La complessità del 25 Aprile al confine orientale
La comunità dell’esodo giuliano-dalmata vive in maniera complessa la ricorrenza del 25 Aprile: in quanto festa nazionale che ricorda la fine della dittatura ed il primo passo verso una completa democrazia, si tratta di un momento sicuramente sentito e vissuto con emozione. Come hanno tuttavia ben ricordato il Sindaco di Gorizia Rodolfo Ziberna pochi giorni fa ed il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un intervento tenuto in occasione del Giorno del Ricordo, nella Venezia Giulia, a Fiume e a Zara la fine dell’occupazione straniera non segnò il ritorno della libertà, bensì l’inizio di una nuova occupazione di stampo nazionalcomunista. Mentre il resto d’Italia poteva considerare concluso il conflitto, all’estremo nord-est si scatenava una nuova stagione di stragi nelle foibe, si consumavano processi sommari, venivano compiute deportazioni non solo di ex fascisti ma anche di quanti si opponevano al nascente regime comunista jugoslavo ed alle sue mire espansioniste. I sedicenti tribunali del popolo emettevano le loro condanne basandosi sull’uguaglianza italiano=fascista, ignorando gli sforzi compiuti da migliaia di nostri connazionali contro il nazifascismo.
Lottare per la libertà e per la democrazia in maniera patriottica senza scadere nelle esasperazioni cui il fascismo aveva condotto il concetto di italianità era stato possibile. Negli ultimi decenni di dominazione asburgica l’irredentismo adriatico possedeva un’anima nazionalista che si irrobustiva nelle contrapposizioni fomentate dalla politica austro-ungarica degli opposti nazionalismi all’insegna del divide et impera, così come aveva una componente mazziniana che auspicava l’unione di tutti i popoli oppressi nella lotta per la libertà. Richiamandosi a questa eredità combatterono i partigiani giuliani, la Brigata Osoppo nel Friuli orientale e quei soldati italiani che, sorpresi dagli eventi dell’8 settembre 1943 in territorio jugoslavo, scelsero di lottare a fianco dei partigiani titini contro i tedeschi ed i loro collaborazionisti. Dopo l’armistizio, inoltre, anche giuliani, fiumani e dalmati finirono nei campi di prigionia tedeschi come Internati Militari Italiani, portando avanti una resistenza passiva logorante nel corpo e nello spirito. Il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia ebbe le sue diramazioni pure nelle province del confine orientale, ove centinaia di nostri connazionali combatterono la dittatura, ma dovettero anche misurarsi con la risoluta presenza del movimento partigiano comunista jugoslavo, il quale aveva unito alla lotta di liberazione nazionale propositi rivoluzionari dal punto di vista sociale ed istituzionale, nonché mire espansionistiche nei confronti degli Stati confinanti.
L’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia si riconosce in quei valori che il 25 Aprile intende celebrare, ma proprio per questo non può rinunciare alla verità. Ricordiamo l’eccidio di Porzus e la connivenza con i nuovi invasori da parte di quei gruppi partigiani comunisti che avevano anteposto l’ideologia declinata nella maniera più spietata ed oppressiva rispetto all’appartenenza nazionale. Ricordiamo i partigiani italiani che Tito non impegnò nella liberazione della Venezia Giulia affinché nessuno mettesse in discussione le conquiste compiute dal suo IX Corpus. Ricordiamo il CLN di Trieste che dopo aver avuto la meglio nei confronti dei tedeschi il 30 aprile 1945 il giorno dopo fu esautorato dai nuovi arrivati jugoslavi interessati a occupare più territorio possibile in vista della conferenza di pace mettendo a tacere tutti gli oppositori. Ricordiamo il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Istria attivo nel dopoguerra e che fu liquidato dagli apparati della dittatura comunista jugoslava. Ricordiamo i partigiani che reduci dai campi di concentramento nazisti sperimentarono l’oppressione titoista.
Il 25 Aprile non celebra una vittoria, poiché le mutilazioni territoriali sancite il 10 febbraio 1947 e la catastrofe dell’esodo adriatico dimostrano che l’Italia fu considerata alla stregua di un perdente, bensì la riconquista della libertà, ma allora è necessario specificare che quella libertà non arrivò per tutti gli italiani e che ci furono partigiani che combatterono per instaurare una nuova dittatura liberticida di ispirazione comunista.
Renzo Codarin
Presidente Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia