Proseguendo verso sud, si arriva a Cittanova la romana Civitas Nova, altro borgo pieno di storia trasformatosi in un centro turistico grazie alle belle spiagge del circondario. L’abitato si allunga sul mare. Vi sono conservati tratti merlati delle mura difensive alte anche dieci metri con torri, spalti e due speroni del XIII secolo. Cittanova – la romana Emonia – era uno dei municipi istriani. Nel VI secolo viene citata con il nome di Neapolis da cui l’odierno toponimo.Nel medioevo fu sottomessa a vari domini feudali prima di affidarsi a Venezia.
Come segno di fedeltà si impegnò a donare ogni anno 400 libbre venete di olio, per illuminare la Basilica di S. Marco e nel 1240 votò la dedizione alla Serenissima. Il suo porto, alle foci del fiume Quieto, servì da scalo per il legname diretto dall’Istria all’Arsenale di Venezia. Fu sede vescovile dal IV secolo al 1831. La Cattedrale, la Collegiata di San Pelagio è tra gli edifici sacri più importanti dell’Istria ed ha conservato le caratteristiche di basilica paleocristiana a tre navate, con l’abside sporgente. Intorno alla cattedrale e nel suburbio esistevano sedici chiese minori visto che nel passato Cittanova era centro ecclesiastico di grande importanza. Oggi si possono visitare la Chiesa della Beata Vergine del Polo e quella di S. Agata. Palazzi importanti sono quelli delle famiglie Urizzi (vicino alla Cattedrale) e Rigo (a nord).
La vita cittadina si concentra attorno al mandracchio, il porticciolo interno, uno dei più suggestivi e meglio riparati dal vento di Bora della costa occidentale istriana.
L’albergo sulle mura parla italiano autoctono.
All’entrata della città, proprio a ridosso dei resti delle antiche mura veneziane, è stato aperto il Cittar, uno dei primi alberghi privati in Istria e uno dei migliori del territorio, che prende il nome dalla famiglia omonima di connazionali rimasti in questa terra dopo le vicende dell’esodo e che danno vita a quella Comunità Italiana di cui si sente la presenza in tutte le cittadine della costa. È un esempio di nuova imprenditoria, nata alla fine degli anni Ottanta, che ha riportato nel pubblico quella cultura autoctona per troppo tempo relegata al mero ambito familiare. Lo si nota nella ristorazione ma anche nelle iniziative di rivitalizzazione della campagna istriana con il ripristino delle colture tradizionali quali l’ulivo e la vite.
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