalmata) discende semplicemente dall’ignoranza dello spirito e della lettera della legge, alla luce anche dei lavori parlamentari ai quali ho personalmente collaborato. Durante la discussione nelle commissioni parlamentari competenti circa l’estensione dell’onorificenza si pose il problema di escludere quanti avessero commesso “crimini di guerra” accertati dai tribunali italiani, che come si sa operarono da subito dopo la Liberazione del 1945. Si ritenne quindi, anche dai parlamentari del PD, che non potessero escludersi a priori i combattenti della RSI per il solo fatto di essere tali. L’esclusione di chi “avesse combattuto contro l’Italia” voleva invece evitare che dell’onorificenza potessero fregiarsi cittadini italiani arruolati nelle forze armate del III Reich, come purtroppo ve ne erano provenienti da tutte le regioni italiane. Affermare che i militari dei reparti della RSI che combatterono sul confine orientale contro formazioni straniere, quali erano quelle iugoslave, proprio al fine di difendere quel confine del territorio nazionale definito, dopo la Grande Guerra, dal trattato italo-iugoslavo di Rapallo del 1920, avessero combattuto “contro l’Italia” apparve alla coscienza politica e morale della stragrande maggioranza del nostro Parlamento come un criterio iniquo e discriminatorio, contrario ad ogni principio di solidarietà umana e di riconciliazione nazionale. Il conferimento dell’onorificenza ai parenti del singolo militare, caduto non in combattimento, ma ucciso dopo la cattura - in violazione delle norme elementari del diritto internazionale di guerra - non significava affatto riconoscere legittimità alla sedicente Repubblica Sociale Italiana, ma riconoscere semplicemente il sacrificio di una persona che aveva perso la vita nelle stragi di cittadini italiani, comunque collegate alla illegittima invasione del territorio metropolitano italiano da parte dei partigiani di Tito, al di là dei confini della Iugoslavia del 1940. Si sono così rispettati rigorosamente i principi del diritto e della legalità internazionali, come si confà ad un Paese civile, quale riteniamo essere la nostra Repubblica. Il fatto che alcune di queste persone (sotto le due cifre) possano figurare nelle “liste dei criminali di guerra fascisti” indicati dai libelli della propaganda della Iugoslavia comunista (regime non certo rispettoso dei diritti umani) non è stato ritenuto dirimente dalla Commissione esaminatrice, dato il carattere faziosamente politico di tali liste, alle quali non è mai stata data alcuna rilevanza giuridica nelle sedi internazionali. Se poi questa propaganda straniera di un regime defunto debba valere di più delle sentenze dei tribunali italiani emesse dopo la Liberazione o delle libere decisioni del nostro Parlamento democratico, lo lascio al giudizio onesto e sereno di qualsiasi italiano, che si senta parte della nazione e riconosca il sacrificio di chi per questa patria ha dato la vita, anche se si trovava dalla parte “sbagliata” della storia. Una cosa è il giudizio storico sulla dittatura fascista e sui danni irreparabili che ha recato al nostro Paese, altro è disprezzare le persone che in contingenze difficili hanno comunque perso la vita nella convinzione di servire il proprio Paese. Si ricordi che il 90% delle vittime delle Foibe e del Gulag iugoslavo erano civili delle province italiane invase dall’esercito partigiano iugoslavo (Pola, Zara. Fiume, Gorizia e Trieste), compresi partigiani di nazionalità italiana, comunisti e non comunisti, resistenti antifascisti e membri dei Comitati di Liberazione Nazionale di quei territori che, ritenendo esorbitanti le pretese annessioniste iugoslave (fino alla pianura friulana), speravano in un’equa definizione dei nuovi confini, conforme ai principi dell’autodeterminazione, secondo gli stessi accordi intervenuti fra Tito e gli Alleati prima della fine delle ostilità. Questa premessa di carattere generale, morale, giuridico e politico, nulla toglie ovviamente alla discrezionalità delle decisioni degli organi preposti al conferimento delle onorificenze, sulla base della documentazione ad essi pervenuta.