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La Croazia in Schengen

Il 1° gennaio 2023 la Croazia farà ufficialmente il suo ingresso nell’area Schengen (oltreché nella zona euro). Quel giorno la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sarà a Zagabria per festeggiare, assieme al Primo ministro croato Andrej Plenković, una giornata storica per il più giovane stato membro dell’Unione europea, che diventerà così membro a pieno titolo del più esclusivo tra i club europei, quello dei 15 paesi che hanno aderito all’Ue, alla Nato, a Schengen e all’euro.

Nelle scorse settimane, Plenković ha ripetuto a più riprese quanto importante sia questo traguardo per il suo governo e quanto “duro lavoro” sia stato necessario per arrivarci. Le organizzazioni umanitarie croate che si occupano di immigrazione hanno invece accolto la notizia di Schengen con riprovazione. Zagabria ha ricevuto “un premio” per “sei anni di violazioni dei diritti umani”, scrive il Centro studi sulla pace  (CMS), facendo riferimento al comportamento della polizia croata ai confini esterni del paese.

L’ingresso della Croazia in Schengen renderà la frontiera meridionale e orientale della giovane repubblica il nuovo limes dell’area di libera circolazione. Tra le montagne della Lika, la polizia croata si appresta a sorvegliare con zelo il confine, installando telecamere e disboscando lunghi tratti di foreste, mentre le organizzazioni umanitarie temono una nuova impennata di violenze contro i migranti. Dal punto di vista storico, pare quasi che la Frontiera militare che separava gli imperi ottomano e asburgico sia tornata in vita.

40 chilometri di bosco da tagliare

La jeep risale i fianchi della Plješevica sobbalzando tra le buche. La montagna che segna il confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina tra Korenica e Bihać è avvolta nella nebbia. “Questo è il tratto della frontiera esterna croata più difficile da controllare e quello che negli ultimi anni ha subito la pressione migratoria maggiore”, spiega Mladen Matovinović, il capo della polizia di frontiera croata nella contea della Lika e di Segna (Senj). Sotto la sua responsabilità ricadono circa 100 km degli oltre 1.300 che la Croazia condivide con Serbia, Bosnia Erzegovina e Montenegro. Se a est la frontiera corrisponde al Danubio, alla Sava e al fiume Una, qui ci sono solo boschi a perdita d’occhio.

Per controllare questo territorio e impedirne l’attraversamento, Zagabria ha investito molto. Nella stazione di polizia di Korenica, dove lavorano 300 effettivi, Mladen Matovinović ci mostra la sala di controllo, dove arrivano le informazioni catturate da decine di telecamere termiche nascoste tra gli alberi e da quattro grandi telecamere installate su ripetitori telefonici e in grado di riprendere fino a 20 km di distanza. Spesso gli equipaggiamenti moderni di cui dispone la polizia croata sono stati finanziati dall’Unione europea, e per renderli ancora più efficaci sul campo, si è ricorso alla pratica – non proprio moderna – del disboscamento su larga scala.

“Abbiamo fatto tagliare una striscia di bosco lunga 15 km e larga 100 metri e il piano prevede che si rasino altri 25 km”, afferma Mladen Matovinović. L’intervento diventa visibile man mano che ci si avvicina alla cima della Plješevica, a 1.650 metri di altezza. Quei 100 metri di foresta mancante permettono alle telecamere (e quindi agli agenti) di individuare subito chi tenta di attraversare illegalmente il confine. Cosa succede in quel caso? “Le persone vengono rispedite indietro prima che entrino in Croazia”, spiega Mladen Matovinović, secondo cui “nel 99% dei casi basta la vista di una persona in divisa per convincere le persone a tornare indietro”.

