Trieste Adriatica
Autore: Stelio Spadaro
Ritengo opportuno intervenire sulla polemica riguardante la Presidenza dell’I.R.C.I. (Istituto Regionale per la Cultura Istriana Fiumana e Dalmata), mi pare utile chiarire i termini della disputa. Non si è trattato di baruffe fra istriani, né di un episodio di attacco, in qualche passaggio esagerato, nei miei confronti. E qualcuno ha anche sbagliato dati e date, anticipando in modo significativo il mio anno di nascita, per cui falsamente risulterei coinvolto nelle vicende dell’immediato dopoguerra giuliano. Se si trattasse solo di questo, sarebbe una piccolezza irrilevante, ma in realtà c’è una sostanza che riguarda l’oggi, e non il passato remoto. Riguarda l’identità adriatica, triestina e giuliana, e il ruolo che l’I.R.C.I. può avere per valorizzare in essa la componente della cultura istriana, fiumana e dalmata di lingua italiana, come un “segno” essenziale nella fisionomia di queste regioni e come capitolo del patrimonio culturale civile nazionale. E riguarda direttamente Trieste. Il problema centrale, dunque, è se l'I.R.C.I., il suo presidente, chiunque esso sia, saranno in grado di affrontare questo compito, il che non è affatto irrilevante. Senza la dimensione adriatica l’immagine di Trieste risulta monca, deformata, un “non luogo”, un residuo marginale della storia, come lo pensa il leghista friulanista Pietro Fontatini, magari contento che qui qualcuno insegua i miti di una immaginaria “mitteleuropa” fuori stagione o si rassegni a sentire risuonare il vociare, scomposto e innocuo, di qualche estrema destra che vuole ancora tenere divisa la città. Il lavoro dell’I.R.C.I., dunque, ci riguarda, riguarda l’identità di Trieste: non bordo di regioni alpine (secondo le tesi di Calderoli), ma città adriatica, della modernità e del lavoro, la città del mare, centro di una vasta area di relazioni, di scambi, di connessioni familiari, umane, professionali che hanno dato l’impronta alle genti dell’Adriatico orientale. Senza tener conto di questi legami risulta incomprensibile e impoverita di risorse tutta la regione. Si pensi all’apporto civile e professionale dato – prima e dopo l’esodo - alla fisionomia di Trieste dagli istriani e dai dalmati di lingua italiana, e fra loro in particolare dai lussignani che hanno da sempre considerato la nostra città come naturale loro punto di riferimento, come seconda casa. La cultura tecnologica e scientifica giuliana devono molto al contributo delle genti adriatiche, penso, ad esempio, a quello che ha dato a Trieste il lussignano Paolo Budinich. Una grande storia di esperienze intellettuali, di lavoro è, dunque, quella degli italiani dell’Adriatico orientale, una grande civiltà che il fascismo ha deformato e ridotto e che il comunismo jugoslavo e il nazionalismo croato e sloveno hanno preteso, con un opera di decenni di rimuovere con la violenza o di ridurre al minimo. Ricordare, pensare al rilancio dell'identità degli italiani dell'Adriatico orientale, non significa nostalgia di una passata grandezza, ma pensare al futuro. Marta Dassù, in un recente articolo, sottolineava le novità, impegnative, che si offrono all’Italia e alla sua politica estera con l’allargamento ai Balcani occidentali dell’Unione Europea, lungo il bacino che fa riferimento l’Adriatico. Si aprono opportunità e possibilità di un ruolo attivo rilevante e specifico per il Friuli Venezia Giulia. In questo quadro va collocata la funzione regionale e nazionale di Trieste, capoluogo – a ragion veduta – del Friuli Venezia Giulia, con una consapevole volontà di futuro e con la memoria del ‘900. Ruolo di un Istituto come l’I.R.C.I. è proprio quello di valorizzare la cultura istriana, fiumana e dalmata di lingua italiana, in un Adriatico plurale ed europeo finalmente con comuni Istituzioni democratiche.