La «Divina Commedia» in veste dialettale a Capodistria
In occasione del Dantedì e della fine dell’anno dantesco, con il quale è stato celebrato il settecentenario della sua morte, la Comunità degli Italiani “Santorio Santorio” di Capodistria ha reso omaggio al Sommo Poeta presentando la traduzione della Divina Commedia, corredata dal commento, in dialetto triestino. L’autore della monumentale opera, Nereo Zeper, dopo aver declamato il canto che racconta la storia del Conte Ugolino, ha ripercorso i quasi 25 anni passati “in compagnia di Dante” per conoscere a fondo il suo messaggio e soprattutto per trovare i termini e la metrica giusta per rendere nel vernacolo triestino le tre cantiche e le storie che esse raccontano.
Un classico in dialetto
A porgere i saluti degli organizzatori è stato il presidente della CI, Mario Steffè, che li ha estesi al deputato al seggio specifico CNI al Parlamento sloveno Felice Žiža, presente in sala. Steffè ha pure rilevato la portata dell’opera di Zeper che, ha rimarcato, rimane un classico anche se traslata in un dialetto che proprio per questo motivo assurge al rango di lingua. Viene avvicinata al grande pubblico per i legami emotivi che suscita, essendo il dialetto la “lingua del cuore”, quella che ci viene insegnata dai nostri genitori, ha rilevato ancora Steffè. A puntualizzare alcuni dettagli della Divina Commedia in triestino è stata Valentina Petaros Jeromela, nota dantista, presidente della Società “Dante Alighieri”- Comitato di Capodistria.
La studiosa si è soffermata sui riferimenti linguistici, di rilievo soprattutto perché la traduzione di Zeper scava nel bagaglio culturale della Trieste di un tempo per trovare le espressioni giuste, usando parole e modi di dire quasi scomparsi, fissando così su carta una parlata antica che si è andata perdendo nel tempo, come un po’ tutti i dialetti, soppiantati da altre lingue. La spiegazione è stata intercalata dalle letture appassionate di Nereo Zeper, per lunghi anni regista della RAI, che si è detto commosso del suo ritorno a Capodistria, città d’origine della famiglia materna, i Deponte.
L’iconografia dantesca
Infine, per completare l’omaggio a Dante, Steffè ha invitato il pubblico a conoscere l’iconografia dantesca, custodita a Palazzo Gravisi Buttorai, sede della CI. In Sala Nobile è stato esposto il busto del Sommo Poeta, che circa 100 anni fa era stato collocato sul Belvedere. Successivamente passò al Ginnasio italiano di Capodistria, che ne è tuttora il proprietario. Negli spazi attigui, che i soci indicano come “Sala Dante”, fa bella mostra di sé da lunghi anni uno splendido ritratto del poeta, con sullo sfondo l’Arena di Pola, opera del pittore capodistriano Bartolomeo Giannelli, prossima al restauro. Si prevede che l’intervento di restauro verrà completato nel 2024, in concomitanza con i 200 anni dalla nascita dell’artista.
Fonte: La Voce del Popolo – 28/02/2022