«Violazione sistematica dei diritti umani»

Alla sede dell’associazione zagabrese Centro studi sulla pace (CMS), Antonia Pindulić non è dello stesso avviso. “Negli ultimi sei anni, diverse associazioni, istituzioni, persino l’Ombudswoman croata e il Comitato anti-tortura del Consiglio d’Europa hanno denunciato la sistematica violazione dei diritti umani alle frontiere esterne della Croazia”, afferma l’esperta giuridica del CMS. Non solo la vista della divisa, dunque, ma “respingimenti illegali (pushback), violenza fisica, furto di telefoni cellulari e denaro, uso di elettroshock, colpi di pistola sparati vicino alle orecchie o le gambe…” e molto altro emerge dalle testimonianze dei migranti. Si tratta di episodi segnalati a più riprese (su OBCT li abbiamo riassunti qui nel 2020), ma sempre negati dalle autorità croate. A fine 2021, tuttavia, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Croazia nel caso di Madina Hussiny, mentre Lighthouse Reports ha pubblicato un video in cui si vedono chiaramente le violenze dei poliziotti. Insomma, col tempo, le accuse sono diventate sempre più solide. E con l’avvicinarsi poi della scadenza politica legata all’ingresso in Schengen, il comportamento di Zagabria è gradualmente cambiato.

“Nel corso del 2022 le associazioni umanitarie basate in Bosnia Erzegovina hanno registrato meno respingimenti illegali e un minor livello di violenza”, prosegue Antonia Pindulić, mentre la polizia croata ha cominciato a distribuire sempre più spesso dei fogli di via, che danno a migranti e rifugiati sette giorni di tempo per lasciare il territorio della Croazia. Ecco che per la prima volta dal 2015, queste persone possono usare i mezzi pubblici per raggiungere Zagabria e Fiume, prima di proseguire verso la Slovenia e quindi il resto dell’Unione europea. Il timore delle organizzazioni umanitarie è che con l’ingresso in Schengen il 1° gennaio si torni alla violenza e ai respingimenti.

Nuova, vecchia frontiera

Al parco di Lonjsko Polje, al confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina, alcuni čardaci si stagliano nella nebbia a qualche metro dalla Sava che scorre lenta tra i due stati. “Sono le tipiche torri di guardia della Frontiera militare, utilizzate soprattutto a partire dal XVII secolo per creare un cordone sanitario contro la peste”, commenta Alexander Buczynski, ricercatore all’Istituto croato per la storia. Tra inizio Cinquecento e la fine dell’Ottocento, la Militärgrenze separava l’Impero asburgico da quello ottomano. I graničari erano «i contadini-soldati» che abitavano all’interno di questa striscia di terra sottoposta ad amministrazione militare. In caso di guerra con gli Ottomani, tutti gli uomini di età compresa tra i 16 e i 60 anni avevano l’obbligo di battersi per gli Asburgo. In cambio, “godevano di maggiore autonomia, libertà religiosa e ricevevano della terra da coltivare”. Anche l’idea di radere il bosco per monitorare meglio il confine non è nuova. “Negli anni Settanta del 1700, il generale Wenzel Joseph von Colloredo propose, dopo un’ispezione della frontiera militare, di disboscare una parte della Lika per poter controllare meglio il confine. Ma la sua proposta venne rifiutata”, racconta Buczynski. Centocinquanta anni dopo, l’idea è stata accettata.

Le differenze tra la Frontiera militare asburgica e il nuovo confine Schengen sono naturalmente tante. La Bosnia Erzegovina è (da qualche giorno) un paese ufficialmente candidato all’ingresso nell’Unione europea, così come la Serbia e il Montenegro (gli altri stati confinanti con la Croazia) e le persone che tentano di entrare nel territorio croato non sono truppe ottomane, ma persone in fuga da guerre e persecuzioni e che cercano asilo all’interno dell’Unione europea. La supervisione del confine però non è cambiata, alle torri di guardia si sono sostituite le telecamere, ai graničari gli agenti di polizia, il disboscamento è rimasto lo stesso. “Si può assicurare il controllo delle frontiere e il rispetto dei diritti umani”, assicura Terezija Gras, segretaria di Stato agli Interni a Zagabria e una delle artefici della strategia di controllo delle frontiere dal 2017 in poi. Gras è una dei tre candidati alla guida di Frontex, l’agenzia per il controllo delle frontiere esterne dell’Ue. Se dovesse essere nominata, a fine dicembre 2022, “il modello Croazia”, per usare le parole di Gras, verrà ulteriormente premiato e sulla rotta balcanica – la via più usata secondo Frontex  per raggiungere l’Europa (con quasi 140mila attraversamenti nei primi 11 mesi del 2022, contro 93mila per il Mediterraneo centrale) – rischia di esserci una nuova virata restrittiva a partire dal 1° gennaio.

Giovanni Vale
Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso – 23/12/2022