Lazar de Pari, il Maestro triestino dei leoni di San Marco
«Per la prima volta si può attribuire una serie di opere araldiche a uno scultore importante». Questo il risultato di importanti studi e ricerche dedicati alle opere situate a Muggia, Parenzo e Umago.
In Istria sono noti quasi duecento leoni di San Marco scolpiti. Assieme a qualche esemplare ligneo, oppure marmoreo ottocentesco, fanno bella mostra di sé sulle facciate di palazzi pubblici, torri, campanili, vere da pozzo… Ma chi sono i Maestri che li hanno realizzati? In quale bottega hanno preso forma? In questo articolo lo storico dell’arte e archeologo Marino Baldini racconta ai lettori della Voce quanto emerso in riferimento a tre leoni, quelli di Muggia, Parenzo e Umago. A conclusione di approfonditi studi e ricerche, Baldini li ha attribuiti alla bottega scultorea triestina di Lazar de Pari che con il capobottega Giovanni, suo padre, realizzò lavori importanti su palazzi pretori (a Muggia e Umago), torri, porte cittadine e vere da pozzo (a Parenzo). “Per la prima volta si può attribuire una serie di opere araldiche a uno scultore importante”, fa presente Baldini.
Non vuole essere un elenco esaustivo, avremmo potuto sceglierne anche altri, ma questa volta ci concentreremo su tre leoni e alcuni stemmi nobiliari della metà del Quattrocento, scolpiti in pietra d’Istria, ricavata dalle pietraie di Pola, Parenzo, Orsera e soprattutto di Rovigno, che erano le più gettonate dalle botteghe. Va detto che pur non mancando importanti lavori in pietra di Aurisina, pure a Venezia la massima produzione leonina seguì tradizionalmente la traccia istriana, esclusa naturalmente la scelta di marmi, fatta spesso come rimpiego. In Dalmazia la pietra proveniva dalle isole di Curzola e soprattutto Brazza. Le principali botteghe si trovavano a Venezia, ma non soltanto. Importanti Maestri anche meno noti che contribuirono significativamente all’aumento quantitativo e qualitativo di quest’iconografia operavano soprattutto in Dalmazia.
Dominio di terra, mare e stelle
In questo articolo ci occupiamo di leoni andanti, in moléca, rampanti, opere pubbliche che possiamo ammirare nelle piazze, sulle torri, sulle mura, sulle facciate di palazzi pubblici, specialmente delle sedi pretorili, sulle vere da pozzo, sulle basi per bandiere di città e della Serenissima, su logge e sui campanili. La torre campanaria tardomedievale di Montona, ad esempio, è circondata da leoni marciani che dal punto di maggior elevazione architettonica e urbana – come anche a Buie e in molte altre città –, sembrano spiegare la scritta latina che troviamo a Pirano: “Alliger ecce leo, terras, mare, sidera carpo”, ovvero in istroveneto: “Stranier, mi son Leon, domino la terra, el mar e le stelle”.
Gli insegnamenti di Rizzi
È doveroso ricordare alcuni nomi e scuole importanti. Tra questi Giovanni Radossi che – affiancato da illustri storici e disegnatori, nonché dagli operosi dipendenti del Centro di ricerche storiche di Rovigno – diede alle nostre conoscenze un contributo significativo rappresentato da decine di saggi dedicati ai leoni marciani. In particolar modo va citato lo storico d’arte veneziano Alberto Rizzi, il miglior conoscitore vivente dell’iconografia leonina, autore di monografie e studi regionali sui leoni, ma anche su tutta la Repubblica marinara. È stato proprio Rizzi colui che indicò per primo, senza citare nomi, i possibili gruppi e maestranze per lo studio artistico di questa specifica iconografia. Coniò pure delle parole tra le quali particolarmente simpatica è – leonoclastia, per indicare i leoni distrutti. Solo a Venezia, la prima amministrazione francese distrusse circa 2.000 leoni. Tra i più celebri demoliti in Dalmazia durante i fatti di Traù c’è sicuramente quello della loggia, un capolavoro di Nicolò di Giovanni Fiorentino (Nikola Firentinac), che nel 1471 restaurò la loggia medievale e le statue dei santi protettori.
