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Mare

La tutela ambientale transfrontaliera dell’Adriatico

“L’Adriatico è la destinazione finale comune delle acque di tutta la regione, e perciò deve essere salvaguardato con un metodo comune e come bene comune”. Il progetto CrossWater guarda alle due sponde adriatiche e alla gestione sostenibile dei servizi idrici

Una gestione comune, integrata e sostenibile dei servizi idrici a tutto tondo, dall’acqua potabile agli scarichi, per i paesi affacciati sulle due sponde dell’Adriatico.

È questo l’obiettivo del progetto CrossWater  , parte del programma di cooperazione Interreg tra Italia, Albania e Montenegro finanziato dallo strumento di Pre-Adesione dell’Unione Europea con un budget di 5,5 milioni di euro.

Dal lato italiano, CrossWater comprende due regioni: la Puglia, coordinatrice del progetto, e il Molise.

“L’Adriatico è la destinazione finale comune delle acque di tutta la regione, e perciò deve essere salvaguardato con un metodo comune e come bene comune”, spiega l’ingegner Andrea Zotti, project manager di CrossWater per la Regione Puglia.

“È fondamentale prendere coscienza che una gestione unitaria dell’acqua”, continua, “può essere utile tra tutti i paesi che hanno il mare come elemento di divisione ma anche di unione”.

Il progetto è articolato su diversi passaggi. Si è partiti da un’analisi della situazione attuale nei territori coinvolti, con uno studio delle carenze ma anche delle buone pratiche già esistenti.

Per ogni area è stato poi individuato un caso specifico in cui è stato iniziato un progetto pilota. In Albania è stata completata la rete di approvvigionamento dell’abitato di Kasalla, alle porte di Tirana, dove oltre cinquecento famiglie vivevano senza allaccio all’acqua corrente, mentre in Montenegro è stata intrapresa un’azione di monitoraggio, controllo e tutela di Bolje sestre, un’importante sorgente di acqua potabile nelle vicinanze della costa.

Sul lato italiano sono stati invece scelti dei progetti più generali, uno sulla tutela delle risorse idriche e sull’ottimizzazione energetica in Puglia e uno volto a individuare strategie e tecniche per ottimizzare la gestione della rete in Molise.

I risultati sono stati pubblicati in un documento, il Piano Integrato Transfrontaliero, pubblicato alla fine del 2021. L’ultimo passo (iniziato nel 2019, il progetto si concluderà a novembre 2022) sarà un policy paper con le linee guida che dovrebbe aiutare i governanti a far sì che obiettivi e pratiche individuate vengano effettivamente messe in pratica.

“Al netto delle differenze per ogni territorio e situazione”, spiega Zotti, “la futura programmazione si dovrebbe basare su tematiche che dovrebbero essere uguali per tutti: qualità dell’acqua, riduzione dei consumi, razionalizzazione degli utilizzi, gestione della distribuzione contrastando le eventuali perdite, ed eventualmente riuso e riutilizzo delle acque depurate”.

Balcani: tanta acqua, efficienza zero

Nonostante siano ricchissimi di acqua, in Albania e Montenegro l’oro blu è gestito in maniera tutt’altro che ottimale. Secondo gli esperti, i due paesi scontano problemi in parte comuni. Il primo è un’eccessiva frammentazione dei gestori, che spesso non vanno oltre i singoli comuni e le cui possibilità di azione si perdono in labirinti burocratici difficili da districare. La miriade di attori coinvolti impedisce una strategia comune, ostacola i controlli e rende costosi gli investimenti per migliorare le infrastrutture.

L’alta percentuale di acqua non fatturata, cioè non pagata (vuoi perché dispersa direttamente da acquedotti in cattivo stato, vuoi perché mal conteggiata o semplicemente non pagata), porta i conti delle società gestrici perennemente in rosso, innescando un circolo vizioso che peggiora ulteriormente la qualità del servizio.

Il paese con più strada da fare è senza dubbio l’Albania.

