Centro di Documentazione Multimediale della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata
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ConfineOrientale 1

Le date fondanti della Repubblica italiana non riguardano il confine orientale

Dopo le passioni irredentiste ed interventiste, Venezia Giulia, Fiume e Dalmazia si sono gradatamente scollegate dalle sorti della penisola.

Il Referendum del 2 giugno 1946, in cui vennero designati anche i membri dell’Assemblea Costituente, che avrebbe svolto pure funzioni parlamentari, non coinvolse tutti gli italiani. Il decreto luogotenenziale che delineò i collegi elettorali riguardava anche Trieste, Gorizia, Pola, Fiume, Zara (sotto amministrazione militare angloamericana oppure jugoslava, ma formalmente ancora nella sovranità italiana in attesa delle decisioni della Conferenza di Pace) e Bolzano, ma un successivo decreto legislativo stabilì che qui “la convocazione dei comizi elettorali sarà disposta con successivi provvedimenti” per motivi di ordine pubblico. Tale sospensione del voto non fu mai sanata sicché, eccezion fatta per alcuni costituenti eletti con i resti nel collegio nazionale, non parteciparono alla redazione della legge fondamentale della Repubblica rappresentanti delle martoriate province del confine orientale e inoltre al voto sul Trattato di Pace avvenuto nell’estate 1947 nessun esponente direttamente eletto nelle terre che venivano cedute ebbe modo di far sentire la sua voce.

Questa situazione si poneva in diretta continuità con due precedenti discrasie.

In seguito allo sbandamento dell’8 settembre 1943 si scatenò in Istria e Dalmazia la prima ondata di infoibamenti compiuti dai partigiani di Tito a danno degli esponenti di spicco della comunità italiana, ma nel resto d’Italia pochi ne vennero a conoscenza. Se puramente simbolica fu la dichiarazione da parte degli insorti dell’annessione della Venezia Giulia alle future Slovenia e Croazia nell’ambito della nuova Jugoslavia titoista, ben più drammatico fu il consolidarsi della Zona di Operazioni Litorale Adriatico da parte delle truppe tedesche, che di fatto annichilirono i poteri della Repubblica Sociale Italiana (molti gli ostacoli che i comandi germanici posero allo schieramento dei reparti della Divisione Decima, il cui comandante Borghese voleva proprio difendere il confine da nuove incursioni titine), laddove il cosiddetto Regno del Sud non riuscì a convincere gli angloamericani riguardo la necessità di non lasciare queste terre in mano jugoslava a guerra finita.

Ne conseguì la ancor più profonda spaccatura fra le terre redente con la Prima guerra mondiale ed il resto d’Italia consumatasi il 25 aprile 1945. L’insurrezione generale dei Comitati di Liberazione Nazionale Alta Italia contro le truppe tedesche in ritirata segnò la fine del conflitto, ma all’estremo nord-est le colonne angloamericane furono precedute nella “Corsa per Trieste” dal IX Korpus titino, il quale prese possesso di Trieste, Gorizia, Fiume e Istria dando luogo ad una seconda mattanza ancor più cruenta nei confronti di quanti, fascisti o antifascisti, si opponevano al progetto espansionista che voleva portare i confini della rinascente Jugoslavia fino al fiume Isonzo se non addirittura al Tagliamento.

Nelle coscienze dei reduci della Grande guerra e per gran parte dell’opinione pubblica fu molto grave il vulnus arrecato dalla perdite delle terre giuliano-dalmate in seguito al Trattato di pace del 10 febbraio 1947, sicché grande sarebbe stato l’entusiasmo per il ritorno dell’amministrazione italiana a Trieste il 26 ottobre 1954 dopo complesse vicende diplomatiche ed un tributo di sangue versato dai triestini nelle manifestazioni del novembre ’53 represse dalla polizia del Governo Militare Alleato. In quel giorno che Sergio Romano definì l’ultima pagina del Risorgimento, pochi compresero che contestualmente la Zona B del mai costituito Territorio Libero di Trieste (i distretti di Capodistria e di Buie) passava sotto amministrazione jugoslava. D’altro canto la vulgata resistenziale andava diffondendo la narrazione di una guerra vinta e pertanto non era opportuno soffermarsi sulle perdite territoriali.

Clamorosa dimostrazione di come la generazione che si sacrificò per Trento e Trieste italiana si fosse estinta e della “morte della Patria” risale al 10 novembre 1975, data in cui Italia e Jugoslavia firmarono alla chetichella il Trattato di Osimo che riconosceva la sovranità italiana sull’ex Zona A del TLT (la provincia di Trieste) e quella jugoslava sulla B. In Parlamento solamente i missini si opposero invano alla ratifica, soltanto a Trieste diedero vita a vibranti proteste gli esuli istriani ed i militanti del Fronte della Gioventù e la rabbia popolare contro una decisione calata dall’alto che spezzava definitivamente il tradizionale legame fra il capoluogo giuliano e la penisola istriana portò al fenomeno civico della Lista per Trieste.

Comitato 10 febbraio, 13 luglio 2017