Il quaderno… ritrovato
Ho avuto la fortuna di collaborare con questi importanti studiosi, ma anche con altri che si occupano in particolar modo delle tematiche quattrocentesche. Durante i primi anni Novanta, seguendo Alberto Rizzi nello studio dei leoni istriani, ebbi modo di fare una scoperta insolita. Rizzi, infatti, aveva perso gli appunti (segnati a mano in un quaderno) sui leoni “dalla Morea all’Istria”, ovvero praticamente tutti esclusi quelli che si trovano nel Veneto e a Venezia. Un duro lavoro pluriennale sembrava essere andato perso. Ebbene, riuscii a rintracciare il quaderno pieno di considerazioni, disegni, iscrizioni e soprattutto dati riguardanti le dimensioni dei leoni. Quando lo dissi al professore, dall’altra parte del telefono mi arrivò per tutta risposta un lungo suono che ancora mi risuona nell’orecchio, ricordandomi quelli che vengono emessi dai telecronisti brasiliani quando la loro nazionale segna un gol durante una partita di calcio. Va ora svelato anche come e dove ritrovai il quaderno tanto importante per i nostri studi. Una volta ricevuta dal desolato professore la notizia riguardante la grave perdita pensai subito ai leoni che richiedono più tempo per essere studiati e documentati, a quelli che per qualche ragione sono più importanti, che si trovano accanto ad altre opere oppure riportano lunghe iscrizioni con tanto di stemmi nobiliari. Dopo diversi tentativi andati a vuoto giunsi a San Lorenzo del Pasenatico davanti alla cisterna sulla quale padroneggia il celebre leone scolpito – assieme agli stemmi della città, del rettore e del protettore –, sulla vera da pozzo. L’iscrizione lo colloca tra i primi leoni di San Marco assieme a quello della piazza centrale di Venezia, al leone del battistero di Capodistria e a quello che troviamo sulla vera da pozzo a Montona. Il quaderno era dal proprietario del palazzo; aveva pensato bene a proteggerlo dalla pioggia. Fu così che dallo studio dei leoni risalenti al Trecento, dopo diversi decenni giunsi a quelli risalenti al Quattrocento, in particolare quello istriano, ma non soltanto. È impossibile studiare questa tematica senza disporre di vaste competenze, senza visitare, tra l’altro, decine di musei europei e americani, ma specialmente senza vedere le opere recandosi in situ, lì dove i leoni sono stati ideati, creati e dove possiamo ammirarli ancora oggi.
Il corpus istriano
In Istria conosciamo quasi duecento leoni di San Marco scolpiti. Assieme ad alcuni esemplari lignei, oppure marmorei ottocenteschi, padroneggiano quelli sui pubblici palazzi, tutti realizzati in pietra da validi Maestri. Il vero problema risiede nel fatto che per quanto riguarda l’Istria non conosciamo gli autori di queste importanti opere, molto valide per lo studio della storia dell’arte. Comunque, il corpus leonino istriano è il più integro in assoluto. Sono pochi i leoni andati distrutti e anche per questa ragione ci dovrebbero essere varie possibilità di approfondire la materia e trovare il modo per poter attribuire queste nobili opere d’arte a maestranze e scultori. È giusto il detto locale “basta meterse”, ma in realtà, se guardo alla mia esperienza, devo ammettere che sono serviti decenni di lavoro per giungere a una parte delle conclusioni che sto raccontando.
La citazione di Carducci
Scriveva Giosuè Carducci: “Salutate nel porto Giustinopoli, gemma dell’Istria e il verde porto e il leon di Muggia”. Così anche noi iniziamo il nostro viaggio da Muggia, “andanti” non forse come il celebre leone del poeta che si trova sul medievale palazzo pretorio che subì un rogo grave negli anni ‘30. Il leone fu ricomposto a restauro completato, ma sempre a fronte quasi in perfetta posizione con lo stemma del rettore. “1444 Domin(us) Iacob(us) Loredano Mugle hon(or)ab(i)l(l)i(s) potestas”, si legge sull’iscrizione affiancata a sinistra dello stemma nobiliare che forse crea un gruppo con il leone. La sagoma dello stemma si presenta molto interessante. Non tanto frequente nel vasto repertorio istriano, precisamente datata e attribuibile al sindaco Giacobbe Loredan. La caratteristica sagoma inferiore trilobata e altri elementi, specialmente la forma del leone, mi fecero pensare a un’attribuzione della quale non mi vanto troppo perché avvenuta una domenica, giorno che andrebbe dedicato al riposo.
Muggia e la bottega triestina
Alato con l’originale colore rosso sul libro, il leone di Muggia riporta una serie di grafemi formali attribuibili: la composizione, l’andatura, la chioma a file, l’orecchio a nicchia rotonda, la coda a esse, i tre (e non quattro) diti che si gonfiano sull’estremità, l’esecuzione della lingua sporgente, ma anche dell’aureola “cadente”. Prendendo in considerazione tutti questi dati (ma anche tanti altri), si restringe il materiale analogo disponibile in generale per fare dei paralleli, specialmente in Istria, anche conoscendo la datazione precisa. Non è dunque difficile immaginare il Maestro, e in questo caso, con grande fortuna, anche la bottega, il capomastro e lo scultore. Si tratta della bottega triestina del Maestro Giovanni (padre) nella quale operava anche l’importante scultore Lazar De Pari (figlio). Il Maestro Giovanni è noto sin dal 1429. Operò sul territorio degli Asburgo nel Carso triestino (Volci, in slov. Volčji grad, oggi comune di Trebnje – Slovenia) e costruì la chiesa di San Giovanni Battista.
Ma come è possibile trarre conclusioni di questo tipo su una (o due) sculture (rilievi) e, a maggior ragione, attribuire le opere alla bottega triestina pensando di poter assegnare la costruzione o il restauro del palazzo di Muggia al padre e le sculture al figlio, rispettivamente Giovanni e Lazar De Pari? Ci saranno di grande aiuto altri palazzi, vere da pozzo, torri, porte cittadine, ma soprattutto sculture, rilievi di stemmi nobiliari e in particolar modo i leoni di san Marco realizzati in Istria. Per questo testo ne ho scelti due, uno certo (perché firmato) e l’altro attribuibile. Il primo si trova a Parenzo, mentre il secondo campeggia sul campanile nella piazza di Umago. Spostiamoci pertanto a Parenzo davanti alla torre pentagonale che preferisco chiamare Torre Lion.
Parenzo, un capolavoro del ‘400
Sulla torre maggiore dell’ingresso centrale in città (Porta di Terreferma, Torre Lion) sulla Strada Grande (Decumanus maximus) si trova un capolavoro d’arte scultorea risalente alla metà del Quattrocento. Firmato e datato, recita: “Magister Iohannes de Pari Tergestinus construxit hanc turrim et Lazarus eius filius hanc imaginem, MCCCCXLVII”. Non si tratta in questo caso di ricostruzione, come a volte viene considerato, ma di una nuova e completa costruzione del bastione principale con accessi a volta e l’aggiunta di un tratto fortificato collegato con il percorso delle mura meridionali verso la Torre De Mula. Del complesso fa parte pure la struttura coperta semicircolare che si trovava dopo le porte – che non sono arrivate ai giorni nostri –, realizzate nella bottega dei De Pari, e che possiamo vedere in molte vedute della città, specialmente nei disegni di Pietro Nobile fatti prima che vengano abbattute all’inizio dell’Ottocento. Se non viene considerata come una ricostruzione (che va esclusa), ci rendiamo conto che la costruzione delle mura di cinta è un capolavoro, il più importante capolavoro istriano tra numerosi lavori validi, realizzati non soltanto della metà del Quattrocento. Ci immergiamo così nell’opera del figlio, Lazar, che tre anni dopo aver lavorato a Muggia (1447) scolpì a Parenzo un secondo capolavoro e, come vedremo, anche tutta una serie di altre prestigiose opere d’arte un po’ dimenticate.
