Autore: Rosanna Turcinovich Giuricin
Il passato alle porte, potrebbe sembrare una contraddizione, in effetti nasconde una grande verità. Ne ragioniamo con Ulderico Bernardi, Premio Tommaseo al recente Raduno dei Dalmati Italiani nel Mondo, professore alla Ca’ Foscari di Venezia, profondo conoscitore delle vicende di quel Golfo di Venezia che oggi torna a comprendere tutte le Terre da Mar in un’unica realtà che va eliminando le frontiere. L’allargamento dell’UE apre nuovi scenari, già per altro prospettati ed immaginati nel passato. Il premio Tommaseo per tanto impone una riflessione in questo senso… “Non c’è personaggio più attuale di Niccolò Tommaseo che è stato spesso travisato nel suo pensiero o meglio, si è posta in primo piano quella che è la sua dimensione filologica, letteraria e così via, tanto da scordare il Tommaseo del pensiero politico, immerso com’era in una società plurietnica”. Travisata anche la sua scrittura in altra lingua? “Infatti, ha scritto Iskrice, le Scintille, nella lingua della madre proprio per significare il suo rispetto per la lingua croata. Ed è lo stesso autore che ha scritto Del Presente e dell’Avvenire, parole che tornano di estrema attualità soprattutto per quanto riguarda le dinamiche fra italiani di queste terre”. Come veneto come ha vissuto il rapporto con l’Adriatico Orientale? “E’ un dovere sentire profondamente questo legame. Talvolta faccio l’esempio di chi ha perso una gamba e continua a percepirla come se ci fosse ancora perché è parte inscindibile del corpo, così la considera il cervello, motore del tutto. E la Dalmazia con la Venezia Giulia sono parte del Veneto da duemila anni”. Come è iniziata la sua esplorazione di queste tematiche? “Dal mondo universitario che mi ha permesso di conoscere personaggi di spicco. Ricordo, per fare un esempio per tutti, Grytzko Mascioni, già direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Zagabria e poi del Centro Italiano di Ragusa con il quale abbiamo realizzato molti convegni. E poi la collaborazione col Console di Spalato Marco Nobili che ha dimostrato, con tutti gli altri, quanto sia importante il ruolo del Consolato in Dalmazia. Il mio affetto, per tanto, va a tutte queste città e genti ma va soprattutto a un maestro straordinario del pensiero, che mi ha insegnato e continua ad insegnarmi molto, ed è Niccolò Tommaseo”. In che cosa consiste la sua attualità? “Tommaseo, con i suoi occhi ciechi, aveva uno sguardo profondissimo nell’avvenire. E almeno due, delle oltre quattrocento opere pubblicate fra opuscoli e libri, contengono indispensabili riflessioni per capire la società che stiamo vivendo. Una società in cui è richiesto un approfondimento più tenace delle radici d’appartenenza per permettere lo scambio tra culture in una mobilità contemporanea indotta dai processi di globalizzazione. Ecco perché dobbiamo capire che la lettura della Dalmazia e della Venezia Giulia contemporanee, non può che passare attraverso la rivalutazione della Dalmazia storica, come una delle trecentotrenta regioni europee fra l’Atlantico e gli Urali. Con il suo ruolo esemplare per essere stata fecondata dai rapporti di più culture partendo dall’Impero romano, passando per la civiltà di Venezia e poi attraverso tutte le vicende tragiche ma anche esaltanti che l’hanno coinvolta negli ultimi secoli. Ora, proprio il Tommaseo ci ricordava in Iskrice-Scintille che le lingue umane sono lire che insieme suonano e mandano al cielo la voce dei popoli desideranti alla patria sovrana. Questo naturalmente lo faceva con molta lucidità, sapeva benissimo delle difficoltà per riuscire a far convivere popoli che avevano riferimenti diversi, sollecitava a diverse azioni anche minime per