L’Eco di Bergamo dedica un articolo all’esodo
Quando i profughi erano gli italiani.
Anche gli italiani sono stati vittime di una pulizia etnica. Si tende a dimenticarlo. Dopo la seconda guerra mondiale, trecentomila italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, annesse alla Jugoslavia comunista di Tito, furono costretti ad abbandonare quelle terre. Vennero in Italia come profughi e non sempre furono bene accolti. In molte città, e tra queste Bergamo, sorsero quartieri-ghetto per ospitarli.
La possibilità che l’Austria, di fronte all’emergenza-migranti, ripristini i controlli al Brennero ha indotto a rievocare la ferita inferta ai tirolesi con la linea del confine tra Italia e Austria stabilita dalla Pace di Versailles del 1919, seguendo lo spartiacque geografico e non quello linguistico.
Sulla frontiera orientale, con il Trattato di Pace del 1947, la città di Gorizia fu separata in due. In ampi territori dove la lingua-madre maggioritaria era sempre stata l’italiano, non fu mai stabilito né alcun riconoscimento né alcuna tutela per l’idioma di Dante. Le foibe restano il monumento alla violenza di quel periodo. Ha raccontato Milovan Gilas, braccio destro di Tito, che si recò in Istria nel 1946: <Era nostro compito indurre tutti gli italiani ad andar via con pressioni di ogni tipo. E così fu fatto>. Tra l’ottanta e il novanta per cento degli italiani abbandonarono le terre dei loro padri. In Italia se ne parlerà poco e con timore.
È vero che, negli stessi territori, il fascismo aveva voluto annientare l’identità slovena e quella croata. Con l’arrivo delle truppe e dei partigiani jugoslavi, l’obiettivo della pulizia etnica divennero però gli italiani. Finiva un intero mondo italiano, caratterizzato dalla capacità di vivere e di mescolarsi con slavi, austriaci e ungheresi, com’era avvenuto durante l’impero asburgico. Anche il cantautore Simone Cristicchi è rimasto colpito da questa scarsamente frequentata pagina della storia italiana e ha deciso di ripercorrerla con uno spettacolo di successo, <Magazzino 18>: dal nome del luogo, nel Porto Vecchio di Trieste, dove gli esuli lasciavano le loro cose. Prima di affrontare lunghi periodi in campi profughi o viaggi estenuanti verso mete lontane. Anche quella subita dagli italiani è una pulizia etnica da ricordare.
L’Eco di Bergamo, 10 giugno 2016