Autore: Lucio Toth
Un Oscar restituito” Così definiscono i giornali di questi giorni la sentenza che riconosce al cantautore istriano Sergio Endrigo la paternità della colonna sonora vincitrice dell’Oscar del 1996 nel film “Il postino” di Michael Radford, tratto dall’opera di Pablo Neruda, riconosciuto come un capolavoro della cinematografia italiana. Ma ci vogliono le sentenze giudiziarie per riportare sui network, sui giornali, sugli schermi il volto e la voce di uno dei cantautori che hanno segnato la storia dei più bei decenni della canzone italiana? Endrigo non era solo il cantore della disillusione del vivere, segno della cultura occidentale del Novecento (“Se le cose stanno così… tra noi più niente da dire…) e dell’amore che altro non chiede che quello che un amore può dare (“Teresa, quando ti ho dato il primo bacio…sulla bocca…Teresa, non devo perdonarti niente, proprio niente… mi basta quello che mi dai…”) Non è quel poco di amore e di aspra e amara felicità che noi proviamo quando torniamo a guardare il sole dalle rive di Pola, di Lussino, di Rovigno, di Zara? Endrigo ha cantato anche la voglia di avvenire dei bambini: “Per fare un albero ci vuole un fiore…” Da quest’anno la canteranno, seduti in cerchio nel giardinetto della scuola, anche i bambini del nuovo asilo italiano di Zara! “E se ritorno, ritorno col fiore. Evviva l’amore, la libertà!” Ma Sergio ha insegnato a tutti noi esuli come anche la nostalgia per le cose perdute, o mai avute, sia un invito a guardare avanti e spingere lontani i fantasmi della violenza, dell’indifferenza, dell’odio. La nota dell’Esodo è dominante nella sua poesia. Perché “Partirà, la nave partirà…Dove arriverà? Questo non si sa…” non ci ricorda il “Toscana” che salpa da Pola? E la nostra gente sparsa in tutti i continenti dall’ondata dell’Esodo? Fino al poco noto “1947”. “Come vorrei essere un albero che sa dove nasce e dove morirà.” Neanche noi abbiamo più ritrovato la “strada fiorita della gioventù”. Ma in tutte le sue canzoni la presenza del mare, che risospinge verso la riva ricordi, desideri e illusioni, è sempre dominante: “Sassi, che il mare ha consumato sono le mie parole d’amore per te…” Come non riconoscere in quei “sassi” i cògoli che, nell’acqua limpida delle nostre baie, i nostri piedi di bambini hanno calpestato? E in quelle parole l’eco lontana del nostro rimprovero a una madrepatria che non ci ha ascoltato? “Né mai più toccherò le sacre sponde, ove il mio corpo fanciulletto giacque…” Ci aveva lasciato un secolo prima il nostro conterraneo greco-dalmata, Ugo Foscolo, a testimonianza di una sete di ritorno, che nessuna fonte può estinguere. “Dove tornar?” Si chiederà Fulvio Tomizza. Ma forse la canzone più evocativa è quella sui versi di Rafael Alberti: “S’equivocò la paloma, se equivocaba… / Creyò che el mar era el cielo / que la noche la mañana....” Racchiude un inquietante interrogativo esistenziale e anche politico. Quanti di noi, uomini del Novecento, abbiamo scambiato il mare per il cielo e la notte per la mattina, come la colomba di Alberti e di Endrigo? Da Guadalajara a Goli Otok. Se una motivazione psicologica, con una qualche razionalità, si può ricercare in questo oblio dei nostri media, e della RAI in particolare, per un giovane uomo che tanto ha dato al “bel canto” della nostra Italia, lo si può trovare in due ragioni, amaramente concorrenti. A differenza di altri cantautori italiani Endrigo non ha un sufficiente “territorio” di appartenenza, una sua gente che ne coltivi il ricordo. Solo gli esuli istriani, fiumani e dalmati e i connazionali rimasti nelle nostre terre di origine. Che cos’è l’Istria per la stragrande maggioranza degli italiani? Anche se vi sono nati Alida Valli e Gandusio o le sorelle Grammatica, o sportivi che hanno portato alto il tricolore su tutti i podi del mondo (Nino Benvenuti, Irene Camber, Abdon Pamich, ecc.)? E musicisti come Uto Ughi? O una Lidia Bastianich, che ha imposto la cucina italiana nei ristoranti degli States, lei istriana e “profuga”? Niente. E la Dalmazia? Solo un paese di vacanze distratte a Trogir o a Dubrovnik. Dimenticando che vi sono nati uomini e donne come Ottavio Missoni e Mila Scőn, che hanno portato il Made in Italy sulle passerelle di tutti continenti, ricordando le loro Traù e le loro Raguse che nessuno chiama più così. La seconda ragione è ancora più amara e lacerante, Endrigo era un uomo “di sinistra”. Frequentava le Feste dell’Unita. Ohibò! E allora noi esuli, che di sinistra in genere non eravamo, non ce lo tenevamo caro, come un figlio della nostra terra, Ci equivocavamo anche noi, perché anche Alberti e Neruda erano di sinistra. Dimenticando che la poesia e la musica non hanno confini ideologici. Sono la voce dell’anima, che si chiamino D’Annunzio o Garcia Lorca, Drieu La Rochelle o Cesare Pavese.