tenere accesa la civiltà multipla”. E’ possibile? “Rispondo citando Elia: Non dai terremoti e dalle scosse si sente la presenza divina, ma dal vento leggero. E lui scriveva in Iskrice quel che vien presto, presto va, non la pioggia con scrosci aiuta il germe nascosto ma quando leggera e soave viene, meglio penetra nelle viscere della gran madre vostra”. Come considera in questo contesto, l’inaugurazione dell’asilo di Zara? “In quelle azioni costanti e senza trionfalismi dell’asilo di Zara c’è la nuova scintilla che ravviva la fiamma nascosta che, pur essendo stata negata, continua a permanere nelle piccole comunità di Zara e di Spalato. Nella continuità si rivela il motto raguseo di Libertas, evocando l’eco storica dello spirito tenace di una nazione dalmatica che Tommaseo ancora una volta descrive con queste parole: semplice razza e dignitosa, pacifica e veemente nelle forme corporee manifesta lo spirito suo. Candida ed elegante nel vigore, agile nella muscolosità e sopracciglio austero, mansueto il sorriso che sembra poi il ritratto del santo che la chiesa onora il 30 settembre, un altro grande dalmata che è San Girolamo del Miserere. Su quel dottissimo dottore della chiesa che per la prima volta ha tradotto in latino il Vecchio e Nuovo testamento e che chi di voi è stato in Terrasanta avrà senz’altro onorato a Betlemme dove ha voluto concludere i suoi giorni. Venezia, ha avuto gran parte in questa civiltà dalmata, nella sua lotta contro il Turco, che non era una lotta contro lo straniero ma era colui che veniva da fuori”. Che cosa cercava di “salvare” Venezia? “Venezia combatteva nel Turco il fatalismo dell’Islam, dell’abbandono. Perché negava la visione tenace e radicata della sua missione storica, quella che seppe mantenere anche nel momento più tragico della sua conclusione disonorevole, difesa tra l’altro solo dagli schiavoni. Cito spesso una poesia di Dall’Ongaro, mio concittadino che ben sottolinea questo momento: basta riferirsi al titolo Se xe andai i anei non xe andai i dei. A significare che si può perdere la ricchezza ma non la capacità di costruire. In questa tenacia e continuità ovviamente c’è soprattutto la fermezza di quel nucleo di valori essenziali racchiusi nel cattolicesimo fermo e roccioso di Tommaseo, il quale certamente a tutti perdona: a chi tanto male ha fatto ai suoi concittadini, anche a chi ha voluto infrangere la lapide che lo ricordava sulla sua casa natale, anche a chi ha fatto saltare con la dinamite il suo gran monumento a Sebenico, anche chi non lo ha ricordato nel duecentesimo dalla nascita. Ma egli ci chiede anche di non dimenticare perché nella dimenticanza si perde la libertà e la nazione, perché il senso della nazione non è che memoria. Guai a dimenticare, perché la comunità non può vivere di odio, solo l’amore può far continuare ciò che siamo. Senza dimenticare i morti, senza scordare i presenti e soprattutto lasciando un’eredità di gloria a coloro che verranno. Specialmente avendo avuto l’onore di nascere, o di aver una continuità nell’azione, con quelle nazioni che hanno avuto il destino di essere come un ponte – diceva Tommaseo -. E’ tale è l’Istria fra Italia e Slavia. E tale è tutta quella costa del mare Adriatico che con meno di mezzo milione di abitanti è destinata a operare grandi cose. Se la paurosa tracotanza di quei che governano non gliene proibisce”. Aveva visto giusto… “Ahimé, aveva visto giusto nell’avvenire, anche in questa paurosa tracotanza di quella che lui chiama lo spoliticare contemporaneo, che oggi suona sinistramente vero. Questo per dire quanto sia importante il pensiero di quest’uomo grande al quale tutti noi veneti di Dalmazia, veneti del mondo, dobbiamo moltissimo.