Nel paese delle Aquile, si legge nel piano, la qualità dell’acqua è gravemente influenzata dalla mancanza di impianti per il trattamento delle acque reflue e da un sistema igienico-sanitario non adeguato.

Da quando è stata costruita, tra gli anni ’50 e ’60, la rete idrica albanese non è stata rimodernata se non in piccola parte. Alla decadenza fisica si è aggiunta, nel caos degli anni ’90, un’eccessiva frammentazione del servizio, mentre i controlli sono diventati rarissimi. A partire dai primi anni 2000, la Banca Mondiale ha incoraggiato l’ammodernamento delle infrastrutture e riforme sul modello dell’Europa occidentale, passando anche per discusse, parziali privatizzazioni.

Nonostante due decenni di sforzi, comunque, secondo le Nazioni Unite solo il 71% della popolazione ha accesso ad acqua gestita in maniera sicura, e il dato scende di molto nelle aree rurali. Il quadro per le acque di scarico è ancora più desolante, con appena il 13% smaltito correttamente tra fognature e fosse biologiche.

Ricco di poderose sorgenti e torrenti cristallini, il Montenegro dovrebbe partire in netto vantaggio sugli altri territori coinvolti. Il paese, che ha una lunga tradizione di società idriche ispirate alle aziende municipalizzate sullo stile di Austria e Germania, paga invece la gestione “oltremodo frammentaria” dei servizi. Alle infrastrutture non va molto meglio: gli acquedotti sono spesso in cattive condizioni, mentre la rete di impianti di trattamento delle acque reflue deve essere ancora completata. La strategia ufficiale del paese è di usare fanghi di depurazione e fogliame delle acque reflue per produrre compost, ma per ora di concreto c’è poco o nulla.

Puglia e Molise: risultati alterni

Pianeggiante e riarsa, la Puglia dovrebbe essere il più assetato dei territori che si che si affacciano sul basso Adriatico. Eppure la regione vanta uno degli acquedotti più grandi e ambiziosi d’Europa. Costruito un secolo fa, l’Acquedotto Pugliese preleva l’acqua in Campania e in Basilicata per convogliarla in maniera capillare fino alle estreme propaggini del Salento.

Anche dal punto di vista istituzionale la Puglia sembra meglio organizzata, con un’unica società, appartenente totalmente alla Regione, che eroga l’acqua in tutto il territorio come servizio in house.

“L’acqua sul nostro territorio è scarsa”, argomenta Zotti. “Ma abbiamo imparato per tempo a sfruttarla al massimo. In territori come Albania e Montenegro, invece, ce n’è molta ma ci sono problemi di gestione, manutenzione, perdita. È proprio a questo che serve la cooperazione: individuare le best practice utili nella gestione unitaria della risorsa”.

Non che, anche in Puglia, non manchino i margini di miglioramento. Le dimensioni e l’età della rete causano ingenti perdite, mentre sarebbe necessario accelerare la digitalizzazione dell’infrastruttura e il miglioramento delle operazioni di erogazione del servizio.

Al Molise va molto peggio. La regione è ricca d’acqua, ma, come i suoi omologhi balcanici, vede la sua gestione distribuita tra una miriade (centosessantatre) municipalità che vanno ognuna nella propria direzione. Il Molise, scrivono gli esperti, non è ancora riuscito ad adeguarsi ai principi adottati in Italia e in Europa a partire dal 1994, quando è stato introdotto il concetto di servizio idrico integrato. Le acque non riceverebbero l’attenzione e la cura che meritano, a causa dell’insufficienza dei fondi, con effetti pesanti sull’agricoltura e il turismo, le due principali risorse economiche della regione.

Fortunatamente, forse sotto la pressione imposta da svariate procedure d’infrazione aperte dalla Commissione europea, almeno sul fronte del trattamento delle acque reflue i ritardi si stanno a poco a poco colmando.

Una politica comune

Eseguita la diagnosi, gli esperti di CrossWater hanno provato a prescrivere una cura.