Caratteristiche uguali
Il leone andante di Parenzo mantiene tutte le caratteristiche del leone di Muggia. Si vede però l’evoluzione del giovane artista. Il maestro scultore crea un leone andante di identica composizione, dalla testa alla coda, in ogni dettaglio: la chioma a file (perfetta quanto e più di quella muggesana), l’aureola “cadente” – che presenta una fattura più rinascimentale che contraddistingue anche il corpo e le ali – le divisioni a tre cime (coda) dei diti gonfi in estremità, come già visto descrivendo il leone di Muggia, e forse anche il colore o almeno i suoi resti che diventeranno visibili quando verranno tolti gli strati di carbonati e di vegetazione. Un capolavoro del triestino Lazar de Pari. Come già scritto, preferisco chiamarla Torre Lion, anche perché c’è lo stemma del rettore Nicolò con iscritte le sue iniziali. Lazar non lo scrisse, come non lo fece nemmeno sulla porta, ma questa è opera delle sue mani; lo si vede dai caratteristici dentelli in fogliame e da tutta una serie di elementi del leone rampante. La sagoma è identica allo stemma Loredan di Muggia, con fondo trilobato. Sotto lo stemma Lion c’è uno di Zorzi, forse anche questo realizzato dallo scultore triestino, ma non vorrei esprimermi prima che vengano effettuati i lavori di restauro e di pulitura. Ma che fortuna, pensai, abbiamo di sicuro il primo stemma nobiliare istriano inciso da un grande Maestro e datato. La vera sorpresa giunse però soltanto successivamente, osservando la vera da pozzo nella piazzetta della casa romanica di Marafor, che sfiora la Strada Grande.
Arrivare all’attribuzione…
Giulio De Franceschi (con Giuseppe Caprin) ha riconosciuto l’importanza disegnando questa splendida opera in pietra d’Istria locale. Dal disegno è chiaro che il lavoro è attribuibile a Lazar de Pari. La sagoma trilobata e la forma del leone rampante sono identiche a quello sulla torre. Controllando in situ, mi sono reso conto che la datazione molto più tarda era sbagliata, anche perché sulla vera, come anche sulla torre, ci sono due lettere che non appaiono nel disegno. Domenico Lion (D, L) fu podestà nei primi anni Cinquanta, ma questa non è un’opera pubblica; il leone è di famiglia, dunque privato, ed esiste la possibilità che Giovanni (Lazar) non lavorasse solo sulla cisterna (vera), ma anche nel palazzo di famiglia che si trovava nelle vicinanze. Non è questa però la svolta definiva. Servono ancora molte indagini archivistiche, archeologiche e di restauro, ma l’approccio attributivo può essere di grande aiuto e può indicare i percorsi di lavoro e di studio necessari. Avendo fatto numerosi scavi in piazza di Marafor, posso dire con certezza che la pietra base della vera di Lazar De Pari proviene dalla selciatura della piazza centrale romana. Nella località ho condotto numerosi scavi archeologici. La mia prima conferenza archeologica tenuta trent’anni fa sull’isola di Curzola fu incentrata proprio su questo tema e il mio ultimo scavo a Marafor lo feci nelle vicinanze. Correva l’anno 2003 e trovai non soltanto la solita selciatura, collegamenti con la vera (un pezzo di palazzo Lion), ma nello strato preistorico trovai anche i resti di una casa preromana risalente all’epoca dei protostorici abitanti parentini del periodo degli Istri. Una storia affascinante, e qui l’ho soltanto tratteggiata.
Restauri necessari
Per concludere propongo di soffermarci anche sul leone di Umago che subì un rogo negli anni ‘20. Si trovava sul palazzo pretorio e fu poi trasferito sulla parete settentrionale del campanile da dove ancora oggi padroneggia la piazza. Negli anni Novanta si lavorò sulla pulitura della caligine rimasta dopo il rogo. Me ne parlò uno dei restauratori di Pola. I lavori furono molto dettagliati e in varie parti del leone di Umago emersero resti di doratura, ma anche di altri colori, in particolare di verde, blu e rosso, esattamente come già notato sul leone di Muggia. Conoscevo questi colori ancor oggi deducibili nel ricco patrimonio leonino di Montona. È doveroso implorare che, anche per questa ragione, tutti questi leoni (e le altre opere importanti) siano i primi a essere sottoposti a restauro per quanto riguarda il patrimonio veneto in Istria; a maggior ragione considerando in quali condizioni versano: in alcuni casi peggiori di quelle del leone di Parenzo. Poi, ricordando l’importantissimo patrimonio dei leoni di Montona, che in una significativa parte furono opera della prestigiosa bottega dei Bon di Venezia (dove lavorava anche lo zaratino Giorgio di Matteo, Giorgio Orsini – Juraj Dalmatinac, che a Sebenico si firmava come Georgius de Matthei Dalmaticus), permettetemi una breve considerazione. Appare chiaro già osservando il leone di Muggia, ma in particolar modo quello di Parenzo, che il Maestro triestino Lazar de Pari conosceva l’opera dei leoni di Montona, per molti versi il più importante corpo di leoni istriani. Servirebbe scrivere un lungo saggio per spiegarlo. Ma Lazar non era soltanto ben preparato in materia (probabilmente da giovane girò l’Istria e le altre regioni limitrofe), il suo talento (che ne fece il miglior scultore locale della metà del Quattrocento) lo affinò studiando e perfezionandosi in un’importante bottega. Quella del padre? È difficile dirlo. Ci mancano i dati e le fonti. Forse un giorno ci saranno noti. In tal senso questa nota di bottega veneziana dei Bon potrebbe essere indicativa.
Le caratteristiche a Umago
Il leone di Umago è pure andante, ma a destra. Viene descritto bene e datato da Rino Cigui nel suo catalogo dell’araldica umaghese. Forse ai tempi in cui si trovava sulla facciata del palazzo del rettore era affiancato da uno stemma podestarile di sagoma identica a quella degli stemmi Lion di Parenzo e Loredan di Muggia. Nel fervore artistico dell’Istria veneta quattrocentesca è impensabile che una forma simile si fosse mantenuta per più di mezzo secolo senza alcuna innovazione o cambiamento. Il podestà più vicino (che conosciamo) a cui si può attribuire lo stemma risale agli inizi degli anni Settanta del XV secolo. Non è impossibile che il leone risalga proprio a quel periodo, ma è forse più probabile che appartenesse a un podestà degli anni Cinquanta che magari non conosciamo. Lo stemma che proviene da Piazza Venezia è di incerta attribuzione, ma non lo è lo stemma Manolesso dalla forma vista a Parenzo e Muggia, inclinato o a giustacuore (tipo araldico). È questo lo stemma che affiancava il leone di Umago e che oggi si trova nel Museo? Difficile dirlo, ma stilisticamente combina bene con la scultura di Lazar de Pari, in particolar modo con il suo leone, oramai rinascimentale, ma che mantiene tutti gli elementi essenziali dell’opera scultorea del Maestro.
Sono numerosi i leoni che non abbiamo citato in questo articolo e che raccontano un’opera leonina che rappresenta un capolavoro sul quale sicuramente si aprirà una discussione. Anche padre Iohannes lavorò a Umago? È sua l’opera di restauro della podesteria? Vorrei tanto saperlo, ma non abbiamo abbastanza elementi sicuri per giungere a conclusioni a riguardo.
Marino Baldini – 16/10/2021
Fonte: La Voce del Popolo