Il primo scoglio di affrontare sarebbe la frammentazione dei fornitori di acqua, un problema comune a tutti i territori eccetto la Puglia. In Albania gli oltre trecento enti gestori sono stati recentemente ridotti a cinquantotto, ma potrebbero essere accorpati ancora fino a un livello ottimale di dieci o venti. Il piccolo Montenegro, rendendo obbligatoria l’aggregazione delle municipalizzate, potrebbe ridurle a non più di tre o quattro.

Con società più grandi e coordinate sarebbe possibile ridurre i costi, secondo i principi delle economie di scala, rendendo possibili investimenti che migliorerebbero il servizio e allo stesso tempo la fiducia dei cittadini.

Gli esperti non nascondono che un servizio più efficiente potrebbe portare a un adeguamento delle tariffe, in modo da coprire le spese e rendere possibili gli investimenti tanto in innovazione che nella salvaguardia dell’ambiente.

La prospettiva di alzare le bollette in territori dove il diritto all’acqua potabile non è sempre garantito, però, non è esaltante. “Noi facciamo un modello di gestione efficiente, possibile solo quando c’è un introito capillare che copra i costi di manutenzione, il giusto utilizzo del personale, e così via”, commenta Zotti. “Ma la decisione finale, se si deve pagare meno, è una questione che spetta alla politica”.

Tra i modelli percorribili viene proposta la possibilità di partenariati pubblico – privato sul modello europeo, dove a essere messi a gara sono solo l’affidamento di parte dei servizi, mentre il bene e le infrastrutture rimangono pubbliche. Dove possibile, il gruppo non esclude una gestione diretta, in house, da parte delle società pubbliche.

In ogni caso non si andrà lontano senza una presa di coscienza dei cittadini, indispensabile a ridurre non solo gli sprechi ma anche il consumo complessivo dell’acqua. Su questo, si legge nel documento, siamo ancora molto indietro. In tutti e quattro i territori si riscontrerebbe “sostanzialmente la stessa indifferenza degli utenti finali ai temi relativi alla riduzione dei consumi idrici”.

Per questo tutto il progetto è accompagnato da iniziative di sensibilizzazione e comunicazione. A gennaio CrossWater è entrato in quattro scuole pugliesi, con incontri di formazione per sensibilizzare gli alunni all’uso consapevole dell’acqua, e presto l’iniziativa sbarcherà sull’altra sponda dell’Adriatico.

Un altro aspetto fondamentale, ma spesso sottovalutato, è la gestione delle acque reflue. Se correttamente trattate e riutilizzate, le acque di scarico consentirebbero non solo di ridurre il rischio di inquinamento per mari e fiumi ma di risparmiare acqua di qualità superiore per usi più nobili. Occorrerebbe quindi orientare le normative e gli investimenti tecnologici in questa direzione, oltre che investire, nuovamente in comunicazione. Gli agricoltori infatti, che consumano oltre il 40% dell’acqua disponibile, sarebbero, ancora restii ad accettare l’utilizzo di acque reflue seppure trattate e controllate.

L’acqua, concludono gli esperti, rappresenta un elemento fondamentale per consentire lo sviluppo e il benessere della società, ma la sua gestione è estremamente complessa. Soprattutto in un periodo di rapidi cambiamenti sociali e politici che due paesi in pre-adesione come Montenegro e Albania stanno vivendo. Oltre a quelli, naturali, ovviamente, con il cambiamento climatico che pone sfide nuove, che non è pensabile affrontare da soli.

Al di là degli interventi specifici di ogni territorio, si legge nel Piano, il coordinamento e il continuo scambio di esperienze fra i partner, sono indispensabili, in un contesto di un supporto continuo e reciproco.

Terminato il lavoro degli esperti, la parola passerà ai governanti. Se la società civile si farà sentire, le possibilità che diano all’Adriatico un piano comune per la più preziosa tra le risorse aumenteranno.

Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto “Work4Future” cofinanziato dall’Unione europea (UE). L’Ue non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto. La responsabilità sui contenuti è unicamente di OBC Transeuropa. Vai alla pagina “Work4Future

 Marco Ranocchiari
Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa – 21/02/2022

 

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Il Piccolo – 28/02/2022